Narratore,
commediografo, saggista, protagonista del rinascimento Chicagano di inizio
Novecento, Ben Hecht è ricordato in Italia soprattutto per la sua lusinghiera e
cospicua attività di sceneggiatore cinematografico (con Lubitsch, Hawks,
Sternberg, Hathaway, Hitchcock …) ma
manca ancora una vera considerazione dello scrittore – se si escludono
sporadiche, e ormai vetuste, edizioni. Particolare attenzione andrebbe fra
l’altro posta, ci sembra, ai suoi scritti autobiografici. L’articolo che
pubblichiamo, comparso in origine sul “Chicago Daily News” è del 1922.
Ben
Hecht
cinquanta libri che son libri
Un amico mi scrive:
“Per quanto riguarda la
mia biblioteca, non desidero altro che cinquanta libri. E nessuno fra i
moderni. Vale a dire nessun romanzo stampato in questi ultimi dieci anni. Ti
consulto come consulterei il mio avvocato, alla mia età non ho più modo di
sviluppare una coscienza letteraria. Quali sono i cinquanta libri più
intelligenti del mondo? In poche parole, se dovessi alienare la tua biblioteca,
quali libri tratterresti? Se hai tempo fammene la lista. Prometto di
comprarli”.
La richiesta è
adulatoria, e la tentazione è grande. Dubito che ci siano cinquanta libri che
ho impresso nella mente con aggettivi come stupendo, bello o intelligente. Ce
n’è uno di cui fidarsi? Dieci minuti davanti agli scaffali e ce ne sarebbero
cinquecento, e tutti in cerca di riconoscimento. I vecchi classici, i libri che
hanno attratto gli scrittori, quelli che durano nel tempo, i libri che uno ha scusato
e adottato, i libri che rappresentano i turbamenti dell’adolescenza, tutti questi
avanzerebbero pretese.
Ma sedendomi davanti
alla macchina da scrivere, in un giorno caldo d’estate, ecco ciò che la mia
memoria offre all’amico:
1. L’idiota di Dostoevsky.
Un romanzo meraviglioso. Per anni l’ho considerato il miglior libro che avrei
mai letto.
2. La casa dei morti di
Dostoevsky. Memorie di un uomo sepolto in una prigione siberiana.
3. All’insegna della Regina Piédoca
di Anatole France. Un'epitome del veleno e dell'indifferenza come sono stati
celebrati attraverso l'ironia del Signor France.
4. Le opinioni di Jerome Coignard
di Anatole France.
5. La genealogia della morale di
Friedrich Nietzsche. Dinamite. Da trattare con attenzione.
6. Ecce Homo di Friedrich
Nietzsche. Ancora più dinamitardo, ma dissimulato fra i fuochi d’artificio.
7. Così parlò Zarathustra di
Nietzsche. Pittoresco come la bibbia.
8. La leggenda di Tyll Eulenspiegel
di De Coster. Un romanzo storico affollato di poesia, vivacità e piacere. Un
libro da tenere sul comodino.
9. Gli scritti di François
Rabelais. Un mausoleo di rococò in cui l'anima dell'uomo ha la sua più felice
incarnazione.
10. Il romanzo di Leonardo Da Vinci
di Dimitri Merezkovski.
11. Filosofia dell’amore di
Remy de Gourmont. Per un commento al quale, Ezra Pound rivela quali asinate
siano gli scarabocchi contemporanei in confronto al genio di de Gourmont.
12.
Morbid
Fears and Compulsions di Frink. La migliore orchestrazione di cupa psic(?)analisi
che abbia incontrato.
13.
The
Psychology of Insanity di Hart. Un volumetto che dice a tutti le cose da dire.
Una cianografica del pensiero moderno.
14. Padri e figli di
Turgenev. Ricordo che c’era un personaggio chiamato Bazarov o Barazov. Ho
provato ad imitarlo per tre anni.
15. Masks and Minstrels of New Germany di Percival Pollard.
Pollard era solito bere vino al vecchio Richelieu Hotel di Michigan Avenue.
16. Affermazioni di Havelock
Ellis. James Huneker ha saccheggiato
Havelock Ellis e Havelock Ellis ho saccheggiato de Gourmont.
17. Il libro delle maschere
di Remy de Gourmont. Quasi tutta la critica letteraria moderna deriva da 17.
18. In cammino di J.k
Huysmans. Il suo un A’ rebours è meglio, ma
non è stato ancora tradotto. In cammino è buono. Huysmans ha riversato la sua passione
nel vocabolario. Le sue frasi sono le avventure di orgogliose sillabe.
19. L'asino d’oro di Apuleio.
Il quale ha fornito al signor Boccaccio e al signor Cervantes fin troppo
materiale.
20. Le vite dei cesari di
Svetonio. Biografia che si legge come un 4 di luglio alla vecchia maniera ma
stavolto.
21. Satyricon di Petronio
Arbitro. Nel quale l'empio impero romano di Nerone inclina alla decadenza
celebrata dal banale signor Gibbon.
22. Margherita di Valois di
Alexander Dumas. De Medici, Enrico di Navarra, Carlo IX, la pagina avvelenata,
il guanto avvelenato: morte! Un libro per storici pedanti? No, per l’amaca.
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23. Storia dell’arte di Elie
Faure. La canzone dei secoli, l'anima dell'uomo, tormento, tragedia, bellezza
della vita … non ci sarà mai un altro
lavoro scritto come questo.
24. Psicologia delle folle di
Le Bon. Un antidoto e una spiegazione.
25. Il ramo d’oro di Frazer.
Antropologia. Il meraviglioso, lo spaventoso, il luminoso inizio di sua maestà
il cittadino americano.
26. La rivoluzione francese,
da Carlyle. Un drammmaturgo dispeptico. Storia di una jazz band. La preferisco
così.
27. La signorina di Maupin di
Gautier. L’introduzione anticipa H. L. Mencken. Il romanzo in sé è Rabelais
sviolinato.
28. Maggie, da Stephen Crane.
Insieme al 29, George's Mother di Stephen Crane, costituisce il grande romanzo
americano.
30. La collina dei sogni di
Arthur Machen. Va letto per il delicato Satanismo.
31.
Winesburg,
Ohio di Sherwood Anderson. Il vangelo del Rinascimento Americano.
32. Quadri di viaggio di
Heinrich Heine. Persiste come un vecchio vino nella memoria.
33. Il ritratto di Dorian Gray
di Oscar Wilde, che ha avuto l’intelligenza di rubarlo all’Huysman di A’
Rebours.
34. Il Decamerone di
Boccaccio, dal quale traeva ispirazione il mio italo-spagnolo preferito, Cesare
Borgia.
35. Prejudices, prima serie,
di H. L. Mencken, l’incazzato Americano.
36. Tono-Bungay di un H. G.
Wells che ancora non era asceso al podio.
37.
The
Egoist di George Meredith. Per coloro che ancora riversico.
38. Celibates di George
Moore. Uno shignazzo, un libro vizioso con leggerezza.
39. Spiritual Adventures di
Arthur Symons, che raccoglie il mio racconto breve preferito circa un pianista
chiamato Travelgya o Treveylga o che altro.
40. Figli e amanti di D. H.
Lawrence. Il romanzo profondo e bello di un’Inghilterra mai raccontata così.
41.
The
genius di Theodore Dreiser.
42. Il sesto volume
delle Mille e una notte di Burtons, dove Bagdad sogna ancora.
43. Le memorie di Ben
Cellini.
44. Salammbò di G. Flaubert.
Quasi dimenticavo Salammbò, a fianco del quale Madame Bovary è una inane
balbuzie monosillabica.
45.
The
Queen's Quair di Maurice Hewlett. L’ho letto in barca e ho evitato il mal di mare.
46. Al 50. 46, The
Mystic Rose di Crowley;
47. Poesie di Chicago di
Sandburg; 48, Il rinascimento di Gobineau; 49, Giovanna d’Arco; 50, Huckleberry
Finn, di Mark Twain (condensato dell'originale).
Non c’è di ché.
§
Sulle pagine di
“Ufficio di Ricerche e Documentazione
sull’Immaginario”
abbiamo pubblicato, in un contesto che mostra i pregi
grafici di un’edizione russo-sovietica del 1928 dei suoi racconti, un’ampia
scheda su Ben Hecht. Dell’illustratore di quel libro, Hermann Rosse, è il
ritratto pubblicato qui fra i titoli.
Il testo originale dell’articolo di Ben
Hecht si può leggere, annotato da Florice Whyte Kovan, su