La lettera di Gerardo Guerrieri (1920-1986) a Italo Calvino (che preleviamo da un fascicolo de "la Basilicata" del 1987) colpisce per lo strabiliante sarcasmo con cui accenna agli intellettuali e alla casa editrice Einaudi, alla quale portò e diresse con Paolo Grassi nel dopoguerra la celebre collana del teatro (chiusa e poi ripresa a partire dal 1962). Segnaliamo che nel 2016 le edizioni Magister hanno pubblicato Omaggio a Gerardo Guerrieri. Riscoperta di un grande intellettuale del Novecento, curato da Selene Guerrieri, la figlia. A Grottole, presso Matera, luogo d'origine della famiglia, è stato inaugurato un centro a lui intitolato.

Gerardo Guerrieri

Il sorriso. A Calvino in occasione della chiusura della collezione Einaudi (7 dicembre 1956)

Caro Calvino, tu dici che io sono sempre contento. Ma tu, che hai fatto le FIABE, dovresti sapere che il sorriso è un tipo di scongiuro. Forse perché ancora credo ingenuamente nelle possibilità di scongiurare col sorriso le calamità, e sono cresciuto in questo sorriso per propiziare e rendere benigni gli dei, per mettere di buon umore gli altri e per ispirare fiducia.

Ho sempre creduto ingenuamente che la distensione si potesse portare col sorriso. Dal paese dove vengo, ho portato questa stupida credenza che, sorridendo, si possa cambiare il corso degli eventi, stabilire nuovi rapporti, vincere la guerra fredda, superare la lotta di classe, fare la collezione Einaudi... è indizio di superficialità, e certo di debolezza. Anche di fronte a mia moglie devo sempre sorridere, altrimenti lei dice che sono infelice: ecco qui la necessità del sorriso, come il famoso commesso viaggiatore, occorre essere sorridenti, altrimenti gli altri sospettano di te.

Tu invece sospetti di me perché sorrido.

E infatti: quando vedo le vostre facce tormentate di intellettuali della Fiat, le vostre facce serie, pensose, in cui il pensiero si rivela... voi avete imparato a non avere più soggezione del pensiero, a essere orgogliosi del pensierp, mentre io ho sempre avuto vergogna del pensiero, l'ho sempre mascherato, ho dovuto far finta di non PENSARE: ho escogitato questo tipo di sorriso per dire: vedete, questo qui è uno che non pensa, ma sorride, è felice come una pasqua; perché ho sempre avuto vergogna di mostrare agli altri le ie preoccupazioni: e cioè che "pensavo".

Voi avete superato questo: voi andate in giro orgogliosamente, col vostro pensiero che vi rode la faccia, sotto gli occhi, il naso, le mascelle; il pensiero che rende la faccia di Einaudi simile a quello di Vittorio Emanuele III, sua Maestà, cosa che mi fa sentire ancora sotto la monarchia, le vostre facce pensierose di piemontesi, di intellettuali della Fiat, di seguaci di Gramsci. Allora vi invidio, e sento che il sorriso sulla mia faccia è quello di un attore: E quando ti vedo, me lo sento in faccia freddo come una pasta secca.

E' vero, sorridere è male, bisogna abolire il sorriso, perché chi pensa non sorride mai.

Va bene: non sorriderò più.