Carlo Romano

Harry Smith, american magus

Ho per le mani uno di quei libri la cui struttura (o mancanza della stessa) è tale da creare imbarazzo. Si pensa subito che si debba penare, e tanto, nell’affrontarli. Nel caso specifico si è pure pensato di poter fare a meno del sommario e dunque ogni vago timore potrebbe rapidamente trasformarsi in panico. Se ciò non succede è perché o si ha interesse per il soggetto di cui tratta o si vuole comunque piegare le apparenti difficoltà al nostro orgoglio intellettuale, il quale ultimo non deve poi misurarsi veramente in nessuna affaticante sfida, tanto tutto scorre nel migliore dei modi. Attraverso una raccolta di testimonianze e di immagini, il libro racconta di Harry Smith, etnomusicologo, pittore, beatnik, filmaker, collezionista (Harry Smith, American Magus-moderno alchimista, Arcanapop, Roma 2003). Lo ha curato Paola Igliori, romana che vive a New York da un certo numero di anni, dove fra l’altro ha fondato la casa editrice che ne ha pubblicato l’edizione originale (Inanout Press, 1996). Qualche ripetizione, in un libro che è in prevalenza un libro di testimonianze, è da mettere nel conto. Paola Igliori ha tuttavia interrogato i suoi testimoni (da Allen Ginsberg a Robert Frank a Jonas Mekas, per fermarsi ai più noti) in modo da evitare inutili e barbose sovrapposizioni, benché non sempre l’equilibrio ne esca avvantaggiato. Si da, ad esempio, il giusto rilievo all’Anthology of american folk music redatta cinquant’anni fa da Smith per la Folkways (e si riporta opportunamente un brano autobiografico di Moses Ash, il fondatore della celebre casa discografica) ma si tengono fuori dal discorso altrettanto importanti e celebri parametri, così diversi fra loro,  quali l’attività dei Lomax o le raccolte di Burl Ives. Personalmente avrei gradito un approfondimento del “crowleismo” di Harry Smith, che pure viene ribadito in più punti, a differenza del suo “marxismo” cui si fa soltanto rapidamente cenno. L’idea di un “marxista-crowleiano” mi sembra che potesse conferire a un personaggio ampiamente coccolato per quasi trecento pagine  un motivo in più di interesse e un profilo probabilmente più preciso. Non è il caso, comunque, di andar troppo per il sottile quando si pensi che l’opera della Igliori è unica. Si tenga inoltre presente che il libro, a firma di Bill Morgan (pittore e archivista che ha, fra l’altro, ordinato i materiali appartenuti ad Abbie Hoffman, Timothy Leary, James Schuyler, Anne Waldman, oltre a quelli di Smith), propone una guida alle collezioni di Harry Smith” (libri, film, pop-up, artigianato popolare, tarocchi, registrazioni ecc.). Con molta onestà, andando un po’ contro la leggenda che circonda il personaggio, Bill Morgan segnala che  alla Library of Congress non c’è traccia delle registrazioni musicali che si diceva Smith vi avesse depositato, come non esiste alcuna indicazione della fine che hanno fatto le coperte e i vestiti Seminole che sempre Smith diceva di collezionare. Le uova ucraine per le quali raccontava di aver speso una fortuna si sono poi rivelate, alla resa dei conti, soltanto sette. Che Smith andasse alimentando la propria leggenda?