Wolf Bruno
Gatti filosofi
John Gray: FILOSOFIA
FELINA. Rizzoli, 2020
Mi si consenta di
affermare che questo libriccino del britannico John Gray
(da non confondere con l'omonimo americano) è quanto di meglio mi sia capitato
di leggere negli ultimi tempi, quantunque non mi abbia detto niente di nuovo né
sui mici né sul suo autore da quando presentando Cani di Paglia (Ponte
alle Grazie, 2003) chiariva che credere di appartenere a una specie
padrona del proprio destino corrispondeva a nient'altro che a un atto di fede.
Di famiglia operaia, già
laburista, John Gray col tempo è andato a popolare la
schiera di coloro che oggi respingono quelli che nel secolo scorso parevano
distinguo acquisiti una volta per tutte. Guardingo, in qualche misura sulla
scia di Isahia Berlin,
verso gli illuministi, è inclemente nei confronti del cosiddetto
"progressismo". Ateo, mal sopporta il fondamentalismo miscredente non
meno di quello religioso. Giornalista con ragguardevole padronanza nei campi
della politica e della filosofia, materie nelle quali ha esercitato la docenza
in prestigiosi istituti universitari, irride alle questioni prime, ultime e
ulteriori così da avvertirlo più a suo agio nei paraggi di Sesto Empirico che
in quelli di Platone, di Schopenhauer piuttosto che di Kant, di Darwin e non di
Heidegger. Su quest'ultimo ha osservato, con misurata
ma implacabile ironia, che fu spinto ad affermare che solo il greco e il
tedesco fossero lingue autenticamente filosofiche, come se i sottili
ragionamenti di Chuang-Tzu e altri non potessero
appartenere alla filosofia perché espressi in diversi idiomi.
Un tipo come Gray non poteva imbattersi nei gatti senza riflettere -
provando invidia - sul loro stile di vita non addomesticato che guarda agli
uomini come a una porzione conveniente del paesaggio naturale. Naturalmente nel
libro passa in rassegna certi felini famosi, a cominciare dalla gatta di Montaigne, senza dimenticare tanti amanti delle piccole
bestiole, dal dottor Johnson a Colette, ma sono due i racconti più toccanti e
in buona misura insoliti: quello di Meo, il gatto che il giornalista delle CBS
si portò in America dal Vietnam (The Cat fron Huè, "uno dei più
grandi resoconti sull'esperienza umana della guerra" chiosa Gray) e il Chance di Mary Gaitskill,
mezzo orbo e morto presto ma rimasto non solo indimenticabile per la scrittrice
ma capace nel ricordo di condizionarle per sempre i suoi sentimenti nei
confronti degli umani ("una creatura minuscola, quasi cieca e in apparenza
insignificante fece a pezzi il suo mondo e lo ricostruì" osserva Gray), Teniamo ad ogni modo presente che "ai gatti non
interessa insegnare agli umani come si vive. E, se anche lo facessero, non
ricorrerebbero a una serie di precetti".
per
“Fogli diVia”