Carlo Luigi Lagomarsino
bestie grandi e piccole: Crowley
“La grande Bestia”. Non c’è che dire, Aleister Crowley (1875-1947) non fece niente per attenuare la sua sulfurea fama, al contrario fece di tutto per alimentarla – quando non ci pensavano gli altri, a cominciare da Maugham che lo ritrasse nel personaggio di Oliver Haddo ne Il Mago (1906). Ancora poco prima di morire, si presentava in giro con un mantello rosso e i pantaloni alla zuava - per giunta, a fronte dei bisbigli che suscitava, si divertiva a raccogliere i pochi capelli, che ormai non si radeva più come aveva fatto per una vita, in modo che apparissero come due diaboliche corna. Dopo la morte, col tempo, la sua figura divenne quella di una sorta di idolo “pop”, ossequiato in una chiave troppo spesso satanista nell’ambito di certa sottocultura musicale, non sempre d’altra parte superficiale, al punto che il famoso chitarrista di un gruppo famoso, Jimmy Page dei Led Zeppelin, non solo raccolse una preziosa collezione di prime edizioni, di manoscritti e di manufatti croweliani, ma si spinse ad acquistare Boleskine House, la casa scozzese nei pressi del Lock Ness dove Crowley realizzò, a partire dal 1899, alcune delle sue più lontane e significative imprese “magiche”.
Fai ciò che vuoi. Vita e opere di A.C. (Castelvecchi, Euro 20,00) una recente e voluminosa biografia di Lawrence Sutin, docente in lettere all’Hamline University e già noto da noi per un libro su Philip K. Dick pubblicato da Fanucci, intende liberare il personaggio dalle facili approssimazioni per restituirne l’impegno profuso in un esoterismo non dogmatico, inteso come successive aperture sul mondo e sulla sua comprensione. C’è chi, a questo proposito, lungi dal ritenerli sinonimi, distingue fra la buona ricerca spirituale dell’esoterismo e il ciarpame che sarebbe proprio dell’occultismo. Fin dalla gioventù, Crowley si trovò in effetti ad operare fra i due. Quale membro della Golden Dawn – l’ “ordine ermetico” inglese di fine Ottocento che contagiò alcuni letterati – Crowley aveva una apparentemente incongrua opinione dei suoi sodali (fra i quali, assai influente, c’era pure William Butler Yeats) che riteneva una ruvida accozzaglia di borghesucci alla ricerca di qualche brivido occultistico. Ciò nonostante apprezzava le indicazioni di “magia cerimoniale” che vi si insegnavano quale strumento idoneo alla propria crescita interiore.
Per tanto che ci si affanni a dimostrare l’estraneità del Crowley - per così dire, serio indagatore dei nodi segreti della realtà - alle insulsaggini teosofiche, occultistiche e sataniste, non si può tuttavia prescindere dalle sue stesse responsabilità nell’essere percepito perlomeno ambiguamente. Fra le altre cose, di ciò si ritiene colpevole pure la vecchia biografia che a Crowley, conosciuto negli ultimi tempi, dedicò John Symonds, un giovane collaboratore del pocket magazine “Lilliput”, una pionieristica rivista popolare inglese che ai testi di scrittori spesso famosi e di vaglio, affiancava le immagini di fotografi già celebri o che lo sarebbero diventati, come Bill Brandt.
Questa biografia, viene riproposta in Italia (sempre con l’ausilio del curatore di allora, Sebastiano Fusco) contemporaneamente a quella di Sutin, dalle stesse edizioni che l’avevano pubblicata nel 1972, le Mediterranee, ma in una nuova traduzione basata sull’edizione definitiva, la quale ha un consistente numero di pagine in più, e un nuovo titolo Aleister Crowley, la bestia 666 (Euro 39,50). Lo si voglia o meno, questo di Symonds rimane il libro di riferimento. Quello di Sutin ha tutte le caratteristiche per condividerne il peso biografico ed ha l’indubbio merito di entrare con qualche forza analitica nella bibliografia croweliana, ma il proposito di riabilitare il personaggio rispetto alla vulgata è in fin dei conti facile. Altra cosa – e qui Sutin risulta assai debole sul piano speculativo - è seguire qual senso Crowley volle dare, facendolo suo, all’immortale motto thelemita (cioè della libera e armonica comunità del Gargantua di Rabelais) “fai ciò che vuoi”, pretendendo che riesca di per sé chiaro nei suoi insegnamenti, quando, per dirne una soltanto, trovandosi a Roma nell’ottobre del 1922, egli scorse nelle camice nere una promessa d’ordine da accogliere con favore affinché le città fossero “presidiate dalla polizia” e ogni “tentativo di turbamento” venisse “soppresso con la massima efficienza”.