Jean Montalbano
il mucchio
selvaggio s'assottiglia (Mick Farren, 1943-2013)
Dietro il ritorno in patria di Mick Farren (1943-2013), rocker
collassato sul palco, stivali ai piedi, c'era anche l'opportunità di ricevere
quell'assistenza sanitaria negatagli oltreoceano, nonostante le recenti
delibere obamiane e dietro la sua fine non tanto la velleità, quanto la fatica
del quasi settantenne nel tener dietro la baldanza dei verdi anni, riprendendo
ad intermittenza il
vecchio marchio della ditta (Social) Deviants e, con più credibilità e
meno strapazzi, una gustosa e pungente produzione letteraria, coniugata sui
versanti creativo e critico. Il primo
illustrato e declinato in senso fantastico già quattro decenni orsono con The
Text of Festival, cui seguirono tra gli altri The Feelies e Darklost;
il secondo disperso in un'attività più militante di critica culturale (da Gene
Vincent alle anfetamine, passando per i giubbotti di cuoio) consegnata nelle
annate variamente precarie di riviste e pamphlets con diversa cadenza e
diffusione.
Nel salutare il transito di Farren, il volume fresco
di stampa Elvis Died For Somebody's Sins But Not Mine (Headpress, 2013)
vale come silloge di tanto operare. Organizzato intorno al testo commemorativo
del 1977 su uno dei suoi temi ricorrenti, Presley, riprende interventi apparsi su periodici come
IT o NME accanto a testi “americani” degli anni novanta: il tutto
servirà a sfamare la curiosità di quanti, avendone seguito le vicende
nell'autobiografico Give The Anarchist A Cigarette (2001) chiedevano, a
quella scrittura talvolta aforistica, pezze d'appoggio più distese.
Dalla “confraternita artigianale degli attivisti”
anni sessanta che lo avrebbe portato a vagheggiare un ramo londinese delle
White Panters all'ammirazione per gli Mc 5 o gli Hell's Angels fino alla
preveggenza, da padrino pre-punk, della fine di certo rock sovraprodotto ed
elefantiaco (The Titanic Sails At Dawn), anche la parabola di Farren,
come quella di molti altri fondatori di bands inglesi, partiva da una scuola
d'arte londinese, nel suo caso la Saint Martin. Tracce se ne troveranno pure
nella copertina-poster pop di Ptoof , album d'esordio dei Deviants,
ma l'amico di Kramer, Twink e Lemmy starà ben attento a non allontanarsi troppo
da quell'elemento beat base e primordiale, esemplificato da un Bo Diddley o un
John Lee Hooker, pozzo elementare ed
inesauribile cui il rock dovrebbe sempre
tornare ad attingere, pena la sofisticazione o la mascherata.
Per chi da adolescente aveva scelto comunque di
schierarsi dalla parte della rivolta urbana, richiamo della pulsazione
originaria ed urlo demente valsero come provocatorio soundtrack di un’agitata
esistenza, punteggiata d’accensioni e cadute. Il succo dolceamaro lo trasse lui
stesso nell’autobiografia: “Mi porterò
nella tomba l'idea che ogni aspirazione rivoluzionaria comporti ad un tempo un
alto grado d'irrealtà e di seducente delusione”.