Elisabetta d’Erme
nel mezzo del silenzio
della notte si udiva un suon di ferraglia...
“International Irish Gothic
Conference” (Università per Stranieri di Perugia - Università di Perugia 5/6
dicembre 2013)
Dimore fatiscenti e maledette,
scricchiolii inquietanti, fantasmi che trascinano le loro catene da una stanza
all'altra, vampiri di tutti i sessi ed età mai sazi di sangue, bizantine
questioni ereditarie, donne più o meno pazze rinchiuse in castelli fuori dal
mondo, accenni a sessualità ambigue, segreti di famiglia e indicibili crimini,
questi sono ridotti all'osso gli elementi standard della “gothic novel”, il cui
successo appare inesauribile e la cui formula diventa sempre più
onnicomprensiva. E' quanto appare evidente dalla lettura della recente “The
Encyclopedia of Gothic” edita da W. Hughes, D. Punter e A. Smith
(Wiley-Blackwell, 2013) che nelle sue quasi mille pagine include nel generone
“gotico” praticamente tutto, anche lo show televisivo di Oprah Winfrey.
Fiumi di inchiostro sono
stati versati sugli effetti che questa letteratura “dell'eccesso” (F. Botting)
ha provocato nel lettore fin dalla sua nascita nel 1764 con
“The Castle of Otranto” di Horace Walpole, con le sue tipiche
situazioni e locations “perturbanti” (unheimlich/uncanny) per
arrivare alle specifiche trasformazioni che hanno avuto avuto luogo nel corso
di più di due secoli nei più diversi ambiti artistici e nei singoli contesti
nazionali.
Al romanzo gotico irlandese le
Università per Stranieri di Perugia e l'Università di Perugia hanno dedicato il
5 e 6 dicembre 2013 una “International Irish Gothic Conference” organizzata da
Enrico Terrinoni e da Annalisa Volpone in collaborazione con EFACIS e il
patrocinio dell'Ambasciatore d'Irlanda, S.E. Bobby McDonagh, che ha visto la
partecipazione di una trentina di relatori provenienti dalle due sponde
dell'Oceano.
A Perugia si è dunque parlato
della specificità del gotico "irlandese" e della differenza tra
quello che Roy Foster ha definito "Protestant magic", ovvero la produzione
letteraria di Charles Robert Maturin, Joseph Sheridan Le Fanu, o di Bram Stoker
e W.B. Yeats, e l'esistenza di un così detto Gaelic gothic, fatto da autori di
estrazione cattolica ed essenzialmente riconducibili alla generazione più
recente, quali John Banville, Patrick McCabe o Neal Jordan.
E' stata inoltre analizzata
la presenza del genere nella letteratura anglo-irlandese contemporanea (la
coppia Sommerville e Ross, Elizabeth Bowen, o Iris Murdoch) ma anche autori
gotici di oggi come Willam Trevor, Clare Boylan o Eoin McNamee). Sui lavori
della conferenza aleggiavano inevitabilmente i fantasmi che abitano l'opera di
James Joyce dai primi racconti di “Gente di Dublino” fino ai tanti che
popolano l'”Ulisse”, presenti negli interventi di Laura Pelaschiar
(Università di Trieste), Bill Lancaster (Texas University) e Dieter Fuchs
(Technical University of Koszalin) che ha proposto una scioccante rilettura di
“A Portrait of the artist as a young man” alla luce del mito del
Minotauro.
A difesa della contaminazione
universale del genere si è schierato Richard Haslam (St Joseph's University,
Philadelphia). Non sono mancate letture più politiche del fenomeno, come quella
del decano degli studi gotici irlandesi Bill McCormack (Goldsmith College,
London) che ha tenuto una lettura plenaria dal titolo “Gothic and the Spectre
Haunting Europe”.
McCormack ha analizzato la
nostra attuale condizione con gli strumenti del gotico, sottolineando la
dimensione cosmica che ha assunto il genere in tutti i campi, dalla letteratura
al cinema, dalla politica alla società. Ricordando che fin dal suo apparire a
fine '700, il gotico in Irlanda è stato l'espressione dell'ansia e delle paure
scatenate dalla minacciosa presenza dell'Altro, McCormack ha dichiarato che il
gotico irlandese è nato dal senso di pericolo percepito dalla classe dominante
colonialista Anglo-Irlandese (costituita da una minoranza protestante, la così
detta Ascendancy) nei confronti di una maggioranza cattolica, composta da
borghesi e contadini che - a partire dall'inizio dell'800 dopo l'emanazione
dell'Act of Union - stavano lentamente ottenendo diritti negati loro da secoli
di dominazione britannica.
Bill McCormack ha ricordato
come siano presenti aspetti gotici addirittura nella descrizione che Edmund
Burke o Thomas Carlyle fecero della Rivoluzione Francese, tanto che - in una
Irlanda riformata a seguito del Roman Catholic Relief Act del
1829 ottenuto grazie al movimento per l'emancipazione dei
cattolici capitanato da Daniel O'Connell – lo spettro che sembrava più
intimorire l'Ascendancy protestante e colonialista al potere era proprio quello
della Democrazia. Perché – ha sottolineato McCormack - la Rivoluzione Francese
non era altro che una “nursery tale” dell'incombente comunismo, il cui
“spettro” si aggirava notoriamente per l'Europa, come recita l'incipit del “Manifesto
del Partito Comunista” che Marx ed Engels scrissero nel 1848.
“Spettro” e “terrore” sono
dunque le parole chiave per capire queste dinamiche; la prima a partire dalle
sue radici etimologiche latine (spectrum) che rimandano al significato di
'vedere', 'osservare', 'guardare', ma anche essere guardati, dunque
spettro/specchio/spettatore, fino ad arrivare al significante economicistico di
'speculazione'....
Lo spettro è dunque qualcosa
che reclama di essere guardato, chiede che venga presa coscienza della sua
esistenza, un'esistenza non pacificata perché vittima di violenze, perché
testimone di sofferenza. 'Terrore' è un termine che nasce con la Rivoluzione
Francese e appartiene alla categoria del “sublime” (come suggerirebbe a
McCormack una lettura comparata del racconto di Franz Kafka “Nella Colonia
Penale”).
In questa tutta gotica
contemporaneità, minacciata dagli spettri dei vari fondamentalismi, il terrore
è oggi diventato 'terrorismo'. E' dunque importante comprendere il gotico
perché, ha concluso McCormack, “noi ci siamo dentro”.
Quanto l'impronta gotica
caratterizzi l'intera storia della letteratura irlandese è stato illustrato da
Derek Hand (St Patrick's College, DCU) nella sua plenary lecture che
prendeva spunto da una rilettura del romanzo di Seamus Deane “Reading in the
dark”, un testo che offre sia riferimenti ai grandi eventi della Storia
d'Irlanda, sia ai più privati e segreti fatti di una famiglia di Derry, nel
Nord Irlanda. Infatti l'ossessione che tormenta la letteratura irlandese è
soprattutto la Storia, e non è un caso che Stephen Dedalus nell'”Ulisse”
di Joyce dichiari che “la Storia è per me un incubo dal quale sto cercando di
svegliarmi”. L'incubo di un fallimento dove la colpa collettiva gioca un ruolo
fondamentale. Per Derek Hand il gotico unisce le due storie, quella personale e
quella pubblica, perché in Irlanda il passato è sempre un doloroso conto
aperto. Dal passato tornato fantasmi che ricordano ai viventi torti ed errori
che non avrebbero dovuto esser mai stati commessi. Ieri come oggi, in una
Repubblica marchiata dalla presenza dei
così detti “Ghost Estates”, i complessi residenziali fantasma, inquietante
ricordo del crash finanziario che ha messo fine al boom economico che era stato
denominato 'Tigre Celtica', il gotico ricorda agli irlandesi che il proprio
paese è sempre sul punto di morire. Ma se “le persone o le cose non riescono a
morire completamente” sono dannate a tornare ad ossessionare i vivi. In questo contesto
è però completamente differente l'approccio Anglo-Irish (protestante) rispetto
a quello Gaelic-Irish (cattolico). Se l'attitudine del primo nei confronti
della Storia è caratterizzato da ansia e sospetto, per i secondi il rapporto
col passato sembra essere più rilassato, aneddotico e popolare. In un paese
dove è sempre in corso una “wake”, una veglia funebre, è fondamentale il
rispetto dei riti, per far sì che i morti non ritornino in veste di fantasmi.
Il gotico – ha sottolineato Derek Hand – nasce nel momento in cui il rito non
ha avuto luogo o non è stato rispettato, e soprattutto nella tradizione
Anglo-Irish è legato all'idea del tradimento dell'Ascendancy protestante da
parte del Parlamento di Londra, al timore di perdere proprietà (le famose Big
Houses) e discendenza. Da questi traumi sono nati romanzi come “Melmoth the
Wanderer” (1820) di Charles Robert Maturin, al quale sono stati riservati
gli interventi di Manuel Caleddu (Università di Cagliari), di Sebnem Kaya
(Hacettepe University, Ankara) e di Benedicte Seynhaeve (Catholic University,
Leuven), ma anche romanzi come “Uncle
Silas” (1864) di Joseph Sheridan Le Fanu, “Dracula” (1897) di Bram
Stoker e il dramma “Purgatory” (1938) di
W.B. Yeats, o testi recenti come il dramma “Shining City” (2004)
di Conor McPherson.
Uno dei sette panels in cui
era strutturata la conferenza era appropriatamente dedicato agli “spazi gotici”
di cui l''Irlanda e la lettura che vi si produce sembrano pullulare.
Molto intrigante è stato
l'intervento di Tracy Fahey (Limerick School of Art and Design) dal titolo “From Folklore to Contemporary Art
Practice; Strange Spaces in Irish Gothic” in cui ha illustrato la presenza
sull'isola di luoghi strani e liminali, siti dotati di proprietà magiche, come pozzi,
rovine, boschi, paludi, abbazie e Big Houses stregate. Luoghi incantanti legati
a leggende, potenziali fonti di pericolo, che trasmettono un senso di
estraneità e di cui è importante non oltrepassare le invisibili “soglie”. Tracy Fahey ha inoltre illustrato l'uso
che artisti irlandesi come Sean Lynch, Martin Healy, o Alice Maher fanno di
questi siti nelle loro opere: “Spectral intersections like faery
forts, whitethorn bushes, and holy wells map Ireland’s ancient relationship
with other realms. This juxtaposition of the physical and the supernatural in
Irish legend is echoed in Irish contemporary art - ha
sottolineato Tracy Fahey, aggiungendo che -
This art
is profoundly Gothic in that it is intensely geographical, although the
landscapes it maps are often terra incognita, shaped by narratives rather than
modelled by geographers; it “…challenges that very process of map-making by
means of which we might hope to reduce the world to manageable proportions;
while, of course, it remains constantly fascinated by the very impossibility
which it so convincingly propounds (D. Punter)”. “
Il senso di ‘otherness’ nella
pratica dell'arte irlandese contemporanea è dunque pesantemente influenzata
dalle locali tradizioni folcloriche, dai miti, riti, superstizioni, e
soprattutto da leggende. A questo paesaggio di inquietanti bellezze naturali
appartiene un artefatto umano che ha caratterizzato lo scenario geopolitico
irlandese, ovvero la già citata “Big House”, la villa o dimora di campagna dei
latifondisti Anglo-Irlandesi. Edifici isolati nella campagna irlandese, immersi
in ampi parchi e cintati da alte recinzioni, le Big Houses, costruite dai
'Planters' britannici nel 18mo secolo all'inizio del 19mo, erano il simbolo
vivente dell'Ascendancy protestante, e diverranno poi l'immagine
dell'inarrestabile declino di una classe di proprietari terrieri inetta e
predatrice.
Il ruolo chiave giocato dalla Big
House nel romanzo gotico irlandese è stato analizzato da Francesca Scarpato
(Università di Trieste) nel suo intervento sui
romanzi “Castel Rackrent” (1800) di Maria Edgworth e “The Big
House of Inver” (1925) di E.A. Sommerville, due saghe familiari ambientate
in due grandi magioni anglo-irlandesi in cui viene rappresentato lo
sfruttamento dei fittavoli da parte dei proprietari terrieri. Lo spazio chiuso
delle Big House, con i suoi simboli di liminalità, quali cancelli, finestre,
giardini, soglie etc ha sempre offerto agli scrittori di storie gotiche il
setting ideale dove nascondere negli attici o nelle torri donne più o meno
pazze o altri indicibili segreti di famiglia. Già a inizio '800 in “Castle
Rackrent” la Big House è una costruzione decrepita a causa dell'ignavia
degli “absentee landlords” che si godono all'estero il frutto del lavoro dei
fittavoli, senza reinvestire un soldo nei miglioramenti delle loro magioni.
Questi romanzi mostrano come la Big House pensata come fortezza contro il mondo
cattolico (molte di quelle case portavano il nome di “Castle”) si rivelassero
presto come luoghi insicuri, infestati non solo dai fantasmi alimentati dai
sensi di colpa per il possesso di beni strappati all'antica aristocrazia
cattolica irlandese, ma anche perché condannati a finire bruciati dai ribelli
durante gli anni delle lotte per l'indipendenza dalla corona britannica. Un fuoco
purificatore cancellerà ogni traccia della “Big House of Inver” di E.A.
Sommerville, romanzo in cui riappare fortissima la simbologia dello specchio
usata da Joyce nell'”Ulisse”, dove le schegge di uno specchio incrinato
riflettono l'immagine di una Irlanda frammentata e distorta.
La simbologia degli specchi si
ritrova anche nel romanzo “The Unicorn” della scrittrice Anglo-Irlandese
Iris Murdoch, una storia di abusi sessuali e violenza ambientata in una “big
victorian house” che guarda l'Oceano Atlantico dalle Scogliere di Moher. I
rapporti “feudali” che intercorrono tra i proprietari di Gaze Castle e i loro
servi e fittavoli è stato analizzato da chi scrive, nel tentativo di proporre
una inedita lettura “geopolitica” di un romanzo gotico del quale invece si
tende usualmente ad approfondire i più evidenti risvolti filosofici. Nondimeno
questa lettura ha permesso di svelare l'ambigua rappresentazione proposta dalla
Murduch della “landed gentry” con la sua insaziabile sete di possesso fisico,
mentale e sessuale dei propri “subordinates and servants”. Lo spettro che tormenta dunque i proprietari
delle Big Houses non è dunque il prodotto di un conflitto inter-religioso, ma -
come anticipato da Marx – di classe: è il senso di colpa a trasformare questo
conflitto di classe in letteratura gotica. Come ha scritto V. S. Pritchett's nella sua prefazione del 1947 a “In a Glass Darkly”
di Joseph Sheridan Le Fanu: “Anglo-Irish society (...) was a guilty
society. Insecurity
and bad memories haunted it. Le Fanu's ghosts are the most disquieting of all
ghost: the ghosts that can be traced, blobs of the unconscious that have
floated up to the surface of the mind. (...) Guilt is the ghost in Le Fanu's.
It is guilt that patters behind its victims (...) The secret doubt, the private
shame, the unholy love, scratch away with malignant patience in the guarded
mind. It is we who are the ghosts. (…) Self-destruction is the end of these
stories; our guilt drives us to kill ourselves.”
E Le Fanu, l'autore di “Carmilla”
e di tanti racconti di fantasmi è certamente il più gotico tra gli scrittori
vittoriani anglo-irlandesi, a lui il convegno di Perugia ha riservato un panel
che ha ospitato gli interventi di Francesca Caraceni (Università della Tuscia),
Simon Young (ISI Florence) e Fabio Luppi (Università Roma Tre).
Francesca
Caraceni ha analizzato l'idea di “assenza” che caratterizza la raccolta “In a Glass Darkly”, in particolare il
racconto “Green Tea” in cui “the boundaries between the visible and the invisible, between what is present
and what is absent is certainly Le Fanu’s main object of investigation”.
Il racconto può essere quindi letto come “a classic gothic tale of
perceived presences and recounted absences.” Uno dei
'trucchi narrativi' per rendere quest'idea di assenza è da ricercare nell'uso
da parte di Le Fanu di una voce narrante apparentemente distaccata e anonima: “the author employs the narrative
strategy of the anonymous editor as a structural element capable of conveying
–or, rather, subtracting information in
order to highlight some key passages in the story, and possibly to outline an
implicit, political discourse. Interestingly enough, the editor’s narrative
ambiguity is openly stated at the beginning of the story. It relies on his role
as a translator: “I am a faithful, - writes Le Fanu - though I am conscious, by
no means a graceful translator, and although here and there I omit some
passages, and shorten others, and disguise names, I have interpolated nothing”.
Obviously such statement questions ‘faithfulness’ as the leading principle in
translation, while at the same time it gives palpable presence to the
‘translator’s invisibility’.”
L'intrigante questione del ruolo
del narratore è stata affrontata da un diverso punto di vista anche da Fabio
Luppi nel suo paper “Authoritative narrators and narrative strategies in Le
Fanu’s fiction”, che ha ironicamente premesso che “la letteratura irlandese è
piena di narratori inaffidabili”. Nel suo speech Luppi ha
sottolineato che: “Le Fanu often uses frame narratives to introduce his short stories. Some
stories are narrated by people who have heard them in their turn by someone
else. Sometimes the narrator is not the protagonist nor a witness of the story
and unlike an omniscient narrator he is not directly responsible for the
authenticity of the anecdotes of the plot.” Quale è dunque la ragione
dell'uso di queste specifiche strategie narrative? “The meta narratives and
narratives within the narratives are meant not only to focus on the problem of
authenticity of the story or reliability of the original narrator or of
trustworthiness and credibility of the plot and of the protagonists, but also
and overall to underline the importance of the Irish setting—not the setting of
the story but the setting of the narration of the story.” E poichè J.S. Le Fanu ha scritto che “pen, ink and paper
are cold vehicle for the marvellous, and a ‘reader’ decidedly a more critical
animal than a ‘listener’ […]” la sfida per lo scrittore è quella di riuscire a riprodurre la
forza e la fascinazione della voce umana dell'”Oral Pastoral tradition” o
ancora meglio dell'”Irish comic tradition”. La volontà di Le Fanu
di rendere i propri testi quanto più “Irish” possibile (anche se per motivi di
mercato molti dei suoi romanzi sono ambientati in Inghilterra) è stata anche
analizzata da Simon Young nel suo paper “Le Fanu and the Living Fairy Gothic”
in cui ha evidenziato l'uso che lo scrittore fece di credenze folcroriche e
storie locali irlandesi.
Come si evince dai contributi dei relatori che hanno fatto
riferimento ad autori come Maturin o a Bram Stoker, molto importante per
comprendere il fenomeno gotico è la fascinazione dell'epoca per l'oriente, e
l'orientalismo caratterizza anche una piece 'vampiresca' (e quindi gotica) come
la “Salomè” di Oscar Wilde. (Geniale la rappresentazione filmica che ne fece
Carmelo Bene in cui Cristo appariva nelle vesti di vampiro). Alla “Salomè” di Wilde era dedicato il
paper di Fabio Ciambella (Università di Roma “Tor Vergata”) che ha identificato
nella protagonista di “Salome” il
prototipo della femme fatale gotica:
“Vampyristic qualities attributed to Herodias’ daughter
have been highlighted since the 1950s, when the Italian scholar Mario Praz
defined Salome’s love towards John the Baptist as a “vampire passion” and since
then Wilde’s text has continued to be analyzed with
regard to its transtextual relationships with Nineteenth-century Gothic
fiction.” In un'escalation di riferimenti all'estetica gotica più decadente
(pallore lunare, battiti di ali dell'angelo della morte, pavimenti macchiati di
sangue), la piece raggiunge il suo climax quando la luna diventa rossa, chiara
metafora del sangue e “the Baptist is beheaded and Salome speaks with his dead
head, kissing his mouth and tasting his blood in a mixture of madness, vampirism
and eroticism.”
Interessanti anche
gli interventi di Emanuela Zirzotti (Università di Roma Tor Sapienza) sulla
rilettura della storia d'amore di Jonathan Swift in “The words upon a
window-frame” di W.B. Yeats, e di Martin Colebrook (University of Hull) del
bel romanzo gotico contemporaneo di Eoin McNamee “Resurrection Man”
ambientato in una cupa Belfast durante gli anni '90 , che ripropone la lettura
gotica del conflitto di classe e inter-religioso nord-irlandese.
Brillante e decisamente
stimolante è stata infine la plenary lecture tenuta da Laura Pelaschiar
(Università di Trieste) dal titolo “The adventures and misadventures of an
anti-Catholic genre in Catholic Ireland”. Laura Pelaschiar ha riportato la
discussione sulla difficoltà di definire un canone per il gotico irlandese e
sulla presenza delle due anime: quella originaria protestante che ha decretato
la nascita del genere e quella più tarda cattolica che ha finito per
parodiarlo, perché alla fin fine “anxieties are interpreted as what is on the
agenda of the day” della comunità che al momento si sente più marginalizzata e
minacciata. Il gotico nasce dunque come un'espressione dell'arte anti-cattolica
e i suoi elementi basilari (oltre al senso di colpa) sono la 'paura' e il
'desiderio', la repulsione e l'attrazione verso gli aspetti metafisici
dell'esistenza. Una vera storia gotica è sempre anti-cattolica. James Joyce
trasforma la seconda versione del racconto “The Sisters” in una 'gothic
story' cancellando ogni possibile riferimento alla provvidenza divina per
sostituirlo con non detti, puntini di sospensione o termini inquietanti quali
“gnomon”, “paralysis” o “symony”. Father Flynn diventa un fantasma perché – in
senso simbolico – non è stato seppellito correttamente. Questa è la chiave di
volta, qui sta il problema della responsabilità dei viventi verso i morti,
perché “they come back as collectors to settle the debts.” Laura Pellaschiar ha
evidenziato quanto antica e radicata sia questa tradizione, riproponendo la
lettura de “La casa infestata dai fantasmi” di Plinio il Giovane, che
narra la storia di un “idolon” che di notte trascina le sue catene
terrorizzando i proprietari di una bella villa sita in Atene, tanto che
l'immobile viene messo in vendita a poco prezzo. Valutato l'affare il filosofo
stoico Atenodoro l'acquista e vi si stabilisce, ma già la prima notte viene
disturbato dal vecchio fantasma che, non ricevendo l'attenzione richiesta,
scuote iroso le sue catene sul capo del filosofo. Allora lo stoico: “si volta di nuovo, vede che lo spettro fa un cenno e, senza
esitare, prende il lume e lo segue. Esso avanzava con lento passo, quasi lo
gravassero le catene; dopo esser svoltato nel cortile della casa,
improvvisamente svanisce, abbandonando chi lo segue. Una volta rimasto solo,
Atenodoro contrassegna il posto con delle erbe e delle foglie spiccate. Il
giorno dopo va dai magistrati, e chiede loro che ordinino di far scavare in
quel posto. Vi trovano, frammiste e avvolte dalle catene, delle ossa, che il
cadavere putrefatto dall'azione del tempo e del terreno aveva lasciate
scarnificate e scavate dalle catene; queste raccolte, vengono sepolte a spese
della città. E la casa non fu più visitata dai Mani, sepolti secondo i riti.”
La colpa – rileva
quindi Laura Pelaschiar – prima di diventare un marchio della collettività,
nasce come un crimine individuale, a volte non specificato, spesso ereditato da
antenati e per cancellarlo è necessario un lavoro da detective per scoprire
chi, come e quando aveva compiuto il torto. Anche in “A Portrai of the
artist as a young man” di Joyce, Stephen Dedalus è tormentato dal senso di
colpa, e il suo tormento è tanto più forte quanto più è misterioso e indefinito
il suo crimine. Ci vorrà l'”Ulisse” per smascherarlo nel rifiuto del
giovane di inginocchiarsi di fronte alla madre morente, rifiuto che equivale
alla negazione d'una degna sepoltura, ed è per questo che il fantasma materno
lo ossessiona lungo tutto il romanzo. Nell'”Ulisse” Joyce si
prende gioco del genere gotico negli episodi del 'Ciclope' e di 'Mandrie al
Sole' e riempie 'Circe' d'ogni sorta di apparizioni spettrali, ma le
apparizioni della madre di Stephen sono profondamente perturbanti, diverse da
tutte le altre, perché il suo fantasma esiste davvero. “Fogli di Via”, Marzo-Luglio 2014