(…)
ideologia.
Glosse
Alcuni collaboratori di
“Fogli di Via” hanno voluto da par loro commentare la conversazione fra Carlo
Romano e Claudio Papini.
L'indomani del
1989 il sospiro liberatorio con cui molti salutarono la fine certificata
dell'esperimento burocratico sovietico venne affrettatamente scambiato con il
congedo dal secolo delle ideologie e degli schieramenti tanto più tenaci e
pervasivi quanto più inconsapevoli e non tematizzati. Come se dopo la
sparizione del Geometra Supremo in cui risiedeva la sintesi falsa di ogni
contraddizione, solo il permanere delle ideologie da guerra fredda avesse
impedito l'avvento illimitato della trasparenza e del vero negli scantinati
soffocanti della falsa coscienza. Ora, a distanza d'anni, constatare come da
nessuna parte pare si sia imposto un punto di vista (tantomeno quello che
sembrò vincitore) capace di trascendere quelli particolari in una sintesi
esterna all'ideologia, spinge a riconoscere come neanche a noi sia toccata la
fortuna di poterci sottrarre, nelle modeste rotazioni storiche che ci
coinvolgono, all'orbita dell'inganno, forse costitutivamente
umano, di una falsa coscienza. Uno dei cui sbandierati, e mancati, esiti, da
Romano e Papini discusso a iosa, la "fine della storia" hegeliano-kojeviana, si affermava perché capace di
proiettare ogni vicenda in un arazzo di sfondo dove ogni inquietudine riposa
secondo un destino comandato (in base alla prospettiva preferita) dall'essere,
dalla rivelazione o dal capitale. Secondo quella vulgata, una volta esaurita la
"potenza del negativo", motrice della storia hegeliana, non ci
sarebbe rimasto che lo spettacolo di mali minori incorniciati in narrazioni
pensate per addomesticarne ogni inatteso spavento.
Non ha
conquistato l'unanimità, dunque, la tesi per cui, con la dissoluzione delle
ideologie “forti” saremmo alla fine del lungo ciclo che ha modellato l'umanità
per classi (in cui l'ideologia dominante era di chi deteneva i mezzi di
produzione) ma c'è piuttosto del vero nel nostro ritrarci abbandonati
all'agitazione-convulsione di un mostro animato ed al sospetto di cooperare,
ognuno con i propri desideri, al miglior esito di una mistificazione. Anche
quando viene respinta la prospettiva di una vicenda umana se non pacificata
perlomeno sottratta alla cornice del mattatoio dei millenni precedenti,
qualcosa permane del sogno lenitivo e tranquillizzante (noioso ?) di un mondo
amministrato pur se stravolto nei lineamenti non più classicamente liberali.
Secondo questa considerazione le successive vicende storiche, andrebbero sussunte nella categoria della storietta,
narrate da qualcuno che non se la beve, fornito com'è di quell'intelligenza
sciolta dai conflitti interpretativi del basso mondo mediatico, un intelletto
che Weber, non Max, ma il fratello meno noto Alfred, definiva, nella sua
volontà di liberarsi da ogni ideologia, "freischwebende",
sospeso in aria. Come se la voce provenisse da qualcuno che pretenda di essersi
installato, non dico nell'altro mondo, ma in un punto archimedeo da cui gli sia
consentito, se non sollevarlo, almeno passarne al vaglio di un'intelligenza
illesa, o esente da distorsioni cognitive, le sempre coinvolgenti e imperfette
passioni. Starebbe all'accortezza dello scrivente far sì che questo punto non
somigli ad una cella di manicomio (quando non di un carcere da cui sognare
libertà) o postazione di cecchino da cui sparare sulle croci rosse degli umani
in sofferenza. (Se ben ricordo letture ormai lontane, i vecchi marxisti
legavano la scomparsa dell'ideologia a quella della reificazione. Oggi per
differenziarsi dai clowns da talk-show bisognerebbe
invocare la necessità di una reificazione spinta affinché l'uomo possa
compiutamente conoscersi nell'astrazione degli scambi sociali...).
Tra i numerosi
spunti offerti alla discussione, ci soffermeremmo solo sui due seguenti: che
probabilmente "siamo l'unico animale che si annoia" e "in
effetti sembra che ognuno segua liberamente i suoi scopi personali come fossero
gli scopi di tutti ma senza essere scopi comuni".
Certo, "la
fine delle ideologie" è a sua volta un'ideologia ed i francobolli servono
anche a dimenticare: in Italia, dove, esaurite le scorte eroiche della
"liberazione", si è a malpartito per la
denominazione di nuove strade, piazze o rotatorie, qualche anno fa le Poste si
diedero al filone "prodotti tipici", con "valori" bollati
dedicati tra l'altro alla mozzarella di bufala: era questo il nostro modo di
celebrare la fine della storia , manifestando la superfluità stessa di un
improbabile e orwelliano "ministero della verità" ?
Se è vero che un
tratto caratterizzante delle ideologie era, per quanto talora occultato,
escatologico, siamo messi a confronto con un mondo dove l'unico discorso forte
ed escatologicamente attrezzato pare essere quello
religioso, variante islamica impazzita o setta paranoica.
Si è ripetuto
che il fronte occidentale dopo il 1989, ferito a morte sui cocci di bottiglia
del Muro, è rimasto vittima del proprio trionfo, con in mano il cerino acceso
del valore (declinato nella proliferazione dei diritti) privato di antagonisti
per quanto apparenti, vittima del suo successo. In effetti alcuni teorici
dell'esaurirsi per ragioni interne del capitalismo sostennero che, con il
crollo dell'Urss, esso, ben lontano dal trionfare, fece un bel passo avanti
nella propria crisi lungo la via della valorizzazione del valore grazie
all'universale dominio del lavoro astratto. Quantità di lavoro astratto,
valore, denaro e capitale crescono e impazziscono insieme: ne
testimonierebbero
l'espansione del debito e l'exploit della finanza creativa, il cui esito, sotto
i nostri occhi, è la comparsa di, permettiamoci di denominarle così,
popolazioni superflue, in alcuni casi costrette a mimare le leggi stesse della
creazione circolazione e distruzione del valore.
Folle sbandate
di ex-proprietari di forza-lavoro stentano a riconoscere la propria superfluità
e, mentre merce e valore si globalizzano, a una buona fetta dell'umanità,
espulsa dalla giostra produttiva nello scintillante luna park
dell'ascesa sociale, non resta che intrattenersi nell'angolo dei
"calci-in-culo".
L'esclusione
patita da questo ennesimo Grand Jeu,
resosi autonomo dalle strategie di conquista dei vecchi generali (fossero essi
organizzazioni di massa o padronali) è forse all'origine di quella sensazione
di noia ? Qualcuno sosteneva che la menzogna fosse il proprio dell'uomo, altri
che il riso distingueva l'uomo dall'animale, poi il progresso delle
osservazioni ci ha sottratto anche l'esclusività di quei tratti: l'uomo, questo
animale mancato, o già antiquato, come diceva Anders,
secondo il quale la fine era già arrivata e datava dal giorno di Hiroshima.
Affollato di noia, viviamo un presente all'ombra dell'autoinganno, altro che
sparizione dell'ideologia !
Se la prima
condizione per essere un soggetto fu di mettersi a lavorare, entrando nella
maschera del “lavoratore” se ne assunsero i tratti idonei alla concorrenza del
mercato: un certo rinvio dell'immediata soddisfazione, una durezza di cuore, un
distacco emotivo che oggi sono esaltate dal dispiegamento dell'automazione, più
confacente al processo autoreferenziale di una oramai stentata accumulazione.
Il narcisismo di cui Lasch vide ovunque i tratti
regressivi fu la convulsione di un soggetto in via di liquidazione per cui si
inventavano nuovi settori in cui dar sfogo alle restanti energie, tipo crescita
del terziario e dei servizi: pietosa denominazione per "lavoro
improduttivo" di scarso valore.
In termini
economicistici, scontiamo un esaurimento dell'estrazione di plusvalore nella
miniera di lavoro vivo, una caduta dei tassi di profitto, un' impossibilità di
credere ad una ennesima rappresentazione nella storia delle "distruzioni
creatrici" operate dal capitalismo cui seguirebbe l'inizio di un nuovo
ciclo.
Che vada a
sbattere o no il capitale sempre più autonomizzato
(soggetto automatico) e l'individuo addomesticato offrono spunti contraddittori
per l'allegro catastrofismo dei giorni nostri.
Ognuno
“obbligato” a lavorare, tentando di invertire la curva discendente nella
creazione del valore: il lavoratore impari nella competizione con
l'intelligenza artificiale, e l'imprenditore o lo speculatore pure asserviti al
movimento, che non comandano, di un sistema feticistico.
(Se una cosa,
anche soltanto una, la crisi acclarata del 2008 ci ha
insegnato è come agli stessi funzionari privilegiati del capitale (anch'essi
sostituibili nel gioco che li sovrasta e determina) non siano trasparenti i
processi cui sono asserviti: altrettanti apprendisti stregoni prima che
sacerdoti e manovratori del vecchio feticcio).
Quegli spiriti
animali di cui vaneggiava Sterling Hayden nel film kubrikiano, accennano oltre che alla
"liberazione" degli anni successivi (pur se la recente morte di
Hefner ci ha ricordato che Playboy al tempo del film aveva già qualche annetto)
anche a quello sfinimento riproduttivo che tanto preoccupa gli Enti erogatori
di pensioni e, di conserva, i teorici della sostituzione etnica mediante
l'importazione (manovrata dai malvagi capitalisti globali) di forze nuove e
vitali da continenti extraeuropei . E giù a rimpiangere il capitalismo di una
volta, creatore di posti di lavoro per l'onesto operaio suscettibile, se
fortunato, di divenire a sua volta padroncino con partita Iva e capannone,
mentre ora è tutto un cospirare d'invisibili e parassitarie forze demonico-finanziarie, lo ripete anche Papa Ciccio, contro
la sana fatica degli umili. Come se fosse un problema di cupidigia e
redistribuzione.
Noia e, per
contrappeso/contrappasso, distrazione: pare che conti solo la rivoluzione del
desiderio. Tramontato l'homo economicus,
l'homo festivus chiede allo stato sempre nuovi
diritti, aggiornando (come si passa o scala alla versione superiore di un
programma o sistema informatico) la tavolozza degli ormai sospettati (troppo
illuministici ed occidentali) diritti naturali che fondarono l'economia ed il
pensiero liberali dell'età moderna. Come una volta il lavoro, ora la noia
sarebbe "modo di esistenza del capitale" ?
Nemmeno i
sindacati e i partiti di sinistra riescono più a narrare la centralità di un
lavoro che ha smarrito il fascino residuale dell'asservimento alla
valorizzazione del valore sotto i colpi portatigli dalle macchine e
dall'automazione.
Si resta
bloccati nel “rifiuto di muoversi per la paura di non riuscire a rimanere in
piedi”(de Toqueville).
A lavoro
degradato, sintesi sociale degradata: le piattaforme social come surrogato
d'incontro e scorciatoia di mediazione.
Non saprei dire
per quanto tempo ancora ci si potrà annoiare da questa parte a nord del mar
mediterraneo, di sicuro, a giudicare dal tempo passato ogni mattina (e sui luoghi
stessi di lavoro o "produzione", si sarebbe detto un tempo) ad
aggiornare i "profili" sulle reti social, l'arredamento della noia ha
preso il posto della preghiera mattutina di cui si compiaceva Hegel al tempo in cui ancora i borghesi leggevano gazzette.
L'opinione twittata, revisionata e riposizionata del web perfeziona
quella amnesiaca dei vecchi e posati giornali, ed
ormai la tartaruga cartacea, pur in versione on line
non può che stare a guardare achille allontanarsi
velocemente.
Passati i tempi
di carta e inchiostro in cui si poteva sostare, a stupire o rabbrividire,
apprendendo che il giovane Goebbels tentò inutilmente di far pubblicare i suoi
pezzi sul'organo degli ebrei liberali, il Berliner Tagblatt appunto, oggi per una finestra-schermata che si
chiude ce ne sono altre dieci che si aprono: dicesi libertà d'auto-espressione
delle particelle elementari, che più parlano più dichiarano il loro essere
zombie.
Che muova un
mouse invece della matita copiativa, sempre di materiale votante si tratta. Lo
sfogatoio in cui si scrivono le nostre passioni di faziosi si modellano secondo
quello che è l'ideal-tipo corrente, l'hooligan.
“Se i cittadini
continuano a rinchiudersi sempre più in piccoli circoli di interessi futili
intrattenendosi di continuo in questi, c’è il pericolo che finiscano per
rimanere esclusi da quelle grandi e potenti emozioni pubbliche che turbano sì
le persone, ma che le fanno anche crescere e le rinfrescano” ancora Toqueville.
Resiste ancora
l'infantilismo del consumatore, tratto saliente del narcisismo, ad alimentare
il fuoco tiepido dell'impotenza, l'altra cui faccia sono i bagliori
d'onnipotenza annunciati negli scoppi di violenza insensata, scorciatoia per
una celebrità promessa a tutti o passaporto per un paradiso di vergini.
Fascinazione per
la violenza per cui ognuno diventa il proprio amico e nemico.
Né saranno
sufficienti i tanti esperimenti di neoradicamento localistico, pastorale ( il
mito della comunità a base etnica o religiosa con i suoi scambi solidali e
morigerati) ed i concomitanti ritorni di pensiero magico e antiscientifico a
riportare il corso delle cose nei vecchi binari.