Bo Botto
Gerard Manley
Hopkins oltre lo
sconosciuto
Gerard Manley Hopkins: CORRESPONDENCE. The
Collected Works of Gerard Manley Hopkins, Volumes I and II (Edited by R. K. R. Thornton and Catherine Phillips). Oxford University Press, 2013 | Walter
Ong: IL SACRO OLTRE LO SCONOSCIUTO. Hopkins,
il sé e Dio. Medusa, 2009
Per
chi si occupa di Gerard Manley Hopkins (1844-1889) la sua corrispondenza ha
ovviamente grande importanza. Questa edizione oxoniana aggiunge 43 lettere a
quelle pubblicate alla metà del XX secolo da Claude Colleer Abbott e potenzia
la parte delle annotazioni. Tuttavia da noi, in Italia, pur essendo ben
pubblicato e contando su diverse edizioni – ancorché non molte, a dire il vero
– è difficile poter affermare che il gesuita vittoriano inglese sia uno di quei
poeti che, veramente letti o meno, godono di una dimensione pubblica, e ciò è
vero anche per quella parte cattolica che per prima avrebbe dovuto
incoraggiarne la lettura. Diverso ovviamente il ruolo nell’ambito della
critica, dove gli è riconosciuta l’incidenza non solo su poeti come Eliot, ma
addirittura un ruolo di precursore delle avanguardie, tanto che qualcuno,
recentemente, l’ha definito “poeta rap”: considerando che alla sua epoca
Hopkins fu poco capito anche da quei suoi amici e corrispondenti - come Robert
Bridges o Richard Watson Dixon - che pure si adoperarono per farlo conoscere,
ciò fa intuire la lungimiranza del suo linguaggio. Egli stesso definì la
metodologia espressiva usata per Il naufragio del Deutschland (Nanni Cagnone ne curò un’edizione italiana
per la sua Coliseum nel 1988) come sprung rhythm (ritmo flessuoso ma
anche “squarciato”).
Comunque stiano le cose, la pubblicazione di questa
nuova edizione del carteggio ci ha richiamato Hopkins, the self and God
(1986) che un altro gesuita, Walter Ong, dedicò al poeta vittoriano e che solo
pochi anni fa meritò l’edizione italiana. Walter J. Ong, amico di Marshall
McLuhan all’Università di St. Louis che gli ripassò la tesi dedicata per
l'appunto al ritmo della poesia hopkinsiana, fu uno dei massimi interpreti
americani della teoria letteraria sulla quale pose un’attenzione di tipo
antropologico. Nel suo classico Oralità e scrittura (il Mulino, 1966) si
confrontò sia coi detrattori della cultura orale o altrimenti detta “primaria”
(Ong discusse anche l’eloquenza dei tamburi africani) sia di quella scritta,
evitando vane polarizzazioni, meditando tuttavia sulla capacità che la
scrittura ha avuto nel modellare la mente dell’uomo contemporaneo.
Ong accentra le argomentazioni del suo libro sulle
questioni dell’individualità e delle differenze, temi che appassionarono
Hopkins come “tutte le cose contrarie, originali, impari, strane”. Il tratto
tipico del poeta fu “di confrontarsi direttamente con il sé, faccia a faccia”.
Tuttavia, Hopkins non condivise “il senso del sé espansivo” come lo celebrò
Walt Whitman, benché per il poeta americano dimostrasse una genuina
ammirazione. Per Hopkin la redenzione cristiana non è assorbimento in Dio,
anzi, l’unione con Dio intensifica l’unicità di ciascuno.
“Fogli di Via”, Novembre
2013