Marco Minoletti
Liber Amoris, ovvero il nuovo Pigmalione
William Hazlitt: The Spirit of Controversy: and Other Essays. Oxford Un. Press,
2021
Non conosco
nessuna opera precedente che davvero somigli all'erotismo, mortificato e
drammatizzato, dello straordinario 'Liber Amoris' di Hazlitt | George
Steiner, Nel castello di Barbablù
Hazlitt chi? – William Hazlitt
(1778-1830). Fu a lungo in bilico tra la vocazione del pittore e quella dello
scrittore. Amava la filosofia ma come speculatore metafisico si rivelò un mezzo
fallimento. Romantico fin nelle viscere, ma senza quel tocco in rime che gli
avrebbe consentito di assurgere all'Olimpo dei romantici. Non era fatto per la
poesia. Il terreno a lui più congeniale si rivelò la prosa. E da lì spiccò il
volo raggiungendo altezze vertiginose, al punto da essere considerato come uno
dei più grandi stilisti di prosa nella storia della lingua inglese. Ritrattista
eccellente fu soprattutto critico letterario, critico d'arte e di teatro. La
sua scrittura era un impasto graffiante composto da un io incline a mettersi a
nudo senza riserve e da una vita quotidiana che, oltre le amate camminate in
campagna, includeva "leggere libri, guardare
immagini, andare a spettacoli, ascoltare, pensare, scrivere su ciò che mi
piaceva di più". Grazie alla sua passione per il giornalismo
politico e le vicende di questo mondo si fece ben presto numerosi nemici.
Fulminato sulla via di Damasco dall'Illuminismo e dalla Rivoluzione francese,
grande ammiratore di Napoleone (gli dedicò una monumentale biografia in quattro
volumi) rimase fedele ai suoi ideali radicali fino all'ultimo respiro. Il
problema è che si trovò a sostenere queste idee controcorrente proprio nel
periodo della Restaurazione. Il vento era cambiato e “il
giacobino del 1789 era l'antigiacobino del 1814. Coloro che intonavano a gran
voce i peana della libertà, furono quelli che
acclamarono con più forza la restaurata dottrina del diritto divino”. E a lui,
nemico irriducibile del feudalesimo e dell'alleanza del trono con l'altare, il
boccone non andò giù. E, fatto com'era, non lo tenne per sé! Così, proprio nel
periodo in cui l'Inghilterra si trovava in guerra contro l'adorato Napoleone
lui, rimasto solo come l'ultimo spartano alle Termopili, decise di vender cara
la pelle a colpi di stilettate e sferzanti articoli contro la politica inglese.
Apriti cielo! Fu messo alla gogna dai soliti pennivendoli venduti al regime e
ne uscì con le ossa rotte. Quanto all'uomo, Hazlitt era timido, sensibile, butterato, poco incline al
riso e – dicono – anche un po' misogino. Pare che evitasse le belle donne e si
dilettasse con donnine non troppo carine e di facili costumi. Di lui scrisse
peste e corna Virginia Woolf che lo riteneva un narcisista svergognato. Aveva
un temperamento litigioso e, per una ragione o per l'altra, riusciva a
guastarsi i rapporti con quasi tutti gli amici. Dopo un inizio idilliaco anche
l'amicizia con i “poeti dei laghi” era finita male. Nei rapporti – è lui stesso
a confessarcelo - si parte in salita, ci si esalta ma poi subentrano litigi e
dissapori e quand'anche le cose dovessero filar lisce, prima o poi subentra la
noia. La causa di questa deriva è secondo Hazlitt da
imputare al piacere dell'odio „non c'è nulla che si mantenga meglio di un
decotto di bile. Ci stanchiamo di tutto”. E ciò avviene non solo con i nostri
libri preferiti – “non possiamo leggere le stesse opere per sempre” – ma anche
con l'amore. “La nostra luna di miele, anche quando abbiamo sposato la Musa,
deve finire; ed è seguita dall'indifferenza, se non dal disgusto”. Non c'è
dunque poi tanto da stupirsi se solo gli amici Charles Lamb e Leigh Hunt gli rimasero
fedeli per tutta la vita. La sorella di Lamb, Mary, gli aveva pure combinato il
primo matrimonio con l'amica del cuore Sarah Stoddard,
figlia dell'editore del 'Times'. Ma a guastargli la cerimonia ci pensò il
fratello di lei, Charles, il quale, nel corso dei festeggiamenti, fu preso da
un irrefrenabile impulso al riso. Le sue risate erano talmente rumorose che
alcuni invitati chiesero che venisse messo alla porta senza tanti complimenti.
Già, proprio lui, il timido, goffo, balbuziente, impacciato e pacifico Charles
Lamb che, con questa uscita dal seminato, sembra quasi voler anticipare la
teoria sul riso di Bergson. Un uomo che nonostante il
dramma di una famiglia, la sua, minata dalla malattia nervosa ereditaria, si
mantenne puro come un fanciullo e invece di pianger sul proprio destino finì
per trasformarsi in un romantico-umorista. (Quando Charles rientrò a casa dopo
essere stato ricoverato per settimane nel manicomio di Hoxton,
il padre, da sempre instabile mentalmente, aveva ormai perso l'uso della
ragione e non passò tanto tempo che la sorella Mary, durante un eccesso di
squilibrio mentale, mentre inseguiva la domestica brandendo un coltellaccio da
cucina, finì per trafiggere la madre con un fendente che le centrò il cuore).
Il matrimonio con l'amica dei Lamb durò undici anni, fino al 1819, quando la
moglie decise di lasciarlo. Nell'agosto del 1820, forse nel tentativo di
dimenticare il naufragio del suo matrimonio, Hazlitt
decise di affittare due stanze a Londra da un sarto, tal Micaiah
Walker. La figlia del sarto, Sarah, una sedicenne
procace e dall'aspetto semplice di una contadinotta sveglia ma non troppo
acuta, oltre a dare una mano nella conduzione della casa aveva l'incarico di
servire la colazione all'affittuario. Hazlitt, come
incrociò il suo sguardo, fu traffitto dal dardo di
Cupido.
Al lettore contemporaneo
la trama di questa novella tragicomica, di primo acchito, potrà sembrare
estremamente banale. Un uomo non più giovane si innamora perdutamente di una
ragazza maliziosa e un pò civettuola. La fanciulla,
sicuramente eccitata sessualmente – “Non sono una monachella” – si presta al
gioco (ammicamenti, bacetti, palpeggiamenti,
pizzicotti), ma mette subito le carte in tavola: “Signore, desidero veramente
avere la vostra stima e amicizia.”
H.: “E potrai
ricambiarle?”
S.: “Sì"
H.: “Niente di più?”
S.: “No, signore”.
Ma Hazlitt,
diversamente da Sarah, si innamora perdutamente. Il racconto è diviso
sostanzialmente in due parti. La prima – articolata in forma dialogica – è
quella in cui il pendolo dello stato d'animo dell'autore oscilla dalla parte
dell'esaltazione e dell'illusione amorosa (chi non è finito almeno una volta
nella sua vita tra le braccia della follia di Eros?) spinte fino al limite del
ridicolo.
Nella seconda - composta
da lettere indirizzate a due amici del nostro sfortunato amante – il pendolo
prende ad oscillare nella direzione opposta: quella del tormento ossessivo
spinto fino all'ipotesi del suicidio “Se non fosse per il mio bambino […] temo
che risolverei la faccenda uccidendomi dalla disperazione”.
“Lei mi ha ingannato, e ora
mi viene a mancare la terra sotto i piedi” e infine del disincanto catartico:
“Se si potesse parlare della fragilità della passione sarebbe perdonabile, ma è
evidente che è una sgualdrinella consumata ed esperta, una vera e propria esca
per i pensionanti, messa in azione da sua madre con un cliente dopo l'altro e
tutti vengono sfruttati per i più vari scopi e derisi […] Questa è la creatura
umana per cui avevo dato anima e corpo!”.
Non contento di aver
infierito sui tratti morali della fanciulla, Hazlitt
- forse memore della fama di “ragazzo terribile” che da sempre lo seguiva – se
la prende anche con quelli fisici. E colei che aveva definito “la creatura più
aggraziata del mondo” gli appare ora come “proprio niente di speciale: è
minuscola di statura. […] Temo che presto diventerà volgare nel mio ricordo”.
'Liber amoris', unico testo narrativo scritto da Hazlitt, nacque come sfogo personale formato, come abbiamo
visto, da un breve dialogo e da alcune lettere.
Le lettere al signor
C.P., al secolo Peter George Patmore – autore di
varie operette sul collezionismo d'arte e di una commedia - furono
effettivamente inviate. Quelle in chiusura dell'opera, indirizzate all'amico
James Sheridan Knowles, rimasero nel cassetto. Forse
l'intera novella o tragicomedia che dir si voglia non
sarebbe mai stata pubblicata, ma quando un editore gli fece l'offerta di cento
sterline per un suo scritto non ci pensò due volte e gli rifilò il 'Liber amoris' così com'era. Il lato ridicolo della faccenda è che
il nostro non si diede neppure la pena di modificare le iniziali dei
protagonisti (H. e S.) e così quando il libro uscì nel 1823 scoppiò un vero e
proprio doppio scandalo. Il libro era una stato
giudicato una volgare porcata e per giunta non ci volle molto a capire che si
trattava di un testo autobiografico. Persino il dolce e tollerante Lamb non la
prese bene e per ben due anni i rapporti tra i due amici rimasero tesi al punto
che quasi non si parlavano più. Hazlitt si guastò del
tutto la già compromessa reputazione. E lo scandalo non durò l'arco di una
notte. Basti pensare che Robert L. Stevenson, al quale nel 1868 era stato
commissionato di redigere una biografia di Hazlitt,
si rifiutò dopo aver letto il 'Liber amoris'
giudicandolo un libro estremamente volgare. – Va bene che Hazlitt
non aveva mai fatto mistero di odiare gli scozzesi, ma cosa aveva scritto di
così indigesto? Alla fine della fiera i critici e i lettori mica si erano
trovati fra le mani un'opera del noioso, perverso e ripetitivo Divin Marchese.
De Sade, “l'uomo-fallo”
(Swinburne), è un uomo del Settecento che, a
differenza del da lui tanto ammirato Petrarca, conosce a menadito la ripetitiva
tirannia del desiderio e del corpo e si sforza di liberarsene attraverso
l'eccesso e la tortura inflitta alle sue vittime. In De Sade la via della
salvezza, della redenzione, della pace dello spirito non passa attraverso i
sentieri del bene, della rinuncia ma da quelli del male, dell'eccesso, della
discesa negli inferi. L'ascesi e la purificazione non avvengono grazie ai fioretti,
alle rinunce e alle opere di bene, ma per mezzo dei loro opposti: i peccati,
gli eccessi e le opere maligne. Il sadismo, scriverà Huysmans,
è un “bastardo del cattolicismo”. Eliminando la vittima sacrificale ci si
abbevera ancora una volta alla fonte del piacere portato fino all'estremo e al
contempo, grazie al sacrificio della vittima, si compie un passo in avanti nel
processo di purificazione dello spirito. Sia dunque maledetta all'infinito la
parte maledetta! Per Sade occorre sprofondare nella melma fangosa del male,
abbeverarsene e godere di tutte le sue varianti per potersene liberare.
Niente di tutto ciò in Hazlitt. L'inglese, invece di seguire i precetti de 'La
filosofia del boudoir': “Fottete! divertitevi! Questo è l'essenziale, ma
evitate attentamente l'amore. […] Lo ripeto, divertitevi, ma non amate mai! Non
rovinatevi l'esistenza” – finisce, proprio a causa del suo innamoramento per
Sarah, per rovinarsela. La catastrofe si abbattè come
un turbine su di lui. Fuori di sé e in cerca di conforto, andava raccontando le
sue pene d'amore a destra e sinistra, passanti compresi. Divorato da una crisi
di nervi senza precedenti era ormai seriamente intenzionato a metter fine alla
sua esistenza terrena. E se tutto ciò non fosse di per sé bastato, ecco piombargli
addosso le maldicenze e le stroncature dei critici quando viene pubblicato il
'Liber amoris' (1823). Nell'Inghilterra vittoriana
sessualmente pudica, un autore che ha scritto un saggio di filosofia (An essay on the Principles of Human
Action), che conosce a menadito l'opera del suo amato Shakespeare (Characters of Shakespeare's), che
commenta mirabilmente i poeti della sua terra (Lectures
on the English Poets), ecc. non può osare di mettere
onestamente a nudo il proprio cuore sperando di non incappare nelle maglie di
una censura bigotta. Una censura che vede in prima linea critici-avvoltoi e
invidiosi che mai avevano digerito il suo radicalismo politico, la sue graffianti critiche, la sua inimitabile prosa e che
al primo sentore di sangue si scagliano sull'animale ferito per finirlo.
Persino quando uscì sul 'Times' una recensione positiva qualcuno mise in giro
la voce che a scriverla era stato lo stesso Hazlitt.
Oltre allo scandalo e alle immaginabili critiche sollevate dal tormentone
amoroso (un uomo di 42 anni innamorato perdutamente di una ragazzina di 16), il
libro viene giudicato “indegno e sconcio”, “disgustoso”, “nauseante e
rivoltante”, “basso e volgare e tedioso e molto offensivo”. Ci fu anche chi si
spinse a proporre l'esclusione dell'autore da “tutta la società per bene”. Ma
'Liber amoris' è veramente nient'altro che il triste
spettacolo ossessivo “di una mente semi-disordinata?”
Non direi! 'Liber amoris' è lo sfogo di un uomo al limite della disperazione
che si sforza di sublimare l'angoscia che lo attanaglia per mezzo dello
strumento a lui più congeniale, la scrittura. Quest'opera non è sicuramente il
capolavoro di Hazlitt. Si tratta infatti di un pezzo
minore e per certi versi non paragonabile alle opere di critica. Tuttavia il
nostro, pur accecato e stordito dalla follia amorosa - “Tu sei divina, amore
mio, e mi puoi rendere più mortale o meno mortale. Infatti io sono tua
creatura, tuo schiavo” – conserva il pieno possesso delle sue facoltà
letterarie e riesce a coinvolgere il lettore. Consapevolmente o meno, Hazlitt disorienta il lettore che non riesce più a capire
se si trova ad avere a che fare con un uomo in preda ad un rigurgito di follia
amorosa adolescenziale o con uno sciocco. Leggendolo si oscilla costantemente
tra la sensazione di trovarsi di fronte ad una passione amorosa spinta fino
agli estremi, e dunque in bilico tra il lato comico-ridicolo - “Allora va; ma
ricorda che non posso vivere senza di te; e non lo potrò. Mai!” - e quello
tragico in cui la passione, rosa dalla gelosia, muta in delusione, sconforto e autotormento. “Non c'è niente al mondo che possa
permettermi una goccia di conforto. […] La brezza non mi rinfresca: il cielo
azzurro non mi rallegra”. Il lettore, disorientato dalla personalità del
protagonista, – e qui il nostro dimostra la sua abilità di scrittore – vuol
sapere esattamente con chi ha a che fare e come andrà a finire il tormentone.
Un'altra delle “accuse” rivolte a Hazlitt è quella di
non aver sviluppato il tema del sottotitolo “Il nuovo Pigmalione”. (Pigmalione
era un re mitologico. Il re, stando al mito, si infatuò di una statua della dea
Afrodite che si trovava in un santuario. Nelle 'Metamorfosi' di Ovidio
Pigmalione è uno scultore alienato dalla società che disprezza la volgarità
delle donne. Scolpisce una statua femminile bellissima e se ne innamora. Prega
gli dei di rendere la statua reale e viene esaudito) Non è vero! Fin dal primo
sguardo Hazlitt rimane folgorato da Venere – Sarah.
Si cala nei panni di Pigmalione ma non essendo lui scultore, si sforza di dar
forma alla sua “statua” con lo strumento a lui più congeniale: la parola. Nella
prima lettera indirizzata a C.P. Lo dice chiaramente: “Ho cominciato a scrivere
un libro sulle nostre conversazioni (tra me e la statua, voglio dire) che ho
intitolato 'Liber amoris'.” Hazlitt
ambienta la sua versione in prosa delle 'Metamorfosi' non in uno studio da
scultore o in un tempio cipriota, ma in una stanzetta di una casa d'alloggio
nella Londra dei primi dell'Ottocento. Hazlitt è un
letterato conscio delle sue doti ed è ingenuamente convinto di poter
affascinare la fanciulla grazie al linguaggio, le citazioni dotte, donandole
alcuni testi suoi e di altri autori da lui amati. Illuso! La novella Afrodite è
troppo giovane, rozza e incolta per cogliere gli aspetti spirituali di questo
incontro. E dunque, nonostante i voli letterari del povero Hazlitt
ormai partito in quarta nel tentativo di far forma alla giovane e maliziosa
monella, la metamorfosi londinese non si realizza. “Sembrava una statua di
marmo impeccabile, fredda, fissa e aggraziata come mai statua” – scrisse il
nostro sfortunato ed ingenuo Pigmalione in una delle ultime lettere in chiusura
del libro all'amico Peter George Patmore. Hazlitt-Pigmalione
era arrivato a pochi centimetri dallo strapiombo e poco ci mancò che non
facesse la fine del povero Orfeo. Alla sua uscita il libro suscitò un immenso
scandalo e qualcuno lo paragonò ad “un colpo sparato nella sala da concerto”. I
tempi stavano rapidamente cambiando e con essi il tono nei rapporti erotici. Hazlitt lo aveva intuito con largo anticipo!