Mario Graib

pesi medi e massimi

Vittorio Parisi : GONG! Una storia dei pesi medi e dei pesi massimi. Bradipolibri, 2010

Vittorio Parisi, e non è il solo, ama in modo particolare i pesi medi. "La gente è sempre stata particolarmente attratta dai colossi del ring, dai vari Marciano, Louis, Muhammad Ali, Tyson, spesso non avendo mai sentito parlare di pugili come Tony Zale o Harry Greb, certamente non inferiori, ma pesi medi". Col loro fisico meno imponente, i medi sono in grado di esprimere una boxe tecnicamente migliore, elegante e spettacolare. Pugili come Ray Sugar Robinson o Marvin Hagler sono da mettere fra i più grandi di ogni categoria.

Certamente non tutti i massimi avanzano verso l'avversario col tronco piegato in avanti come l'imbattuto Marciano o rappresentano la ferocia alla maniera di Tyson. Quello dei massimi non è semplicemente il mito della potenza, Joe Louis ed Alì, fra gli altri, lo hanno dimostrato. Il brivido del ko aleggia tuttavia sul ring più che nelle altre categorie. Capita anche che i manager di uno degli atleti crei un clima diffamatorio attorno all'avversario, rilevandone lo sguardo omicida e la pericolosità sociale. Quando Clay conquistò il titolo mondiale contro l'ex carcerato Sonny Liston e lo riconfermò, gli incontri furono (e lo sono tuttora) assai discussi. Nel primo Liston - che anni prima aveva continuato un incontro con la mascella fratturata - abbandonò accusando uno strappo alla spalla di cui nessuno si era accorto. Nel secondo Liston cadde a terra come scosso dall'elettricità, ma il pugno che l'avrebbe colpito è passato alla storia come "il pugno fantasma". Tutto ciò che si disse su Liston aveva degli evidenti agganci con la sua biografia ma fa pensare anche a una cortina fumogena che non si dileguò nemmeno al momento della morte, pochi anni dopo, attribuita a un'overdose. Lo sguardo omicida e la pericolosità sociale permangono come parte della sua leggenda pugilistica.

I tratti da leggenda che i giornalisti confezionano con gran successo attorno ai loro colleghi della categoria più pesante, non mancano ad ogni modo nemmeno fra i medi, basti pensare a Cerdan, a Mitri, a La Motta, a Graziano, a Griffith, a Monzon. Pugili come Stanley Ketchel sono stati inseriti fra i più grandi sulla base della loro leggenda, non essendo i loro incontri suffragati da testimonianze filmate attendibili. In un sondaggio organizzato nel 1969 con l'ausilio di un calcolatore elettronico da "The Ring", la rivista di Nat Fleischer, il più celebre giornalista di pugilato, Ketchel risultò secondo solo a Robinson. Quella di Ketchel fu una vita disordinata e breve. Morì a soli 24 anni per una fucilata alla schiena sparatogli da un tale Walter Dipley che si giustificò sostenendo che Ketchel gli avesse infastidito la moglie.

Queste cose fanno riflettere sulla carenza odierna di veri punti di riferimento nel pugilato. Lo sport è cambiato e non ha lo stesso impatto di credibilità che potrebbe avere avuto il trasporto emotivo di un George Foreman: “lo sport a cui tutti gli altri sport aspirano”. Da quando all'Est è finito l'obbligo del dilettantismo abbiamo avuto Wladimir Klitschko, ma nel frattempo la scuola occidentale, col suo centro americano, si è scissa in una moltitudine di sigle che coprono di incertezza gli stessi titoli mondiali. Va messo anche in conto che non mancano gli "abolizionisti". Oltretutto le motivazioni che spingevano in passato gli atleti a dedicarsi alla "nobile arte" sono meno impellenti. Eppure l'epopea continua, la cerimonia che si svolge sul ring non ha perso nulla del suo valore spirituale e simbolico. Libri come quello di Parisi sono tutt'altro rispetto alla nostalgia.

“Fogli di Via”, novembre 2015