Istrati parla di Christian Racovskij (“ Certamente fu del partito di Trockij nel 1927, le dichiarazioni rilasciate a conferma dei suoi sentimenti d'amicizia gli valsero la caduta in disgrazia seguita dall'esilio”, scriverà). Questo testo del 1928 non compare nell’antologia PER AVER AMATO LA TERRA, pubblicata da “Fogli di Via” (De Ferrari editore, 2021).

Panait Istrati

Una partenza improvvisata

Il modo in cui ho lasciato Parigi, lo scorso 15 ottobre, in compagnia di Racovskij, ha consentito a certa stampa romena di ricamare un mucchio di sciocchezze sul mio innegabile bolscevismo. Quanto è gentile, da parte mia, “svelarmi” in questa maniera! “D'ora in avanti ti perseguiremo col dito sul grilletto!”

Perseguitemi. Non smentirò niente. Qui dirò come stanno le cose. Lo dirò per me, innanzitutto, e poi per il lettore appassionato, perché tutto è passione in questa partenza .

Certamente, in un articolo scritto a Mosca e pubblicato da l'Humanité, alludendo al mio fastidio per la vita occidentale, ho prestato il fianco all'incisiva canzonatura francese, che non si è fatta sfuggire l'occasione. Mi sta bene. Mi insegnerà, per l'avvenire, a dire le cose a metà. Comunque, regoleremo questo conto in seguito.

Ma, da subito e senza ritrattare, posso affermare che questo disgusto per il torpore intellettuale dell'Occidente non è stato l'unico motivo della partenza frettolosa. È stato il destino di Racovskij a trascinarmi. Di questo tratta la mia accalorata pagina odierna. Bella occasione, per me, di gridare, senza smancerie letterarie, il mio amore per l'uomo, per l'amico, questo grande astro del nostro meschino universo.

A Christian Racovskij mi lega una duplice amicizia, lunga ormai ventitré anni.

Eravamo nel 1905, nel pieno della rivoluzione russa. Arrestato Gorki, la protesta diventò mondiale. Bucarest proletaria volle unire la propria voce contro lo zarismo strangolatore. Ero tra quelli, giovane proselito.

Il movimento proletario si risollevava allora da un pesante tradimento, perpetrato dai suoi primi capi intellettuali, i quali erano andati a “formare l'ala di sinistra del partito liberale” dove scoprirono, compiacendovisi, l'agio confortevole della sinecura. Le nuove guide, tutte operaie, tra cui Frimou, -che doveva, quindici giorni dopo, morire sotto gli sfollagente della Siguranţaliberale”- scelsero per la manifestazione il giorno 24 gennaio, festa nazionale dell'Unione dei principati. Fummo così dei guastafeste. Ci fu una copiosa distribuzione di sberle, da entrambe le parti, e questo fu il mio battesimo rivoluzionario.

La cosa mi valse una calorosa stretta di mano da parte di Christian Georgievič, che era apparso in tribuna come un bolide, con la barba ispida d'allora e gli occhi di fiamma. Soltanto pochi vecchi militanti lo conoscevano. La sua inattesa comparsa, le sue prime vampate d'indignazione contagiosa -che un pittoresco accento bulgaro rendeva ancor più fremente- i suoi gesti potenti, convincenti, variati, sempre nuovi, e soprattutto l'emozione sincera di cui sono impastati tutti i discorsi di Racovskij, elettrizzarono l'assemblea di quella giornata memorabile alla sala dell'Efforie.

Da allora, non ha smesso un minuto di essere il nostro capo intransigente ed incorruttibile, fino alla carneficina mondiale, quando, arrestato a Jassy, i mugic rivoluzionari dell'esercito zarista lo liberarono trionfante dalla prigione.

Da allora, e a dispetto delle frequenti differenze di vedute, non ho smesso di volergli bene, mi trovassi vicino o lontano. E ho già detto, in un numero di maggio 1922 de l'Humanité, quale fosse la mia gioia nel trovarlo sulla lista dei diplomatici bolscevichi alla conferenza di Genova di quell'anno. Al tempo fotografo ambulante sulla promenade des Anglais di Nizza riconoscevo il suo bel “destino da fuoriclasse” e mi impietosivo sul mio. Ecco in cosa consiste la mia fede rivoluzionaria: tutta di sentimenti. È di stoffa fragile? Non saprei, ma quando vedo dotti marxisti mirare alle spalle della conquista proletaria più bella, mi vien voglia di rallegrarmi per la mia ignoranza in materia di marxismo.

Con Racovskij, ambasciatore a Parigi, ho avuto pochi rapporti. Credo di non averlo incontrato più di cinque volte. Era troppo occupato. Anche io, del resto. E inoltre, abitavo a Parigi solo per brevi periodi. Non è dunque a qualche rinnovata e machiavellica intimità che si deve la mia partenza in sua compagnia.

Ma, lo scorso autunno, trovandomi a trascorrere un'ora in rue de Grenelle, Racovskij mi disse all'improvviso, mentre le sue mani sfogliavano una montagna di scartoffie: “Oh, ho qui qualcosa per te!

-Ci siamo! esclamai, sono arrivati i diritti d'autore dall'Ucraina per i film da Kyra!

Rise mentre le mani si fermavano per un attimo.

“Maledetto levantino! La finisci di seccarmi con i tuoi diritti d'autore? Ho solo ricevuto degli inviti ufficiali per i festeggiamenti del decimo anniversario di ottobre. Sei invitato dal VOKS.

Per quanto “venditore levantino” sia, la notizia mi diede una scossa. Non che le prospettive di un lungo viaggio “gratuito” mi rallegrasse, col rischio poi di scrivere il mio benevolo libro sull'URSS. Buoni per i cercatori d'occasioni, quel tipo di vantaggi. Per me, una partenza simile significava il risveglio del vecchio vagabondo.

Tentazione pericolosa? Una ventata d'aria mi gonfiò la carcassa intristita dall'ultimo lustro di vita sedentaria. Mi ero appunto da poco sistemato a Meudon. Quasi borghesemente. Quatto vani, bagno, ascensore, acqua, gas, luce, riscaldamento centralizzato. Letto morbido, lampada abat-jour, tepore stagnante, raffreddori frequenti, rammollimento precoce, ventimila franchi di debiti. Si può morire tanto mestamente?

Cominciavo a prendervi gusto. (La morte deve avere facilità tutte sue).

Ma il destino, sempre in guardia, mi fece schioccare la frusta sulla testa: Christian Georgievič lasciava l'ambasciata! La borghesia reazionaria lo colpiva mentre era in piena ascesa. E cosa c'è di più bello della caduta di un uomo forte in piena ascesa?

La mia ultima notte in Francia, quella tra il 14 e il 15 ottobre, la trascorsi nell'ambasciata di rue de Grenelle.

Coincidenza bizzarra: alla vigilia della partenza ricevevo dalla libreria Gallimard le bozze del mio libro autobiografico, Mes départs! Non ebbi la forza di prendere seriamente il lavoro di correzione, tanto ero eccitato dai fatti di quella notte.

Stavamo, io e Christian, per voltar pagina. Cosa avremmo scritto sul verso, a partire dal giorno seguente? Grosso punto interrogativo, sia per l'uno che per l'altro.

L'ufficio dell'ambasciatore -di cui tanti buoni francesi conoscono le comodità, di cui tanti cattivi hanno apprezzato lo spirito “coltello-tra-i-denti”- era irriconoscibile. Il guazzabuglio di cartacce dominava sovrano, moltiplicandosi a vista d'occhio -come sotto la bacchetta di un prestigiatore-, copriva il parquet, seppelliva la mobilia. L'ambasciatore insonne, in maniche di camicia, spalle larghe e ben piantato, scavalcava i mucchi di fogli scritti, li stringeva come un lavandaio, afferrando un pezzo di carta per esaminarlo un istante, sempre calmo, a volte serio. Partito da Cotel ancora bambino, ci aveva messo quarant'anni, spesi in lotte, per trovarsi a quel punto!

Ne osservavo i gesti, seduto al mio tavolo, dove macchinalmente sfogliavo le mie bozze. Le lancette della pendola segnavano le ore, silenziose, indifferenti. Il caldo, pesante, covava la nostra nuova vita.

“Christian!

-Cosa?

-Mi deluderà, la Russia?

-Dipende, se guarderai la superficie, rimarrai deluso. Se saprai vedere, capirai.

-In tal caso?

-La nostra opera ti piacerà.

-Credi che saprò vedere?

-Penso di sì.”

Allo scoccare delle sei, l'alba grigia imbrattava di malinconia le finestre. L'auto ci aspettava, carica di valige. L'ampio portale si aprì senza farsi sentire. Lasciammo gli ormeggi.

Nella strada, deserta, Christian disse a fior di labbra:

“Guarda! Niente poliziotti!”