Massimo Bacigalupo

il "mondo di ieri" di Giuseppe Bacigalupo

Dieci anni fa, il 10 maggio 1999, moriva a Rapallo mio padre Giuseppe Bacigalupo, che molti   ricordano come medico e direttore della clinica Villa Chiara, e di cui non pochi ancora apprezzano il ritratto del “mondo di ieri” (citazione da Stefan Zweig) disegnato nel suo libro Ieri a Rapallo. Questo ebbe una prima elegante edizione a uso semiprivato nel 1980, poi diverse edizioni commerciali (si fa per dire) curate dall’editore friulano Campanotto. Nella più recente edizione, postuma (2002), ho aggiunto alcune pagine ritrovate fra le carte di Bacigalupo: ricordi d’infanzia in Germania durante la I Guerra Mondiale (la madre, anche lei medico, era tedesca), schizzi degli anni del tennis e dei primi amori in Riviera.

    Recentemente ho visitato la splendida Villa Hanbury presso Imperia e visto nell’immenso parco uno dei primi campi da tennis italiani, con vicino una lunga panca con fregio grottesco in pietra. Negli anni ’20  Bacigalupo, nato nel 1912, sicuramente giocò in questi luoghi. (Se ne parla anche nel volume di Maura Muratorio, Daniel Hanbury e la colonia inglese di Alassio, 2000, p. 82.)

    Fra i suoi avversari sui campi da tennis gestiti a Rapallo da Mr. Rhode (che si trovavano accanto al torrente S. Francesco, nel luogo dove adesso è la Standa) era Ezra Pound, che il 5 aprile 1928 scriveva con la consueta esuberanza a suo padre in America: “Qui l’ultima novità è che l’altrieri il ragazzino di 15 anni con cui gioco a tennis è andato a Genova e ha battuto il campione d’Italia”.

     In effetti un giornale genovese titolò: “La prima giornata del Torneo dell’‘Andrea Doria’. Balbi battuto da Bacigalupo”. E raccontava:

Il rapallese, magro, piccolo, mobilissimo, dallo sguardo vivace e intelligente, ha fatto sfoggio di una grande sicurezza in ogni colpo, rinviando tutte le palle... e poi, nell’ultimo set, quando Balbi era visibilmente stanco e scoraggiato, ha audacemente e vittoriosamente contrattaccato.

Bacigalupo sembra sia stato uno dei pochissimi liguri entrati in prima categoria, quando il tennis era uno sport vietato ai professionisti.

    In un libro del produttore cinematografico americano Edwin Knopf ho trovato un altro ricordo di un Bacigalupo tredicenne, che su incarico del padre farmacista accompagna il giovane americano a vedere una casa da affittare:

In quei giorni (1925) non c’era a Rapallo e Santa Margherita una vera e propria agenzia immobiliare, ma mi dissero che il signor Bacigalupo, il principale farmacista di Rapallo, sapeva sempre cosa era disponibile. Andai a parlare con questo notabile, che si affrettò a spiegarmi che il suo titolo non era ‘signore’ ma ‘dottore’, e che conosceva un villino che faceva al caso mio. Apparteneva a un Dottor Queirolo e il farmacista ne aveva le chiavi. Suo figlio mi avrebbe accompagnato al Villino Castello; l’affitto era dodici dollari al mese. Ma c’era un po’ di salita. Per me il prezzo era giusto e pensai che se le gambe non mi aiutavano a 25 anni, non l’avrebbero fatto mai. Così ci incamminammo, io e il giovane Bacigalupo. Lo ricordo come un ragazzino magro e gentile di 11 o 12 anni, che più tardi sarebbe diventato uno dei primi tennisti italiani e ancora più tardi un eccellente medico internista...”.

Dalla descrizione si capisce che il villino si trovava sulla collina sopra Via Macera, e forse qualche lettore mi aiuterà a identificarlo.

      Il tennis portò Bacigalupo in giro per l’Italia e l’Europa. In una foto riprodotta in Ieri a Rapallo lo vediamo premiato nel 1931 alla Coppa Principessa di San Faustino a Venezia, con in mano il massiccio cimelio e alle spalle la principessa di profilo, con il naso importante che sarà poi dei nipoti Gianni e Susanna Agnelli. Al tennis dovette anche il primo grande amore, per cui rimando a uno dei capitoli in appendice a Ieri a Rapallo. Sfogliando il “Mare” di allora lo trovo infatti giocare un torneo del 1932 in doppio misto con la romana Clara Orazi, e a “Clara” è appunto intitolato il capitolo in questione.

     Aveva iniziato a giocare in doppio con sua madre, che – algida tedesca per il resto – idolatrava il figlio e gli perdonava tutto, peraltro ricambiata. Leggendarie le sue marachelle (le coppe vinte ai  tornei venivano tutte subito vendute per racimolare qualche soldo).

    La madre decise di farlo ravvedere mandandolo a studiare medicina nella remota Siena. Ma qui Bacigalupo incontrò il poeta e bon vivant Lorenzo Lanza, che una volta lo definì “spirito dello spirito”, e fu tutto un succedersi di feste, di conoscenze con artisti tedeschi (i pittori Rudolf Levy e Kurt Cramer, l’amico psicologo Pitt Kraemer).

    Fu solo quando a Siena arrivò una ragazza americana di nome Frieda che Bacigalupo fu messo a regime e presto si laureò. Il 1° giugno 1939 sposava Frieda a San Fruttuoso di Camogli, mentre i pescatori del borgo cui gli sposi offrirono una damigiana brindavano alticci.

   In quanto americana, Frieda ebbe difficoltà a persuadere le autorità fasciste che non costituiva un pericolo per la pura razza italica (le leggi razziali essendo state emanate nel 1938), ma poté dimostrare di avere nonni materni e padre schiettamente pistoiesi sicché fu accolta dalla novella patria (ma restò sempre più americana che italiana, per quando leale nei confronti del Paese dove scelse di vivere e lavorare).

     La guerra si avvicinava. Sui campi da tennis il compagno di partite e uscite serali Carlo Devoto (gemello dei chitarrista Oreste, di una benestante famiglia di avvocati genovesi) faceva la parodia di Hitler, regolarmente filmato da Bacigalupo che più tardi, ufficiale medico a Loano, sviluppava con l’amico radiologo Aldo Burlando le pellicole Pathé 9,5 nella bacinella delle lastre. Ritrovare quelle immagini del simpatico Carlo nei panni di Hitler... Dove in soffitta sarà finita la vecchia pellicola?

     Mio padre raccontava di dover alla conoscenza del tedesco e dell’inglese di non essere partito per la Russia: serviva in Italia come ufficiale di collegamento, e anche dopo l’8 settembre ebbe un ruolo di medico per l’Organizzazione Todt, che costruiva i muri antisbarco.

    Però con la sua apoliticità suscitava diffidenza e nell’estate del 1944 quando vi fu una retata di notabili sospetti di antifascismo fu portato con altri al Tirasegno Nazionale di Rapallo e trattenuto in quel luogo “che non prometteva bene”.

   La sera del 31 dicembre 1944 la Villa Buona Terra, costruita dalla madre a Rapallo in Via Maggiocco nel 1936, fu danneggiata da una bomba, che uccise diverse persone nella casa attigua. Per fortuna i Bacigalupo si salvarono, e poterono brindare al nuovo anno, salvo trasferirsi in collina a S. Andrea di Foggia fino alla fine delle ostilità...

    Gli anni del dopoguerra sono quelli della Clinica. Il diversivo per Bacigalupo non fu più il tennis ma la vela. La prima barca, un beccaccino, si chiamava “Monello”, cui seguirono lo star “Gioia”, il cinque metri Baglietto “Vagabonda”, e infine i King’s Cruiser svedesi “Vagabonda II” e “Vagabonda III”, quello sloop azzurro che ancora si può ammirare bordeggiare nel Tigullio, magari timonato dai nipoti (uno dei quali, come il nonno, è medico nonché velista).

    Per il resto Bacigalupo fu restio a muoversi, andava tutt’al più a Genova, venne una rara volta a Napoli ad accoglierci sulla “Cristoforo Colombo” di ritorno dall’America (1957). Aveva la battuta pronta, “spirito dello spirito”, e nel suo libro lo si sente veramente parlare.

    I medici lasciano sempre ricordi. Una signora che incontro d’ogni tanto mi racconta di quella volta nel 1947 che Bacigalupo salvò sua madre. “Si era fatta un taglio che si era infettato e in breve fu gravissima. Il medico condotto disse che era tifo e non c’era niente da fare. Disperata, avevo nove anni, telefonai alla mia pediatra, che mi mandò il marito. Il dottore mi disse: ‘Guarda, devi procurarle della penicillina, e gli unici ad averla sono gli americani, vai a Genova e vedi se la trovi’”. Così la bambina partì da sola per Genova, riuscì a salire su una nave da guerra, e fu accontentata dal medico di bordo e riaccompagnata a Rapallo, e sua mamma fu salva.

    Ma Bacigalupo, per quanto partecipasse notevolmente alle emozioni dei pazienti, conservò sempre un sano scetticismo. L’amica Wanda me ne ha ricordato un esempio. “Quando abbiamo preso questa casa io ho detto che le scale fra un piano e  l’altro fanno bene, Flavio non ci credeva, e ne è nata un’eterna discussione fra noi. Sicché una volta che tuo padre è venuto per una visita gli dico: ‘Scusi, Dottore, ma è vero che salire le scale fa bene alla salute?’ E lui: ‘A chi piace’.”

Il Secolo XIX, 10 maggio 2009 - Il Mare (Rapallo) 6 giugno 2009