Claudio Papini - Carlo Romano

conversazione sull’Ideologia

Il colloquio risale al settembre scorso, è stato “sbobinato” da Bo Botto e rivisto dagli autori

Carlo Si è parlato dell'epoca attuale come dell'epoca "post-ideologica". Tutto ebbe inizio con la fine ingloriosa dell'Unione Sovietica. D'improvviso l'ideologia, che aveva rassicurato gli animi ingannandoli, aveva esaurito la sua forza persuasiva sopravvivendo soltanto in forma residuale. Il secolo ventesimo che si avviava alla conclusione era stato, si diceva, un secolo delittuoso come nessun altro e come nessun altro condizionato dall'affettività ideologica. Mancava ancora qualche anno alla sua conclusione che in realtà l'ideologia si ripresentò nell'antica veste hegeliana, già rattoppata dalla spia sovietica Kojeve, della "fine della storia". Quanto alla fine, solo una ventina d'anni prima era stata data per spacciata proprio l'ideologia ma nel tempo in cui Daniel Bell ne recitava il de profundis la preoccupazione più diffusa era quella, motivata dalla politica delle potenze atomiche, sulla fine del mondo.

 

Claudio Penso che con il crollo dell'U.R.S.S. sia pervenuto alla fine un esperimento politico-economico-sociale che un liberista come Vilfredo Pareto (nell'opera I sistemi socialisti, 1907) aveva ritenuto realmente possibile, a certe condizioni. Le speranze dei filosovietici che erano dalla stessa U.R.S.S. talora largamente foraggiate, per contrastare coloro che sostenevano gli U.S.A. (vedi il caso Italia, che peraltro non è stato l'unico), venendo meno, hanno procurato un coccolone all'ideologia del “socialismo reale” che era il punto di riferimento di non pochi europei. Lo era perché era subentrata in modo diffuso in una larga porzione delle cosiddette masse, l'illusione che l'Unione Sovietica era la realtà e l'ideale che rappresentava il “socialismo”. Pur con le critiche di tutte le sette più o meno radicali sparse per il mondo era difficile, nonostante i difetti a poco a poco ravvisati in quel sistema “reale”, smentire questa convinzione.  Va comunque ricordato che l'U.R.S.S. non si riteneva una costruzione ideologica bensì un sistema fondato su una dottrina scientifica il marxismo-leninismo che comportava anche un discorso filosofico, ricavato dalla “Dialettica della natura” di F. Engels che D. Riazanov aveva pubblicato, mi pare, dopo aver fondato l'IMEL (Marx-Engels-Lenin Institut) a Mosca. Naturalmente con la scomparsa dell'U.R.S.S non è finita l'ideologia che è ricomparsa bella e vigorosa (si pensi al ritorno delle religioni: guarda caso Putin ha rifondato la nuova Russia sul cristianesimo greco-ortodosso), tanto meno è finita la storia (“res gestae gerendaeque”), piuttosto è entrata in crisi una certa “concezione della storia” di cui Marx ed Engels nel “Manifesto del Partito Comunista”(1848) hanno a lungo in modo chiaro dissertato. È vero però che l'imponenza via via affermatasi presso le Superpotenze dell'impresa tecnico-scientifica (per es. la corsa alla conquista dello spazio; ma già la costruzione e la sperimentazione degli ordigni nucleari ne era un segno inequivocabile) ha delimitato la forza dell'ideologia e non solo (da questo punto di vista Emanuele Severino ha visto giusto).

 

Carlo A dire il vero non so dire quanto la forza dell’ideologia sia stata delimitata dalla situazione  che hai descritto o piuttosto  si  sia propagata con la minaccia atomica. Per certi versi l’ideologia è un aspetto, malato fin che vuoi, della fantasia (e anche della “malafede sartriana”). Con preoccupata, e solo a tratti fragorosa, vena comica, in un celebre film diretto da Stanley Kubrick lo strumento dell’irreversibile disastro era chiamato "bomba fine mondo". Se alla fine la si vede esplodere, nel racconto il più agitato e impensierito di tutti i protagonisti era un ufficiale, ma non per l'atomica bensì per la guerra chimica che avrebbe potuto minare la sua virilità. Avvertiva forse che da lì a poco ci si sarebbe dovuti trovare in forma per l'esplosione della rivoluzione sessuale, questa sì deflagrata pochi anni dopo. La bomba  -  quella lanciata su Hiroshima, e poi la sua gemella finita su Nagasaki, a tutt'oggi le uniche scagliate su masse di popolazione  - fu alla fine del xx secolo il soggetto di un francobollo commemorativo degli USA che nelle intenzioni doveva probabilmente sottolineare il ruolo che le si attribuiva (arbitrariamente, secondo non pochi storici) per la fine della guerra mondiale nel 1945. Ad ogni modo, com'era prevedibile, i giapponesi protestarono e il francobollo fu tolto dalla circolazione. All'inverosimile proposito pacifista era tuttavia anche comodo associare quella funzione di pericoloso equilibrio fra Usa e Urss sul quale si era retto il mondo fino a poco prima e che, adesso finalmente superato, non era improprio celebrarne l'epilogo con un monito postale. Si pensava a un'era di pace ma se malauguratamente le guerre fossero scoppiate - e scoppiavano - questa volta sarebbero state giuste, come voleva Agostino di Ippona, e, come vogliono gli USA, portatrici di libertà al di là di ogni dubbio.

 

Claudio Credo che il celebre film di Stanley Kubrick che è del 1964 e il cui titolo significativo è  “Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba” noi lo stiamo vivendo ai giorni nostri, assistendo a questo gioco cinese ( Jong) che sta facendo il dittatore nord-coreano Kim-Jong-Un sperimentando in continuazione missili che vanno a cadere nel mar del Giappone. C'è da augurarsi che chi gli ha fornito quella missilistica sappia fino in fondo quello che fa, in quanto se uno dei missili cade su suolo giapponese, credo che sarà inevitabile la reazione statunitense. A questo punto scatterà anche quella sud-coreana e c'è davvero da chiedersi cosa faranno la Cina e la Russia, tenendo presente che se è davvero un gioco cinese, nel senso che Kim-Jong-Un è una Testa di Turco manovrata dalla Cina c'è il rischio che il conflitto si estenda vertiginosamente.  Il film di Kubrick ha effettivamente – come dici tu – una vena comica fragorosa grazie sostanzialmente alla bravura di Peter Sellers e di tutti gli attori principali. Inoltre, quando il film fu fatto, si era da non molto usciti dalla crisi di Cuba, dove si era evitato, per un pelo, lo scatenarsi della guerra termonucleare fra U.S.A. e U.R.S.S. e c'erano fondati motivi di ottimismo. Certo quella della rivoluzione sessuale è una bella anticipazione (una bella alzata d'ingegno estetico) da parte di Kubrick, perché effettivamente la si è sempre collegata all'esplosione del rock-and-roll: non casualmente Elvis (Priesley) era chiamato “The Pelvis”.

 

Carlo Beh, ho la sensazione che la faccenda sia più complicata e non son sicuro che quell’anticipazione sia stata effettivamente robusta. Per la “rivoluzione sessuale” erano in ballo i valori della borghesia, considerati più o meno “vittoriani”,  minacciati dalla progressiva influenza di elementi diversi, e variamente intrecciati, quali i fenomeni massivi (con la democratizzazione dell’informazione) e la psicanalisi. Centrale era la nozione di “repressione” la quale, sottoposta alla critica “anti-autoritaria”, senza nulla togliere alle sue sacrosante ragioni, si risolse consumisticamente nell’obbligatorietà del sesso ridotto alla moltiplicazione di fantomatici “diritti” (che costituisce un aspetto importante dell’ideologia contemporanea).

 

Claudio Non ne discuto, tanto ciò è lampante.

 

Carlo Ecco, torniamo alle “guerre giuste”. Lo scompiglio portato nei paesi ad oriente del Mediterraneo con solenni buone intenzioni democratiche ha partorito una recrudescenza in chiave violenta dell'islamismo quale mai si era vista. Nei paesi d'Europa contemporaneamente preoccupati per i fino a un certo punto controllati flussi migratori si è teso appiattire il tutto su questioni religiose ed etniche con la denuncia del carattere aggressivo della fede musulmana. Il fatto è che nel volgere di pochi lustri la popolazione mondiale si è raddoppiata e fra i 7 miliardi e oltre di persone che popolano il pianeta era inevitabile che ci fosse chi si spostasse - con evidente coraggio ma presumibilmente a malincuore - dal paese natale. Tanto più che in certe aree, come quella africana un tempo autosufficienti, le vecchie politiche coloniali e post-coloniali, avevano portato all'esaurimento della civiltà di villaggio a favore di assurde e miserevoli megalopoli, le più grandi al mondo.

 

Claudio L'Islam è oggi la religione più professata al mondo, mentre il cristianesimo nelle sue varie versioni è in declino (questo lo si sa da parecchio tempo). Non c'è dubbio però che tendenzialmente l'Islam dimostra di voler accrescere la sua diffusione sempre di più rispetto al cristianesimo. Alcuni paesi originariamente convertitisi all'Islam hanno formidabili contrasti endogeni ed esogeni, nel senso che da un lato scontano le contraddizioni derivanti da un processo di modernizzazione, dall'altro scelgono con una certa facilità la via dello scontro armato. Non è facile conciliare il desiderio della modernizzazione con la volontà di rimanere legati a concezioni di tipo medioevale, d'altronde la mondializzazione dell'economia e dell'informazione crea a questi paesi (come ad altri non islamici) non pochi problemi. Il fenomeno dell'emigrazione dai paesi islamici verso l'Europa (e l'Occidente in genere) non è molto gradito, anche se alcuni governi cialtroni dell'Occidente in declino si ostinano a credere il contrario. Comunque io non mi sento di escludere che possano gli islamici, in un arco di tempo non esageratamente lungo, riuscire a ripetere in Europa in una maniera originale quello che i Cristiani e gli Ebrei (alle origini la sinagoga era il Tempio di entrambi e la Chiesa Cristiana fu poi completamente governata nei primi secoli dagli Ebrei convertitisi al Cristianesimo) hanno fatto nell'ambito dell'Impero Romano. Non so se questo processo sarà indolore, non lo credo. D'altronde lo Stato Islamico di Al-Bagdhadi, anche se sta scomparendo, ha dato un bell'esempio; peraltro non molto dissimile dalle guerre e rivolte degli Ebrei contro l'impero Romano dal 6 o 7 d.C. (rivolta contro la legge del Censimento, essendo Augusto imperatore),  fino al 135 d.C. (essendo Adriano imperatore, con la cancellazione della terra degli Ebrei dalle carte geografiche e con il divieto agli Ebrei di risiedere a Gerusalemme. Sulle rovine di quest'ultima fu passato l'aratro e poi fu, non proprio nello stesso sito, costruita la città di Ælia Capitolina, colonia romana).

È innegabile che quando Tu citi i 7 miliardi di persone che popolano il pianeta,  risieda in questo fatto il potenziale esplosivo che ha messo in moto il fenomeno dell'emigrazione che è dinnanzi ai nostri occhi. Le cause sono diverse e sono state individuate a buon senso e secondo schemi mentalmente pregressi. Credo però che, lasciando perdere tutta l'amplificazione sentimental-propagandistica dei mass media, della Chiesa cattolica apostolica romana e della Sinistra in genere sia meglio riflettere (ancora una volta) su quanto ebbe a dire Napoleone Bonaparte a suo tempo con ammirevole preveggenza: “La Cina è un gigante addormentato, quando si sveglierà cambierà il corso della storia nel mondo”. Direi che il valore di questa preveggenza lo abbiamo sotto i nostri occhi quotidianamente. Non solo ci sono Cinesi ovunque ma la penetrazione cinese nel contiente africano, ha contribuito ad aumentare l'esodo di popolazioni che trovandosi in condizioni di forte disagio anche per i motivi da Te citati hanno preso la via dell'Europa in una misura assolutamente sproporzionata rispetto alle effettive capacità di assorbimento del nostro continente (la cifra di più di sei milioni che riguarda l'Italia fa testo ed è politicamente enorme che i governi degli ultimi trent'anni abbiano permesso ciò: naturalmente la Sinistra si è distinta in questa iniquità ignobile verso i propri concittadini, illudendosi che le sviolinate di Juncker in Europa e le pacche sulle spalle in sede ONU bastino a giustificarla di fronte alla maggior parte degli Italiani che di buon senso ne hanno da vendere, anche se sono soliti cadere nelle trappole sentimentali religioso-politiche). Piuttosto direi che sia interessante la sottile politica cinese e a parte le cialtronerie nostrane partecipate sentimentalmente dai soliti mass media, sarebbe interessante indagare sul partito trasversale filocinese che interessa i nostri politicanti. Non dimentichiamo mai che dall'inizio del dopoguerra (II conflitto mondiale) fino al fatidico 1989 i maggiori partiti italiani sono stati finanziati rispettivamente dagli U.S.A. e dall'U.R.S.S. Ora è noto che i lupi e gli allupati perdono il pelo ma non il vizio, e questo silenzio sulla Cina la dice abbastanza lunga.

Non voglio pensar male (solo per non esagerare in un mio imprescindibile diritto) ma la libertà di operare che è stata concessa ai famigerati scafisti attivi verso il traghettamente degli africani e  delle popolazioni del vicino Oriente, dà parecchio da riflettere, visto che il ministro dell'Interno Minniti e il presidente del consiglio Gentiloni non appaiono per niente originali nel loro agire e si è dunque dovuto aspettare tanto? Da quali umbratili figure il governo era bloccato, nell'agire per l'utilità del paese? Ha dovuto prima muoversi Macron (noblesse oblige!) perché ci si decidesse a fare qualcosa? Rimango dell'idea che questo paese è davvero in pericolo. Dopo la bellezza di settantadue anni, questa repubblica continua a galleggiare e a vivere di rendita sull'inermità di se stessa e dunque di un popolo che di per sé non lo vorrebbe essere per niente inerme se non fosse, per sua sfortuna, costretto a recitare una commedia senza senso che si perpetua di decennio in decennio dal 1945.

Tornando ai problemi del mondo islamico, e segnalando ancora le sue grandi divisioni religiose e politiche, non va dimenticato il problema della presenza di Israele che, resta una spina nel fianco, alla quale credo che i mussulmani abbiano difficoltà a rassegnarsi. Certo c'è differenza fra Stato e Stato. Però non mi pare che i timori degli Israeliani siano campati in aria.  Peraltro Israele è superarmato, disponendo anche di ottanta ordigni atomici (non so dire però quale tipo di controllo esercitino in proposito gli U.S.A.).

 

Carlo Mi lasci sopraffatto dalle tue capacità di argomentazione, ciò nondimeno voglio sottoporti una questione. Ricordo che negli anni seguiti alla seconda guerra mondiale ci furono casi singolari di omicidi di massa che non figurano alla voce “terrorismo”. In almeno due casi (uno ripreso anche nel film “Sono un agente dell’FBI”)  ci fu chi, per intascare l’assicurazione, riempì di esplosivo le valige di un congiunto che si accingeva a spostarsi in aereoplano, indifferente alle decine di morti che avrebbe causato e che causò. Per inciso mi viene da chiedere se sia meglio riposta la speranza nelle assicurazioni o quella nel paradiso, sta di fatto che eventi delittuosi di tale portata hanno avuto negli anni seguenti un crescendo – soprattutto negli USA, ma anche in Europa - che sembra non fermarsi pur essendo spesso apparentemente privo di concrete motivazioni, alla maniera dell’”atto gratuito” di gidiana memoria. Ma è il terrorismo, specialmente religioso, che è causa, soprattutto fra gli europei, di inquieti sentimenti, non di rado vicini alla paura, che favoriscono risposte, altrettanto aggressive di quelle che hanno suscitato il senso di minaccia - risposte che si sono per altro formalizzate in nuove formazioni politiche. In un quadro del genere si è preteso, con malinteso senso della tradizione, che la propria provincia - di cui poco prima ci si lamentava per la noia - dovesse rimanere immutata, cosa che non era mai stata e la cui eventuale degenerazione, rispetto al tenace modello mentale diffuso, era tutta da attribuire agli autoctoni, non certo agli immigrati. Le paure legate a concrete, nonché spettacolari, forme di terrorismo, sono affiancate dalla percezione di un aumento della criminalità comune attribuito ai nuovi e sgraditi ospiti. La "sicurezza" è diventata a questo punto uno dei principali motivi di consumo come non lo sono più - ma è solo una mia impressione - i formaggini avvolti uno per uno nella stagnola che piacevano soprattutto ai bambini e ai vecchi ma che era difficile potessero fregiarsi di uno di quei titoli di qualità cui si aggrappano i buongustai di massa che si agitano nella massa dei buongustai, mai così buongustaia e mai così massa.

 

Claudio Che l'invasione islamica dell'Europa, parlo di quella odierna (non di quelle Araba e Turca del passato) scatenasse non pochi problemi, non ha costituito una sorpresa, anche perché non sono solo gli islamici a muoversi verso Occidente  ma anche genti che appartengono a popoli dell'Asia (a partire dai già citati Cinesi), dell'Africa, dell'America (meridionale). Inoltre, per l'Europa, si pongono altre questioni: si veda per fare un esempio, l'affluenza di Rumeni e di Rom nel nostro paese (dunque di cittadini comunitari che si spostano da un paese all'altro nell'ambito della UE). Non c'è dubbio però che quella che ha preoccupato e continua tuttora a preoccupare è quella islamica (nonostante non pochi fiancheggiatori – a sinistra - l'abbiano favorita: ricordo fra gli altri, inizialmente, Bettino Craxi che stipulò accordi con la Tunisia e il Marocco e che comunque era in grado allora, agli inizi, di tenere la situazione sotto controllo, poi via via gli acerbi critici e successori dello stesso (a sinistra) allargarono i buchi nella rete e si giunse alla politica delle porte “aperte”. Va però ricordato che la Sinistra (quella detta o sedicente marxista) ha sempre avuto un debole verso i finti profughi. Infatti al tempo del famoso colpo di Stato in Cile del generale Pinochet, nei primi anni '70 del XX secolo arrivarono in Italia (e anche a Genova) persone che facevano parte della piccola malavita di colà che il regime militare instauratosi, essendo fautore dell'ordine, promuovendo una pulizia non solo contro gli avversari politici ma anche contro la delinquenza spicciola si proponeva di allontanarla dal proprio territorio nazionale. Certo le cattive condizioni sociali hanno favorito via via dal sud America, assieme alla migrazione dovuta a motivi economici, anche tutta una bohème (erotico-mercenaria) variopinta di prostituzione maschile e femminile, di transessuali (e delle loro relative corti dei miracoli) di cui l'Italia e l'Europa possono certamente oggi menare vanto. Il centro-destra non ha reagito con la dovuta fermezza (come hanno cercato di fare altri paesi europei) un po' per la falsa convinzione che questo fenomeno fosse estemporaneo, un po' per non contrastare troppo una linea centrista che lo metteva al riparo dalle solite accuse che la sinistra (mediante i giornali e le televisioni ad essa affiliati) cominciasse a propalare le solite litanie piazzaiuole sul risorgente fascismo e così via. D'altra parte, alcuni esponenti della Sinistra quando non erano al governo, esportavano tali cretinate anche all'estero, facendosi sì bella propaganda - presso i loro sodali presunti che  nel rapporto al senso della (e con la) propria patria avevano comunque ben altre idee – finendo loro malgrado con l' accreditarsi essi medesimi alla consueta servitù che avevano in fondo sempre costituzionalmente praticato (non da soli) nei confronti delle stesse superpotenze.

A parte comunque questo non produttivo amarcord, pur non rassegnandosi occorre capire  che le stratificate mentalità europee, asiatiche, africane, sudamericane hanno notevolissime difficoltà ad intendersi fra loro. Ciò peraltro avviene in modo attenuato anche all'interno di popoli che sono stati nel corso della loro storia isolati (per notevole durata di tempo rispetto ad altri) che volenti o nolenti si sono relativamente incontrati con altri, creando rapporti che si sono via via consolidati.

Circa la sicurezza, al di là e al di qua delle querelles politiche di modesto cabotaggio, lo Stato deve garantirla (deve cioè garantire il rispetto delle legge, senza se e senza ma). Questo è indispensabile: se non avviene saranno i cittadini a provvedere personalmente, armandosi. Certo non tutti, perché molti hanno timori, che anche agendo per legittima difesa, di andare incontro a molteplici guai. Purtroppo troppo, c'è una curiosa caratteristica nel costume italiano, incoraggiata dalla cretineria ufficiale oggi imperante, secondo la quale è meglio patire, piuttosto che reagire. Certi casi hanno fatto emergere una triste verità, e cioè che le stesse forze dell'ordine consigliano di lasciar perdere, quando si subisce una sopraffazione. Non credo che lo facciano per giudizio critico meditato ma perché arrivano le solite indicazioni dall'alto. Credo sia meglio l'educazione siberiana: altro che simili desideri di creare pecorelle, con il rischio di vedersele macellare. Certo se si reagisce si affronta qualche rischio ma è inevitabile, con la società in cui viviamo, organizzare la propria autodifesa (come in fondo accadeva nei secoli trascorsi). Se uno si guarda in giro ha la sensazione che la popolazione stia invecchiando, che i giovani siano piuttosto rari, e che a partire dalle donne siamo diventati tutti inermi, perché questa dannata società con tutta la sua putrescente retorica ci ha voluti così. Nulla di strano che chi viene da società che hanno ben  altri valori che non sono stati “massaggiati” in saecula saeculorum dal cristianesimo (o che del cristianesimo semplicemente se ne infischiano), si muovano in Italia con ben altra disinvoltura. Questo non significa che gli stranieri siano tutti così, ma che una discreta porzione sia tentata di esserlo, a parte quelli che lo sono perché erano già fuorilegge al loro paese. Prendiamo un esempio banale: quando ci sono in Italia partite internazionali di calcio, soprattutto di clubs che hanno un rilevante seguito di tifosi accaniti,  questi stessi seguono le loro squadre, e spesso e volentieri si attuano da parte di questi hooligans comportamenti assai incivili. Negli anni '60 del secolo scorso, nessuno di costoro avrebbe tenuto un comportamento del genere, lo avrebbe fatto a casa propria non qui. Perché si sarebbe aspettato una reazione adeguata: ormai si può deturpare monumenti o cercare di infrangerli e lo si può fare senza che nessuno degli Italiani reagisca (è evidente che le cosiddette “forze” (sic!) politiche hanno svuotato il senso di appartenenza al territorio nazionale, riuscendo a commettere quel capolavoro di iniquità (verso gli italiani) che è la complicità di quasi tutti nei confronti di una vera e propria invasione (di extracomunitari) che è diventata come se fosse un'autoinvasione. Ora credo come cosa evidente che non faccia piacere in generale alla persona normale che alle delinquenza nostrana si sia aggiunta quella comunitaria ed extracomunitaria, che alla sovversione casereccia si sia aggiunto il terrorismo ( almeno nella sua fase di incontrastata, placida realtà di tipo strategico-organizzativo), che alle paturnie religiose nostrane si siano aggiunte quelle di altre religioni e così via. Il fatto che alla negatività di certi tratti degli indigeni si sia aggiunta una negatività esterna, tacitata grazie ad una pretesa positività economica, non fa derivare un saldo positivo, poiché la positività economica nasce da una illusione e cioè che una flessione in atto della natalità in Italia fosse irrecuperabile (come se 55 milioni di Italiani fossero pochi, come lo erano e lo sono tuttora pochi  gli Scandinavi). Era sufficiente prendere misure simili a quelle attuate in Francia (sotto la presidenza di François Mitterand) di aiutare le famiglie spronandole a fare il terzo figlio e nel frattempo avviare certe riforme strutturali della nostra economia che tuttora sono al palo. Per me non c'è dubbio che il dopoguerra pur con un andamento politico-ideale anche schizofrenico ha proseguito (ad majorem gloriam victorum) lentamente i risultati della seconda guerra mondiale: in Italia i vincitori di tale conflitto hanno trovato, discepoli che seppur conflittuali hanno inteso ridimensionare in tutto e per tutto, compiacendosene, l'autonomia del proprio paese. Dopo la prima guerra mondiale chi si trovava a governare l'Italia: si poneva la domanda su che cosa doveva fare e quali erano le prospettive praticabili effettualmente dall'Italia. Finito il secondo conflitto mondiale: le domande dei governanti d'Italia erano diventate (quelle più assillanti): che cosa penseranno di noi a Washington e a Mosca? Le forze che potevano sfuggire a questa trappola erano presenti nel paese ma rischiavano di confondersi con il neo-fascismo che sembrava aver catturato un'istanza che invece era ben presente nel pensiero di alcuni non fascisti. Fra i quali Benedetto Croce che chiedeva nel 1949 di non firmare i trattati di pace con i vincitori, opponendosi tanto all'orientamento della Democrazia Cristiana quanto a quello del Partito Comunista (sostenuto, con assoluta ingenuità, dai Socialisti). Sarà controvertibile ma è da questi presupposti che nasce in Italia quella inermità (sottomissione agli U.S.A. che, dati gli accordi internazionali di fondo, non dispiaceva nemmeno all'U.R.S.S. che voleva un paese comunque non più nazionalmente aggressivo ma lacerato in se stesso e tendente - nonostante l'adesione alla N.A.T.O.- ad un neutralismo fondo (che ritrovava nell'articolo della costituzione rifiutante la guerra una stampella perennemente invocata da coloro che vogliono permanere in questa condizione di inermità che porta a forme di ruffianeria inusitate.

 

Carlo A questo proposito direi che ci si è aggrappati in un primo momento al "libero mercato" globalizzato ma si è pensato in seguito che un ritorno al nazionalismo economico potesse dare maggior sicurezza ed eventualmente, volendo salvare la coerenza, poter sostenere - con caratteristica mancanza di ironia - che lo Stato abbisognasse di un proprietario, ma le nuove formazioni politiche - caratterizzate dall'avversione nei confronti delle recenti immigrazioni – hanno ripreso, ventilando la democrazia contro un'arbitraria presa di possesso delle istituzioni, quella che anni prima era chiamata "economia mista", ma senza ammetterlo, esagerando così una fedeltà alla libera economia in nome del "mercato".

 

Claudio Va riconosciuto all'attivismo cattolico del dopoguerra (nell'Europa disastrata dal II conflitto mondiale) di aver elaborato un progetto per unificare i popoli dell'Occidente europeo. De Gasperi, Adenauer, Schumann, Monet hanno preparato quelle condizioni che hanno portato alla formazione dell'Unione Europea (nel 1956 con i Trattati di Roma). Cristianesimo e liberismo economico hanno caratterizzato il periodo della Rinascita e del cosiddetto “miracolo economico”. Le difficoltà che il nazionalismo francese ha dapprima opposto si sono stemperate grazie all'intelligente politica del generale De Gaulle che ritornato, durante la crisi dell'Algeria, alla Presidenza (divenuta forte, grazie ad un mutamento costituzionale) della Francia, ha avviato un processo di riconciliazione con la Germania Occidentale che è probabilmente l'unico grande evento storico che ha posto fine alle lotte sulla frontiera del Reno. Tralasciando le invasioni dell'Impero romano da parte delle popolazioni germaniche, e partendo dall'insediamento di una di esse, resosi stabile (quella del popolo dei Franchi) dall'800 p.C.n. fino al 1945, dunque da Carlo Magno a Hitler, quel fronte è stato tormentatissimo. Oggi la quiete ci appare quasi incredibile, ricordando anche soltanto gli scontri delle ultime due guerre mondiali. De Gaulle, è noto ha sviluppato la force de frappe (dotando la Francia di un  considerevole armamento atomico) e ha cercato di tenere l'Inghilterra fuori dall'Europa Unita, stimandola legata troppo a doppio filo agli Stati Uniti. Pensando ai giorni nostri, l'orgogliosa autoaffermazione britannica promossa con la cosiddetta Brexit fa pensare non alla celebre denigratoria espressione di perfida Albione ma piuttosto ad una rinnovata sintonia storica (in contemporanea con l'ascesa di Donald Trump alla Presidenza degli U.S.A.) in nome della Democrazia Atlantica (con la ripresa di quell'asse che fu già fra Ronald Regan e Margareth Tatcher negli anni '80 del secolo scorso), in vista di un rilancio del modo di produzione capitalistico tradizionale dell'Occidente e, al tempo stesso, di una conservazione di quel modello come lo è venuto definendo appunto la stesso Democrazia Atlantica (la quale non sembra gradire il processo che sta caratterizzando l'Europa Unita grazie alle sue trasformazioni, fra le quali ha proprio peso l'immigrazione su larga scala. Sotto questo aspetto l'Europa sta rincorrendo un processo che fu già caratteristico dell'antico Impero romano e ne provocò l'indebolimento). Evidentemente la globalizzazione è un fenomeno complesso e sotto certi aspetti pericoloso. Senza demonizzare alcunchè questo fenomeno merita di essere studiato, senza i facili ottimismi di comodo vantati, come è naturale, da coloro che ne profittano nelle più differenti maniere (e, purtroppo, da coloro che sono trascinati da entusiasmi sentimentali di non ben chiara natura che sconfinano nel delirio masochistico).

 

Carlo Non so cosa ne pensi, ma mi pare che a dispetto di colossali sperequazioni si possa azzardare -  e c’entra anche  l’indebolimento di un ceto medio già fiaccato nei valori, come abbiamo visto sopra – che il mondo  si sia proletarizzato facendo così della causa di ognuno la causa dell'umanità. In effetti sembra che ognuno segua liberamente i suoi scopi personali come fossero gli scopi di tutti ma senza essere scopi comuni. L'ideologia è la forza economico-politica, merce fra le merci, che impedisce lo siano. Ma quando  nel dibattito pubblico si evoca l'ideologia ci si riferisce sostanzialmente ai comunismi e ai fascismi, semplificati nei fenomeni sanguinari che sono stati evitando così di riflettere sulla forza diffusiva del pensiero che li ha guidati. Ma ciò abbiamo qui delineato ripercorre sommariamente un'immersione nella sfera ideologica per molti versi più potente delle scomparse dittature criminali. E, va aggiunto, quel che si è delineato per la storia recente vale anche per quella passata, coeva ai suddetti regimi. Negli anni Cinquanta, Wittaker Chambers - l'ex comunista finito sostenitore del maccartismo e opinionista al "Time" - scrisse: "negli USA gli operai votano democratico, le classi medie partito repubblicano e quelle alte sono comuniste". È di questo potere capace di creare confusione e di ingarbugliare la realtà che si è parlato.

 

Claudio Il libero mercato è un potere che, in quanto prodotto dagli individui umani, essendo mediato dalla natura, si esercita in quanto realtà umana e naturale (insieme) sugli stessi individui umani. Come tutte le altre produzioni umane, esso rappresenta un progresso e un destino al quale si vuole, dati i difetti, sfuggire. È un po' come l'asserzione di Bacone, si domina la natura obbedendole. È chiaro che il mio dominio della natura è condizionato dal fatto che debbo obbedire ad essa. E se è così non c'è dubbio che essa mi domina e che io posso spostare grazie alla conoscenza acquisita delle sue regolarità, questo tipo di dominio e ricercarne uno migliore. Si tratta però di una situazione inestricabile, dalla quale ci si svassalla solo relativamente attraverso il progresso verso forme migliori (o che almeno ci si augura che siano tali). Questo è il terreno della scienza, il resto si potrebbe dire è ideologia, e questo non impedisce che certi tipi di ideologia ritornanti concedano per quel che possono attraverso per es. l'utopia consolazioni non dissimili dalla luminosità delle religioni alle loro origini (quando sono credute, senza essere insidiate dallo scetticismo). Quando Marx parla di “feticismo della merce” richiama non casualmente un fenomeno religioso che lega il selvaggio al suo idolo. Quest'ultimo è reso potente da colui che lo venera e che gli attribuisce inconsapevolmente un potere che risiede in lui stesso e l'idolo è animato; non è tanto un inganno dell'occhio quanto dell'intelletto. Ora la merce è un prodotto raffinato che deriva da un contenuto originario naturale trasformato dalla tecnica umana che può diventare, come è effettivamente accaduto, nel corso dei secoli, capace di esaltare sempre più la tecnica umana rispetto a quanto  vi era in origine di naturale, facendo scomparire quasi completamente questo tratto. Chi vede tale prodotto vede una rappresentanza complessa dell'umanità che è legata al valore d'uso e al valore di scambio ma che è effettivamente qualcosa di più che affascina lo spettatore. Insomma, siamo tutti di fronte ad una transustanziazione contemporanea dell'umano e del naturale, E questo spettacolo è nella nostra società sempre più diuturno. A ragione Guy Debord ha parlato a suo tempo di società dello spettacolo. Teniamo presente che dalla rivoluzione industriale del XVIII secolo che può essere considerata la seconda (essendo la prima quella dei mulini ad acqua e a vento del medio evo, peraltro già conosciuti dagli antichi Greci e dai Romani) se ne sono succedute non poche fino alla rivoluzione informatica (burotica, robotica e telematica) con tutti gli approfondimenti e i miglioramenti collegati. La società umana è un eterno spettacolo tendente a derealizzare quel che è semplice e concreto, facendo sì che l'apparenza diventi realtà e quest'ultima apparenza ed operando al tempo stesso un'illusione che conferma la predisposizione radicale dell'individuo umano all'ideologia. Tutto questo ci rimanda ad una condizione di fondamentale ambiguità che è già stata accennata con il rapporto radicale fra uomo e natura, dove quest'ultima è ora più domestica e meno padrona, ora esattamente il contrario. Ma l'insormontabile radicalità non è mai ovviata nel senso di avere una domesticità assoluta o una padronanza assoluta. Come è noto Giacomo Leopardi ha invocato fra gli uomini la solidal catena contro l'ascoso poter che a comun danno impera e l'infinita vanità del tutto. E questo si comprende anche, se non soprattutto, estendendolo alla storia umana dove il rapporto signoria-servitù di hegeliana memoria  (ritornante nei versi di Heinrich Heine:

 

Sorridendo muore il tiranno,

poich'egli sa che dopo la sua morte

l'arbitrio muta solo di mano

e la servitù è senza fine.

 

è una costante irrinunciabile nel tessuto dei diversi popoli e appare come  una riproduzione dell'inesorabile relativo dominio della natura sull'uomo che è nato con la storia dell'uomo cui ha fatto da culla la natura stessa da un certo momento in poi. Detto in termini più banali ci possono essere diversissime modalità di potere dell'uomo sull'uomo ma è impensabile che non ne esista alcuna, essendocene una più antica nell'ambito della quale sempre noi ci troviamo anche se con ruoli effettivamente diversi (nulla di strano dunque che la scienza e la fantascienza abbiano sempre attirato l'individuo umano, poiché il potere sulla natura da parte dell'uomo ingigantendosi diminuisce quello appunto che grava sull'uomo da parte della stessa natura). Ed ecco altresì l'interesse per un progresso che muta al tempo stesso il rapporto uomo-natura e quello fra uomo e uomo). È facile scivolare nella fantascienza e nell'utopia, come fu facile lasciarsi accendere l'animo dalle speranze religiose. In fondo nel possibile, tutto è possibile. Ma se rimaniamo vincolati alla realtà e alla possibilità concrete che la realtà stessa ci offre, ci accorgiamo che il progresso ci costringe sempre a muoverci nel relativo e non ci sono discontinuità assolute ma soltanto, appunto, relative. Esperienza questa, con cui, anche i rivoluzionari più accesi, hanno dovuto fare più di un compromesso, inevitabilmente.

 

Carlo Quando gli esperti strepitano di ideologia si rifanno sostanzialmente a ciò che ottunde la coscienza di quel che si è, del proprio ruolo, di ciò che individualmente o collettivamente è profittevole. Questa nozione risale a Marx (ma un pensatore cattolico come Antonio Rosmini si espresse negli stessi anni in modo analogo). Studiosi successivi quali Karl Mannheim lamentarono il livellamento sui dati più visibili dello scontro sociale della nozione originaria, ma di fatto non la contestarono. Ciò nondimeno, come osservò Giovanni Sartori, "più la parola diventa popolare tanto più diventa oscura" oppure, come si è visto, semplicemente assimilata a precisi regimi politici. Il punto è cercare di chiarire, accogliendo la convinzione di Marx, dove possa portare la sua critica.

 

Claudio Tutti i salmi, si dice, finiscono in gloria. È noto che del termine ideologia in molti hanno trattato, a proposito e a sproposito, comunque andando oltre quanto asserito dalla corrente filosofica francese che ha foggiato il nome (e ha subito, non per questo motivo, lo sdegno di Napoleone Bonaparte che però ha posto in evidenza un tratto che appartiene all'ideologia in quanto tale, essere dunque un pensiero, un insieme coerente di idee che non vanno al cuore, alla radice dei rapporti politici reali, ai quali egli, da uomo di potere, aveva sempre lo sguardo fisso). Bonaparte è stato un militare e un politico che ha sempre tenuto presente, né poteva fare diversamente per motivi professionali e per la brillante carriera politica, sia la forza sia il consenso che sono, anche romanamente, la duplicità che garantiva agli imperatori la stabilità e lo splendore del loro imperium. Marx ed Engels hanno avuto come ideale sia quello politico sia quello scientifico (si sono interessati però anche parecchio di storia militare) e la critica dell'economia politica (borghese, alla quale però viene riconosciuto attraverso l'opera di A. Smith e di D. Ricardo, un autentico contributo scientifico in sede di economia politica) che essi sono venuti svolgendo si arrichisce anche con un discorso filosofico, sociale, politico e rivoluzionario che ha come finalità il rovesciamento dei rapporti economici e sociali capitalistici. La “scienza della storia” è il loro ideale scientifico (come si dice nell'Ideologia tedesca) che, praticato con instancabile assiduità, viene però anche effettivamente perseguito con l'attività politica organizzata. Dato e non concesso che la critica dell'economia politica fosse (attraverso il tre libri del Capitale, le Teorie sul plusvalore e le altre brillanti opere di entrambi) la chiave migliore per la comprensione della società borghese del secolo XIX, e che la I Internazionale fondata a Londra nel 1864 fosse un'organizzazione assai migliore di quanto essa fosse in realtà, non per questo al progetto scientifico e a quello politico era garantito il successo, in quanto si tratta di progetti umani che nella storia si incontrano e si scontrano con altri progetti che possono impedire loro di realizzarsi (anche se teoricamente sono realizzabili certamente a determinate condizioni). La non riuscita nella parte occidentale dell'Europa e degli U.S.A. dove il capitalismo aveva raggiunto livelli di maturità considerevoli, non ha impedito lo straordinario esperimento in Russia e poi in Cina. La crisi e il crollo dell'U.R.S.S- 1989-1991) e la svolta cinese sotto Deng-Xiao-Ping hanno ridimensionato questo orizzonte, mettendo in sordina un orientamento della storia che sembrava aver assunto un ritmo e una direzione irreversibili. Eppure tutt'oggi non sembra che si possa trattare Marx come “un cane morto”, così come è tuttora difficile farlo di Hegel. Però per l'esercizio di una critica davvero approfondita occorre un altro approccio ed un altro sviluppo teorici. Forse aveva ragione Benedetto Croce quando asseriva che Marx era “ un Machiavelli del proletariato”, epiteto acuto e di grande elogio, visto che la celebrità di Machiavelli nei secoli non è mai venuta meno.   

“Fogli di Via”, gennaio-giugno 2018