Claudio
Papini - Carlo Romano
conversazione sull’Ideologia
Il colloquio risale al
settembre scorso, è stato “sbobinato” da Bo Botto e rivisto dagli autori
Carlo Si è
parlato dell'epoca attuale come dell'epoca "post-ideologica". Tutto
ebbe inizio con la fine ingloriosa dell'Unione Sovietica. D'improvviso
l'ideologia, che aveva rassicurato gli animi ingannandoli, aveva esaurito la
sua forza persuasiva sopravvivendo soltanto in forma residuale. Il secolo
ventesimo che si avviava alla conclusione era stato, si diceva, un secolo
delittuoso come nessun altro e come nessun altro condizionato dall'affettività
ideologica. Mancava ancora qualche anno alla sua conclusione che in realtà
l'ideologia si ripresentò nell'antica veste hegeliana, già rattoppata dalla
spia sovietica Kojeve, della "fine della
storia". Quanto alla fine, solo una ventina d'anni prima era stata data
per spacciata proprio l'ideologia ma nel tempo in cui Daniel Bell ne recitava
il de profundis la preoccupazione più diffusa era quella, motivata dalla
politica delle potenze atomiche, sulla fine del mondo.
Claudio Penso che con il crollo dell'U.R.S.S.
sia pervenuto alla fine un esperimento politico-economico-sociale
che un liberista come Vilfredo Pareto
(nell'opera I sistemi socialisti, 1907) aveva ritenuto realmente
possibile, a certe condizioni. Le speranze dei filosovietici che erano dalla
stessa U.R.S.S. talora largamente foraggiate, per contrastare coloro che
sostenevano gli U.S.A. (vedi il caso Italia, che peraltro non è stato l'unico),
venendo meno, hanno procurato un coccolone all'ideologia del “socialismo reale”
che era il punto di riferimento di non pochi europei. Lo era perché era
subentrata in modo diffuso in una larga porzione delle cosiddette masse,
l'illusione che l'Unione Sovietica era la realtà e l'ideale che rappresentava
il “socialismo”. Pur con le critiche di tutte le sette più o meno radicali
sparse per il mondo era difficile, nonostante i difetti a poco a poco ravvisati
in quel sistema “reale”, smentire questa convinzione. Va comunque ricordato che l'U.R.S.S. non si
riteneva una costruzione ideologica bensì un sistema fondato su una dottrina
scientifica il marxismo-leninismo che comportava anche un discorso filosofico,
ricavato dalla “Dialettica della natura” di F. Engels
che D. Riazanov aveva pubblicato, mi pare, dopo aver
fondato l'IMEL (Marx-Engels-Lenin Institut)
a Mosca. Naturalmente con la scomparsa dell'U.R.S.S
non è finita l'ideologia che è ricomparsa bella e vigorosa (si pensi al ritorno
delle religioni: guarda caso Putin ha rifondato la nuova Russia sul
cristianesimo greco-ortodosso), tanto meno è finita la storia (“res gestae gerendaeque”),
piuttosto è entrata in crisi una certa “concezione della storia” di cui Marx ed Engels nel “Manifesto del
Partito Comunista”(1848) hanno a lungo in modo chiaro dissertato. È vero però
che l'imponenza via via affermatasi presso le
Superpotenze dell'impresa tecnico-scientifica (per es. la corsa alla conquista
dello spazio; ma già la costruzione e la sperimentazione degli ordigni nucleari
ne era un segno inequivocabile) ha delimitato la forza dell'ideologia e non
solo (da questo punto di vista Emanuele Severino ha visto giusto).
Carlo A dire
il vero non so dire quanto la forza dell’ideologia sia stata delimitata dalla
situazione che hai descritto o
piuttosto si sia propagata con la minaccia atomica. Per
certi versi l’ideologia è un aspetto, malato fin che vuoi, della fantasia (e
anche della “malafede sartriana”). Con preoccupata, e
solo a tratti fragorosa, vena comica, in un celebre film diretto da Stanley
Kubrick lo strumento dell’irreversibile disastro era chiamato "bomba fine
mondo". Se alla fine la si vede esplodere, nel racconto il più agitato e
impensierito di tutti i protagonisti era un ufficiale, ma non per l'atomica
bensì per la guerra chimica che avrebbe potuto minare la sua virilità.
Avvertiva forse che da lì a poco ci si sarebbe dovuti trovare in forma per
l'esplosione della rivoluzione sessuale, questa sì deflagrata pochi anni dopo.
La bomba - quella lanciata su Hiroshima, e poi la sua
gemella finita su Nagasaki, a tutt'oggi le uniche scagliate su masse di popolazione - fu alla fine del xx
secolo il soggetto di un francobollo commemorativo degli USA che nelle
intenzioni doveva probabilmente sottolineare il ruolo che le si attribuiva
(arbitrariamente, secondo non pochi storici) per la fine della guerra mondiale
nel 1945. Ad ogni modo, com'era prevedibile, i giapponesi protestarono e il francobollo
fu tolto dalla circolazione. All'inverosimile proposito pacifista era tuttavia
anche comodo associare quella funzione di pericoloso equilibrio fra Usa e Urss
sul quale si era retto il mondo fino a poco prima e che, adesso finalmente
superato, non era improprio celebrarne l'epilogo con un monito postale. Si
pensava a un'era di pace ma se malauguratamente le guerre fossero scoppiate - e
scoppiavano - questa volta sarebbero state giuste, come voleva Agostino di Ippona, e, come vogliono gli USA, portatrici di libertà al
di là di ogni dubbio.
Claudio Credo
che il celebre film di Stanley Kubrick che è del 1964 e il cui titolo
significativo è “Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad
amare la bomba” noi lo stiamo vivendo ai giorni nostri, assistendo a questo
gioco cinese (Mâ Jong) che
sta facendo il dittatore nord-coreano Kim-Jong-Un
sperimentando in continuazione missili che vanno a cadere nel mar del Giappone.
C'è da augurarsi che chi gli ha fornito quella missilistica sappia fino in
fondo quello che fa, in quanto se uno dei missili cade su suolo giapponese,
credo che sarà inevitabile la reazione statunitense. A questo punto scatterà
anche quella sud-coreana e c'è davvero da chiedersi cosa faranno la Cina e la
Russia, tenendo presente che se è davvero un gioco cinese, nel senso che Kim-Jong-Un è una Testa di Turco manovrata dalla Cina c'è
il rischio che il conflitto si estenda vertiginosamente. Il film di Kubrick ha effettivamente – come
dici tu – una vena comica fragorosa grazie sostanzialmente alla bravura di
Peter Sellers e di tutti gli attori principali. Inoltre, quando il film fu
fatto, si era da non molto usciti dalla crisi di Cuba, dove si era evitato, per
un pelo, lo scatenarsi della guerra termonucleare fra U.S.A. e U.R.S.S. e
c'erano fondati motivi di ottimismo. Certo quella della rivoluzione sessuale è
una bella anticipazione (una bella alzata d'ingegno estetico) da parte di
Kubrick, perché effettivamente la si è sempre collegata all'esplosione del rock-and-roll: non casualmente Elvis (Priesley)
era chiamato “The Pelvis”.
Carlo Beh,
ho la sensazione che la faccenda sia più complicata e non son sicuro che
quell’anticipazione sia stata effettivamente robusta. Per la “rivoluzione
sessuale” erano in ballo i valori della borghesia, considerati più o meno
“vittoriani”, minacciati dalla
progressiva influenza di elementi diversi, e variamente intrecciati, quali i
fenomeni massivi (con la democratizzazione dell’informazione) e la psicanalisi.
Centrale era la nozione di “repressione” la quale, sottoposta alla critica
“anti-autoritaria”, senza nulla togliere alle sue sacrosante ragioni, si
risolse consumisticamente nell’obbligatorietà del
sesso ridotto alla moltiplicazione di fantomatici “diritti” (che costituisce un
aspetto importante dell’ideologia contemporanea).
Claudio Non
ne discuto, tanto ciò è lampante.
Carlo Ecco,
torniamo alle “guerre giuste”. Lo scompiglio portato nei paesi ad oriente del
Mediterraneo con solenni buone intenzioni democratiche ha partorito una recrudescenza
in chiave violenta dell'islamismo quale mai si era vista. Nei paesi d'Europa
contemporaneamente preoccupati per i fino a un certo punto controllati flussi
migratori si è teso appiattire il tutto su questioni religiose ed etniche con
la denuncia del carattere aggressivo della fede musulmana. Il fatto è che nel
volgere di pochi lustri la popolazione mondiale si è raddoppiata e fra i 7
miliardi e oltre di persone che popolano il pianeta era inevitabile che ci
fosse chi si spostasse - con evidente coraggio ma presumibilmente a malincuore
- dal paese natale. Tanto più che in certe aree, come quella africana un tempo
autosufficienti, le vecchie politiche coloniali e post-coloniali, avevano
portato all'esaurimento della civiltà di villaggio a favore di assurde e
miserevoli megalopoli, le più grandi al mondo.
Claudio
L'Islam è oggi la religione più professata al mondo,
mentre il cristianesimo nelle sue varie versioni è in declino (questo lo si sa
da parecchio tempo). Non c'è dubbio però che tendenzialmente l'Islam dimostra
di voler accrescere la sua diffusione sempre di più rispetto al cristianesimo.
Alcuni paesi originariamente convertitisi all'Islam hanno formidabili contrasti
endogeni ed esogeni, nel senso che da un lato scontano le contraddizioni derivanti
da un processo di modernizzazione, dall'altro scelgono con una certa facilità
la via dello scontro armato. Non è facile conciliare il desiderio della
modernizzazione con la volontà di rimanere legati a concezioni di tipo
medioevale, d'altronde la mondializzazione dell'economia e dell'informazione
crea a questi paesi (come ad altri non islamici) non pochi problemi. Il
fenomeno dell'emigrazione dai paesi islamici verso l'Europa (e l'Occidente in
genere) non è molto gradito, anche se alcuni governi cialtroni dell'Occidente
in declino si ostinano a credere il contrario. Comunque io non mi sento di
escludere che possano gli islamici, in un arco di tempo non esageratamente
lungo, riuscire a ripetere in Europa in una maniera originale quello che i
Cristiani e gli Ebrei (alle origini la sinagoga era il Tempio di entrambi e la
Chiesa Cristiana fu poi completamente governata nei primi secoli dagli Ebrei
convertitisi al Cristianesimo) hanno fatto nell'ambito dell'Impero Romano. Non
so se questo processo sarà indolore, non lo credo. D'altronde lo Stato Islamico
di Al-Bagdhadi, anche se sta scomparendo, ha dato un
bell'esempio; peraltro non molto dissimile dalle guerre e rivolte degli Ebrei
contro l'impero Romano dal 6 o 7 d.C. (rivolta contro la legge del Censimento, essendo
Augusto imperatore), fino al 135 d.C.
(essendo Adriano imperatore, con la cancellazione della terra degli Ebrei dalle
carte geografiche e con il divieto agli Ebrei di risiedere a Gerusalemme. Sulle
rovine di quest'ultima fu passato l'aratro e poi fu, non proprio nello stesso
sito, costruita la città di Ælia Capitolina, colonia
romana).
È
innegabile che quando Tu citi i 7 miliardi di persone che popolano il
pianeta, risieda in questo fatto il
potenziale esplosivo che ha messo in moto il fenomeno dell'emigrazione che è
dinnanzi ai nostri occhi. Le cause sono diverse e sono state individuate a buon
senso e secondo schemi mentalmente pregressi. Credo però che, lasciando perdere
tutta l'amplificazione sentimental-propagandistica
dei mass media, della Chiesa cattolica apostolica romana e della Sinistra in
genere sia meglio riflettere (ancora una volta) su quanto ebbe a dire Napoleone
Bonaparte a suo tempo con ammirevole preveggenza: “La Cina è un gigante
addormentato, quando si sveglierà cambierà il corso della storia nel mondo”.
Direi che il valore di questa preveggenza lo abbiamo sotto i nostri occhi
quotidianamente. Non solo ci sono Cinesi ovunque ma la penetrazione cinese nel contiente africano, ha contribuito ad aumentare l'esodo di
popolazioni che trovandosi in condizioni di forte disagio anche per i motivi da
Te citati hanno preso la via dell'Europa in una misura assolutamente
sproporzionata rispetto alle effettive capacità di assorbimento del nostro
continente (la cifra di più di sei milioni che riguarda l'Italia fa testo ed è
politicamente enorme che i governi degli ultimi trent'anni abbiano permesso
ciò: naturalmente la Sinistra si è distinta in questa iniquità ignobile verso i
propri concittadini, illudendosi che le sviolinate di Juncker
in Europa e le pacche sulle spalle in sede ONU bastino a giustificarla di
fronte alla maggior parte degli Italiani che di buon senso ne hanno da vendere,
anche se sono soliti cadere nelle trappole sentimentali religioso-politiche).
Piuttosto direi che sia interessante la sottile politica cinese e a parte le
cialtronerie nostrane partecipate sentimentalmente dai soliti mass media,
sarebbe interessante indagare sul partito trasversale filocinese che interessa
i nostri politicanti. Non dimentichiamo mai che dall'inizio del dopoguerra (II
conflitto mondiale) fino al fatidico 1989 i maggiori partiti italiani sono
stati finanziati rispettivamente dagli U.S.A. e dall'U.R.S.S. Ora è noto che i
lupi e gli allupati perdono il pelo ma non il vizio, e questo silenzio sulla
Cina la dice abbastanza lunga.
Non voglio
pensar male (solo per non esagerare in un mio imprescindibile diritto) ma la
libertà di operare che è stata concessa ai famigerati scafisti attivi verso il traghettamente degli africani e delle popolazioni del vicino Oriente, dà
parecchio da riflettere, visto che il ministro dell'Interno Minniti
e il presidente del consiglio Gentiloni non appaiono
per niente originali nel loro agire e si è dunque dovuto aspettare tanto? Da
quali umbratili figure il governo era bloccato, nell'agire per l'utilità del
paese? Ha dovuto prima muoversi Macron (noblesse oblige!) perché ci si
decidesse a fare qualcosa? Rimango dell'idea che questo paese è davvero in
pericolo. Dopo la bellezza di settantadue anni, questa repubblica continua a
galleggiare e a vivere di rendita sull'inermità di se
stessa e dunque di un popolo che di per sé non lo vorrebbe essere per niente
inerme se non fosse, per sua sfortuna, costretto a recitare una commedia senza
senso che si perpetua di decennio in decennio dal 1945.
Tornando ai
problemi del mondo islamico, e segnalando ancora le sue grandi divisioni
religiose e politiche, non va dimenticato il problema della presenza di Israele
che, resta una spina nel fianco, alla quale credo che i mussulmani abbiano
difficoltà a rassegnarsi. Certo c'è differenza fra Stato e Stato. Però non mi
pare che i timori degli Israeliani siano campati in aria. Peraltro Israele è superarmato,
disponendo anche di ottanta ordigni atomici (non so dire però quale tipo di
controllo esercitino in proposito gli U.S.A.).
Carlo
Mi lasci sopraffatto dalle tue capacità di
argomentazione, ciò nondimeno voglio sottoporti una questione. Ricordo che
negli anni seguiti alla seconda guerra mondiale ci furono casi singolari di
omicidi di massa che non figurano alla voce “terrorismo”. In almeno due casi
(uno ripreso anche nel film “Sono un agente dell’FBI”) ci fu chi, per intascare l’assicurazione,
riempì di esplosivo le valige di un congiunto che si accingeva a spostarsi in aereoplano, indifferente alle decine di morti che avrebbe
causato e che causò. Per inciso mi viene da chiedere se sia meglio riposta la
speranza nelle assicurazioni o quella nel paradiso, sta di fatto che eventi
delittuosi di tale portata hanno avuto negli anni seguenti un crescendo –
soprattutto negli USA, ma anche in Europa - che sembra non fermarsi pur essendo
spesso apparentemente privo di concrete motivazioni, alla maniera dell’”atto
gratuito” di gidiana memoria. Ma è il terrorismo,
specialmente religioso, che è causa, soprattutto fra gli europei, di inquieti
sentimenti, non di rado vicini alla paura, che favoriscono risposte,
altrettanto aggressive di quelle che hanno suscitato il senso di minaccia - risposte
che si sono per altro formalizzate in nuove formazioni politiche. In un quadro
del genere si è preteso, con malinteso senso della tradizione, che la propria
provincia - di cui poco prima ci si lamentava per la noia - dovesse rimanere
immutata, cosa che non era mai stata e la cui eventuale degenerazione, rispetto
al tenace modello mentale diffuso, era tutta da attribuire agli autoctoni, non
certo agli immigrati. Le paure legate a concrete, nonché spettacolari, forme di
terrorismo, sono affiancate dalla percezione di un aumento della criminalità
comune attribuito ai nuovi e sgraditi ospiti. La "sicurezza" è
diventata a questo punto uno dei principali motivi di consumo come non lo sono
più - ma è solo una mia impressione - i formaggini avvolti uno per uno nella
stagnola che piacevano soprattutto ai bambini e ai vecchi ma che era difficile
potessero fregiarsi di uno di quei titoli di qualità cui si aggrappano i
buongustai di massa che si agitano nella massa dei buongustai, mai così
buongustaia e mai così massa.
Claudio
Che l'invasione islamica dell'Europa, parlo di quella
odierna (non di quelle Araba e Turca del passato) scatenasse non pochi problemi,
non ha costituito una sorpresa, anche perché non sono solo gli islamici a
muoversi verso Occidente ma anche genti
che appartengono a popoli dell'Asia (a partire dai già citati Cinesi),
dell'Africa, dell'America (meridionale). Inoltre, per l'Europa, si pongono
altre questioni: si veda per fare un esempio, l'affluenza di Rumeni e di Rom
nel nostro paese (dunque di cittadini comunitari che si spostano da un paese
all'altro nell'ambito della UE). Non c'è dubbio però che quella che ha
preoccupato e continua tuttora a preoccupare è quella islamica (nonostante non
pochi fiancheggiatori – a sinistra - l'abbiano favorita: ricordo fra gli altri,
inizialmente, Bettino Craxi che stipulò accordi con la Tunisia e il Marocco e
che comunque era in grado allora, agli inizi, di tenere la situazione sotto
controllo, poi via via gli acerbi critici e
successori dello stesso (a sinistra) allargarono i buchi nella rete e si giunse
alla politica delle porte “aperte”. Va però ricordato che la Sinistra (quella
detta o sedicente marxista) ha sempre avuto un debole verso i finti profughi.
Infatti al tempo del famoso colpo di Stato in Cile del generale Pinochet, nei
primi anni '70 del XX secolo arrivarono in Italia (e anche a Genova) persone
che facevano parte della piccola malavita di colà che il regime militare
instauratosi, essendo fautore dell'ordine, promuovendo una pulizia non solo contro
gli avversari politici ma anche contro la delinquenza spicciola si proponeva di
allontanarla dal proprio territorio nazionale. Certo le cattive condizioni
sociali hanno favorito via via dal sud America,
assieme alla migrazione dovuta a motivi economici, anche tutta una bohème (erotico-mercenaria) variopinta di prostituzione maschile e
femminile, di transessuali (e delle loro relative corti dei miracoli) di cui
l'Italia e l'Europa possono certamente oggi menare vanto. Il centro-destra non
ha reagito con la dovuta fermezza (come hanno cercato di fare altri paesi
europei) un po' per la falsa convinzione che questo fenomeno fosse
estemporaneo, un po' per non contrastare troppo una linea centrista che lo
metteva al riparo dalle solite accuse che la sinistra (mediante i giornali e le
televisioni ad essa affiliati) cominciasse a propalare le solite litanie piazzaiuole sul risorgente fascismo e così via. D'altra
parte, alcuni esponenti della Sinistra quando non erano al governo, esportavano
tali cretinate anche all'estero, facendosi sì bella propaganda - presso i loro
sodali presunti che nel rapporto al
senso della (e con la) propria patria avevano comunque ben altre idee – finendo
loro malgrado con l' accreditarsi essi medesimi alla consueta servitù che
avevano in fondo sempre costituzionalmente praticato (non da soli) nei
confronti delle stesse superpotenze.
A parte
comunque questo non produttivo amarcord, pur
non rassegnandosi occorre capire che le
stratificate mentalità europee, asiatiche, africane, sudamericane hanno
notevolissime difficoltà ad intendersi fra loro. Ciò peraltro avviene in modo
attenuato anche all'interno di popoli che sono stati nel corso della loro
storia isolati (per notevole durata di tempo rispetto ad altri) che volenti o
nolenti si sono relativamente incontrati con altri, creando rapporti che si
sono via via consolidati.
Circa la
sicurezza, al di là e al di qua delle querelles
politiche di modesto cabotaggio, lo Stato deve garantirla (deve cioè garantire
il rispetto delle legge, senza se e senza ma). Questo è
indispensabile: se non avviene saranno i cittadini a provvedere personalmente,
armandosi. Certo non tutti, perché molti hanno timori, che anche agendo per
legittima difesa, di andare incontro a molteplici guai. Purtroppo troppo, c'è
una curiosa caratteristica nel costume italiano, incoraggiata dalla cretineria
ufficiale oggi imperante, secondo la quale è meglio patire, piuttosto che
reagire. Certi casi hanno fatto emergere una triste verità, e cioè che le stesse
forze dell'ordine consigliano di lasciar perdere, quando si subisce una
sopraffazione. Non credo che lo facciano per giudizio critico meditato ma
perché arrivano le solite indicazioni dall'alto. Credo sia meglio l'educazione
siberiana: altro che simili desideri di creare pecorelle, con il rischio di
vedersele macellare. Certo se si reagisce si affronta qualche rischio ma è
inevitabile, con la società in cui viviamo, organizzare la propria autodifesa
(come in fondo accadeva nei secoli trascorsi). Se uno si guarda in giro ha la
sensazione che la popolazione stia invecchiando, che i giovani siano piuttosto
rari, e che a partire dalle donne siamo diventati tutti inermi, perché questa
dannata società con tutta la sua putrescente retorica ci ha voluti così. Nulla
di strano che chi viene da società che hanno ben altri valori che non sono stati “massaggiati”
in saecula saeculorum dal
cristianesimo (o che del cristianesimo semplicemente se ne infischiano), si
muovano in Italia con ben altra disinvoltura. Questo non significa che gli
stranieri siano tutti così, ma che una discreta porzione sia tentata di
esserlo, a parte quelli che lo sono perché erano già fuorilegge al loro paese.
Prendiamo un esempio banale: quando ci sono in Italia partite internazionali di
calcio, soprattutto di clubs che hanno un rilevante
seguito di tifosi accaniti, questi
stessi seguono le loro squadre, e spesso e volentieri si attuano da parte di
questi hooligans comportamenti assai incivili. Negli
anni '60 del secolo scorso, nessuno di costoro avrebbe tenuto un comportamento
del genere, lo avrebbe fatto a casa propria non qui. Perché si sarebbe
aspettato una reazione adeguata: ormai si può deturpare monumenti o cercare di
infrangerli e lo si può fare senza che nessuno degli Italiani reagisca (è
evidente che le cosiddette “forze” (sic!) politiche hanno svuotato il senso di
appartenenza al territorio nazionale, riuscendo a commettere quel capolavoro di
iniquità (verso gli italiani) che è la complicità di quasi tutti nei confronti
di una vera e propria invasione (di extracomunitari) che è diventata come se
fosse un'autoinvasione. Ora credo come cosa evidente
che non faccia piacere in generale alla persona normale che alle delinquenza
nostrana si sia aggiunta quella comunitaria ed extracomunitaria, che alla
sovversione casereccia si sia aggiunto il terrorismo ( almeno nella sua fase di
incontrastata, placida realtà di tipo strategico-organizzativo),
che alle paturnie religiose nostrane si siano aggiunte quelle di altre
religioni e così via. Il fatto che alla negatività di certi tratti degli
indigeni si sia aggiunta una negatività esterna, tacitata grazie ad una pretesa
positività economica, non fa derivare un saldo positivo, poiché la positività
economica nasce da una illusione e cioè che una flessione in atto della
natalità in Italia fosse irrecuperabile (come se 55 milioni di Italiani fossero
pochi, come lo erano e lo sono tuttora pochi
gli Scandinavi). Era sufficiente prendere misure simili a quelle attuate
in Francia (sotto la presidenza di François Mitterand)
di aiutare le famiglie spronandole a fare il terzo figlio e nel frattempo
avviare certe riforme strutturali della nostra economia che tuttora sono al
palo. Per me non c'è dubbio che il dopoguerra pur con un andamento
politico-ideale anche schizofrenico ha proseguito (ad majorem
gloriam victorum)
lentamente i risultati della seconda guerra mondiale: in Italia i vincitori di
tale conflitto hanno trovato, discepoli che seppur conflittuali hanno inteso
ridimensionare in tutto e per tutto, compiacendosene, l'autonomia del proprio
paese. Dopo la prima guerra mondiale chi si trovava a governare l'Italia: si
poneva la domanda su che cosa doveva fare e quali erano le prospettive
praticabili effettualmente dall'Italia. Finito il
secondo conflitto mondiale: le domande dei governanti d'Italia erano diventate
(quelle più assillanti): che cosa penseranno di noi a Washington e a Mosca? Le
forze che potevano sfuggire a questa trappola erano presenti nel paese ma
rischiavano di confondersi con il neo-fascismo che sembrava aver catturato
un'istanza che invece era ben presente nel pensiero di alcuni non fascisti. Fra
i quali Benedetto Croce che chiedeva nel 1949 di non firmare i trattati di pace
con i vincitori, opponendosi tanto all'orientamento della Democrazia Cristiana
quanto a quello del Partito Comunista (sostenuto, con assoluta ingenuità, dai
Socialisti). Sarà controvertibile ma è da questi presupposti che nasce in
Italia quella inermità (sottomissione agli U.S.A.
che, dati gli accordi internazionali di fondo, non dispiaceva nemmeno
all'U.R.S.S. che voleva un paese comunque non più nazionalmente aggressivo ma
lacerato in se stesso e tendente - nonostante l'adesione alla N.A.T.O.- ad un neutralismo fondo (che ritrovava
nell'articolo della costituzione rifiutante la guerra una stampella
perennemente invocata da coloro che vogliono permanere in questa condizione di inermità che porta a forme di ruffianeria inusitate.
Carlo A
questo proposito direi che ci si è aggrappati in un primo momento al
"libero mercato" globalizzato ma si è pensato in seguito che un
ritorno al nazionalismo economico potesse dare maggior sicurezza ed
eventualmente, volendo salvare la coerenza, poter sostenere - con
caratteristica mancanza di ironia - che lo Stato abbisognasse di un proprietario,
ma le nuove formazioni politiche - caratterizzate dall'avversione nei confronti
delle recenti immigrazioni – hanno ripreso, ventilando la democrazia contro
un'arbitraria presa di possesso delle istituzioni, quella che anni prima era
chiamata "economia mista", ma senza ammetterlo, esagerando così una
fedeltà alla libera economia in nome del "mercato".
Claudio Va riconosciuto all'attivismo cattolico
del dopoguerra (nell'Europa disastrata dal II conflitto mondiale) di aver
elaborato un progetto per unificare i popoli dell'Occidente europeo. De
Gasperi, Adenauer, Schumann, Monet hanno preparato
quelle condizioni che hanno portato alla formazione dell'Unione Europea (nel
1956 con i Trattati di Roma). Cristianesimo e liberismo economico hanno
caratterizzato il periodo della Rinascita e del cosiddetto “miracolo
economico”. Le difficoltà che il nazionalismo francese ha dapprima opposto si
sono stemperate grazie all'intelligente politica del generale De Gaulle che
ritornato, durante la crisi dell'Algeria, alla Presidenza (divenuta forte,
grazie ad un mutamento costituzionale) della Francia, ha avviato un processo di
riconciliazione con la Germania Occidentale che è probabilmente l'unico grande
evento storico che ha posto fine alle lotte sulla frontiera del Reno.
Tralasciando le invasioni dell'Impero romano da parte delle popolazioni
germaniche, e partendo dall'insediamento di una di esse, resosi stabile (quella
del popolo dei Franchi) dall'800 p.C.n. fino al 1945,
dunque da Carlo Magno a Hitler, quel fronte è stato tormentatissimo.
Oggi la quiete ci appare quasi incredibile, ricordando anche soltanto gli
scontri delle ultime due guerre mondiali. De Gaulle, è noto ha sviluppato la force de frappe (dotando la Francia di
un considerevole armamento atomico) e ha
cercato di tenere l'Inghilterra fuori dall'Europa Unita, stimandola legata
troppo a doppio filo agli Stati Uniti. Pensando ai giorni nostri, l'orgogliosa
autoaffermazione britannica promossa con la cosiddetta Brexit
fa pensare non alla celebre denigratoria espressione di perfida Albione
ma piuttosto ad una rinnovata sintonia storica (in contemporanea con l'ascesa
di Donald Trump alla Presidenza degli U.S.A.) in nome della Democrazia
Atlantica (con la ripresa di quell'asse che fu già fra Ronald Regan e Margareth Tatcher negli anni '80 del secolo scorso), in vista di un
rilancio del modo di produzione capitalistico tradizionale dell'Occidente e, al
tempo stesso, di una conservazione di quel modello come lo è venuto definendo
appunto la stesso Democrazia Atlantica (la quale non sembra gradire il processo
che sta caratterizzando l'Europa Unita grazie alle sue trasformazioni, fra le
quali ha proprio peso l'immigrazione su larga scala. Sotto questo aspetto
l'Europa sta rincorrendo un processo che fu già caratteristico dell'antico
Impero romano e ne provocò l'indebolimento). Evidentemente la globalizzazione è
un fenomeno complesso e sotto certi aspetti pericoloso. Senza demonizzare alcunchè questo fenomeno merita di essere studiato, senza i
facili ottimismi di comodo vantati, come è naturale, da coloro che ne
profittano nelle più differenti maniere (e, purtroppo, da coloro che sono
trascinati da entusiasmi sentimentali di non ben chiara natura che sconfinano
nel delirio masochistico).
Carlo Non so
cosa ne pensi, ma mi pare che a dispetto di colossali sperequazioni si possa
azzardare - e c’entra anche l’indebolimento di un ceto medio già fiaccato
nei valori, come abbiamo visto sopra – che il mondo si sia proletarizzato facendo così della
causa di ognuno la causa dell'umanità. In effetti sembra che ognuno segua
liberamente i suoi scopi personali come fossero gli scopi di tutti ma senza
essere scopi comuni. L'ideologia è la forza economico-politica, merce fra le
merci, che impedisce lo siano. Ma quando
nel dibattito pubblico si evoca l'ideologia ci si riferisce
sostanzialmente ai comunismi e ai fascismi, semplificati nei fenomeni
sanguinari che sono stati evitando così di riflettere sulla forza diffusiva del
pensiero che li ha guidati. Ma ciò abbiamo qui delineato ripercorre
sommariamente un'immersione nella sfera ideologica per molti versi più potente
delle scomparse dittature criminali. E, va aggiunto, quel che si è delineato
per la storia recente vale anche per quella passata, coeva ai suddetti regimi.
Negli anni Cinquanta, Wittaker Chambers
- l'ex comunista finito sostenitore del maccartismo e opinionista al "Time" - scrisse: "negli USA gli operai votano
democratico, le classi medie partito repubblicano e quelle alte sono
comuniste". È di questo potere capace di creare confusione e di
ingarbugliare la realtà che si è parlato.
Claudio Il libero mercato è un potere che, in
quanto prodotto dagli individui umani, essendo mediato dalla natura, si
esercita in quanto realtà umana e naturale (insieme) sugli stessi individui
umani. Come tutte le altre produzioni umane, esso rappresenta un progresso e un
destino al quale si vuole, dati i difetti, sfuggire. È un po' come l'asserzione
di Bacone, si domina la natura obbedendole. È chiaro che il mio dominio
della natura è condizionato dal fatto che debbo obbedire ad essa. E se è così
non c'è dubbio che essa mi domina e che io posso spostare grazie alla
conoscenza acquisita delle sue regolarità, questo tipo di dominio e ricercarne
uno migliore. Si tratta però di una situazione inestricabile, dalla quale ci si
svassalla solo relativamente attraverso il progresso
verso forme migliori (o che almeno ci si augura che siano tali). Questo è il
terreno della scienza, il resto si potrebbe dire è ideologia, e questo non
impedisce che certi tipi di ideologia ritornanti concedano per quel che possono
attraverso per es. l'utopia consolazioni non dissimili dalla luminosità delle
religioni alle loro origini (quando sono credute, senza essere insidiate dallo
scetticismo). Quando Marx parla di “feticismo della
merce” richiama non casualmente un fenomeno religioso che lega il selvaggio al
suo idolo. Quest'ultimo è reso potente da colui che lo venera e che gli
attribuisce inconsapevolmente un potere che risiede in lui stesso e l'idolo è
animato; non è tanto un inganno dell'occhio quanto dell'intelletto. Ora la
merce è un prodotto raffinato che deriva da un contenuto originario naturale
trasformato dalla tecnica umana che può diventare, come è effettivamente
accaduto, nel corso dei secoli, capace di esaltare sempre più la tecnica umana
rispetto a quanto vi era in origine di
naturale, facendo scomparire quasi completamente questo tratto. Chi vede tale
prodotto vede una rappresentanza complessa dell'umanità che è legata al valore
d'uso e al valore di scambio ma che è effettivamente qualcosa di più che
affascina lo spettatore. Insomma, siamo tutti di fronte ad una
transustanziazione contemporanea dell'umano e del naturale, E questo
spettacolo è nella nostra società sempre più diuturno. A ragione Guy Debord ha parlato a suo tempo
di società dello spettacolo. Teniamo presente che dalla rivoluzione
industriale del XVIII secolo che può essere considerata la seconda (essendo la
prima quella dei mulini ad acqua e a vento del medio evo, peraltro già
conosciuti dagli antichi Greci e dai Romani) se ne sono succedute non poche
fino alla rivoluzione informatica (burotica, robotica e telematica) con tutti
gli approfondimenti e i miglioramenti collegati. La società umana è un eterno
spettacolo tendente a derealizzare quel che è
semplice e concreto, facendo sì che l'apparenza diventi realtà e quest'ultima
apparenza ed operando al tempo stesso un'illusione che conferma la
predisposizione radicale dell'individuo umano all'ideologia. Tutto
questo ci rimanda ad una condizione di fondamentale ambiguità che è già stata
accennata con il rapporto radicale fra uomo e natura, dove quest'ultima è ora
più domestica e meno padrona, ora esattamente il contrario. Ma l'insormontabile
radicalità non è mai ovviata nel senso di avere una domesticità assoluta o una
padronanza assoluta. Come è noto Giacomo Leopardi ha invocato fra gli uomini la
solidal catena contro l'ascoso poter
che a comun danno impera e l'infinita vanità del tutto. E questo si
comprende anche, se non soprattutto, estendendolo alla storia umana dove il
rapporto signoria-servitù di hegeliana memoria
(ritornante nei versi di Heinrich Heine:
Sorridendo muore
il tiranno,
poich'egli sa che
dopo la sua morte
l'arbitrio muta
solo di mano
e la servitù è
senza fine.
è una costante
irrinunciabile nel tessuto dei diversi popoli e appare come una riproduzione dell'inesorabile relativo
dominio della natura sull'uomo che è nato con la storia dell'uomo cui ha fatto
da culla la natura stessa da un certo momento in poi. Detto in termini più
banali ci possono essere diversissime modalità di potere dell'uomo sull'uomo ma
è impensabile che non ne esista alcuna, essendocene una più antica nell'ambito
della quale sempre noi ci troviamo anche se con ruoli effettivamente diversi (nulla
di strano dunque che la scienza e la fantascienza abbiano sempre attirato
l'individuo umano, poiché il potere sulla natura da parte dell'uomo
ingigantendosi diminuisce quello appunto che grava sull'uomo da parte della
stessa natura). Ed ecco altresì l'interesse per un progresso che muta al tempo
stesso il rapporto uomo-natura e quello fra uomo e uomo). È facile scivolare
nella fantascienza e nell'utopia, come fu facile lasciarsi accendere l'animo
dalle speranze religiose. In fondo nel possibile, tutto è possibile. Ma se
rimaniamo vincolati alla realtà e alla possibilità concrete che la realtà
stessa ci offre, ci accorgiamo che il progresso ci costringe sempre a muoverci
nel relativo e non ci sono discontinuità assolute ma soltanto, appunto,
relative. Esperienza questa, con cui, anche i rivoluzionari più accesi, hanno
dovuto fare più di un compromesso, inevitabilmente.
Carlo Quando
gli esperti strepitano di ideologia si rifanno sostanzialmente a ciò che
ottunde la coscienza di quel che si è, del proprio ruolo, di ciò che
individualmente o collettivamente è profittevole. Questa nozione risale a Marx (ma un pensatore cattolico come Antonio Rosmini si espresse negli stessi anni in modo analogo).
Studiosi successivi quali Karl Mannheim lamentarono
il livellamento sui dati più visibili dello scontro sociale della nozione
originaria, ma di fatto non la contestarono. Ciò nondimeno, come osservò
Giovanni Sartori, "più la parola diventa popolare tanto più diventa
oscura" oppure, come si è visto, semplicemente assimilata a precisi regimi
politici. Il punto è cercare di chiarire, accogliendo la convinzione di Marx, dove possa portare la sua critica.
Claudio
Tutti i salmi, si dice, finiscono in gloria. È noto che del termine ideologia
in molti hanno trattato, a proposito e a sproposito, comunque andando oltre
quanto asserito dalla corrente filosofica francese che ha foggiato il nome (e
ha subito, non per questo motivo, lo sdegno di Napoleone Bonaparte che però ha
posto in evidenza un tratto che appartiene all'ideologia in quanto tale,
essere dunque un pensiero, un insieme coerente di idee che non vanno al cuore,
alla radice dei rapporti politici reali, ai quali egli, da uomo di potere,
aveva sempre lo sguardo fisso). Bonaparte è stato un militare e un politico che
ha sempre tenuto presente, né poteva fare diversamente per motivi professionali
e per la brillante carriera politica, sia la forza sia il consenso che sono,
anche romanamente, la duplicità che garantiva agli imperatori la stabilità e lo
splendore del loro imperium. Marx ed Engels hanno avuto come
ideale sia quello politico sia quello scientifico (si sono interessati però
anche parecchio di storia militare) e la critica dell'economia politica
(borghese, alla quale però viene riconosciuto attraverso l'opera di A. Smith e
di D. Ricardo, un autentico contributo scientifico in sede di economia
politica) che essi sono venuti svolgendo si arrichisce
anche con un discorso filosofico, sociale, politico e rivoluzionario che ha
come finalità il rovesciamento dei rapporti economici e sociali capitalistici.
La “scienza della storia” è il loro ideale scientifico (come si dice nell'Ideologia
tedesca) che, praticato con instancabile assiduità, viene però anche
effettivamente perseguito con l'attività politica organizzata. Dato e non
concesso che la critica dell'economia politica fosse (attraverso il tre
libri del Capitale, le Teorie sul plusvalore e le altre brillanti
opere di entrambi) la chiave migliore per la comprensione della società
borghese del secolo XIX, e che la I Internazionale fondata a Londra nel 1864
fosse un'organizzazione assai migliore di quanto essa fosse in realtà, non per
questo al progetto scientifico e a quello politico era garantito il successo,
in quanto si tratta di progetti umani che nella storia si incontrano e si
scontrano con altri progetti che possono impedire loro di realizzarsi (anche se
teoricamente sono realizzabili certamente a determinate condizioni). La non
riuscita nella parte occidentale dell'Europa e degli U.S.A. dove il capitalismo
aveva raggiunto livelli di maturità considerevoli, non ha impedito lo
straordinario esperimento in Russia e poi in Cina. La crisi e il crollo dell'U.R.S.S- 1989-1991) e la svolta cinese sotto Deng-Xiao-Ping hanno ridimensionato questo orizzonte,
mettendo in sordina un orientamento della storia che sembrava aver assunto un
ritmo e una direzione irreversibili. Eppure tutt'oggi non sembra che si possa
trattare Marx come “un cane morto”, così come è
tuttora difficile farlo di Hegel. Però per
l'esercizio di una critica davvero approfondita occorre un altro approccio ed
un altro sviluppo teorici. Forse aveva ragione Benedetto Croce quando asseriva
che Marx era “ un Machiavelli del proletariato”,
epiteto acuto e di grande elogio, visto che la celebrità di Machiavelli nei
secoli non è mai venuta meno.
“Fogli
di Via”, gennaio-giugno 2018