Saverio Zuffanti
Iodok, il cane e la legge
Per il suo padrone, illustre clinico moscovita, Iodok sembra essere a
tutti gli effetti un cane. Il suo comportamento è infatti del tutto
canino, benché sotto la pelliccia si nasconda
un uomo. Il suo padrone ha una domestica, Vera, della quale Iodok, in quanto
uomo, non disdegna le attenzioni. Dal racconto di Iodok, in quanto cane,
veniamo a sapere che il territorio attiguo alla clinica del padrone è occupato
da un non meglio precisato Zoo. Accade che su una panchina sia trovato ucciso
uno zingaro, trafficante in chissà quali cose. Viene avviata un’indagine di
polizia che terrà campo nel racconto. Più in là, ad ogni modo, Iodok,
riflettendo sulla sua “mutazione”, se ne esce con questa riflessione: “…tutto
deve essere organizzato all’interno dei parametri fissi della legge. Al di là
di essa c’è il caos: il moltiplicarsi delle forme indefinite e patogene. È
stato proprio il timore del caos, del resto, a determinare la nascita dello
Zoo… Presto, tuttavia, la legge ha cominciato a vivere per se stessa e non per
la nazione”… Siamo a questo punto già avanti nella narrazione, per quanto non
ancora alle rivelazioni finali.
Fin dall’inizio della lettura di questo “Il cane Iodok” di Aleksey Meshkov (edito da Il Melangolo, € 10) si
era tuttavia capito che un qualche genere di interpretazione lo si doveva tener
sempre presente, tipo lo Zoo come metafora di una condizione umana ingabbiata.
Dalla letteratura dell’Europa dell’Est, d’altra parte, abbiamo ricevuto altre
metafore “canine”, basti pensare a “Cuore
di cane” di Michail A. Bulgakov o a “Niki,
storia di un cane” di Tibor Dery. Nel primo – dove dei moderni dott.
Frankenstein lavorano su un funzionario comunista – sì è voluto vedere un principio
di satira (siamo negli anni Venti) della burocratizzazione bolscevica. Nel
secondo – dove il cane è “umanizzato” dai padroni in virtù della loro
solitudine – si è letta una critica (siamo negli anni Cinquanta) del regime
leninista ungherese (e al suo autore, vecchio comunista, vennero affibbiati
quattro anni di prigione per aver partecipato alla rivolta del 1956).
Oggi, che quei regimi in quei paesi non ci sono più, dobbiamo pensare,
riguardo
Il racconto di Iodok sembra porci in
ogni caso di fronte alla giovane democrazia russa come di fronte a
un’altra e fatale incarnazione dell’autocrazia. Su questo piano i politologi
hanno il loro bel daffare – e magari non devono faticare troppo per arrivare
alle stesse conclusioni. Ciò che invece è opportuno mettere nella giusta luce è
come nel romanzo di Meshkov la parabola compenetri il Thriller e come sia in fin dei conti quest’ultimo, venato di
tenui elementi fantascientifici, a prevalere. E questo, non soltanto perché nel
romanzo si assiste a una vera e propria indagine poliziesca. Il motore
principale è la continua ambiguità dell’io narrante (che quando è cane ha il
fiuto di un cane) con la sua capacità di spiazzare e chiarire a un tempo. Dell’autore,
Aleksey Meshkov, si sa che è uno strumentista nato a Mosca nel 1966 da padre
russo e madre italiana. Dal 2005 vive stabilmente in Italia.
“Licentia”, Gennaio 2009