Avendo ricevuto simultaneamente due recensioni agli scritti di Ivan Chtcheglov pubblicati presso Allia, abbiamo voluto, per i loro specifici motivi di interesse, pubblicarle  entrambe.

    

Jean Montalbano / Wolf Bruno     

Gilles Ivain/Ivan Chtcheglov

 

1) Jean Montalbano: quattro amici al bar

    Fu una vita spettrale, che sporadicamente riappariva nelle lettere o riviste di Debord, quella di Ivan Chtcheglov (1933-1998): e, riprendendo un’immagine cara a quegli accaniti amanti di flipper, se l’esistenza è come la traiettoria di una pallina, quella del figlio dell’espatriato ucraino Vladimir fece presto tilt, non prima di aver tentato l’abbozzo di una teoria per quei tragitti irresponsabili eppure disperatamente calcolabili. Nei mesi di intensa frequentazione a cavallo tra il 1953 e il 54, i due ventenni “lettristi internazionalisti” balbettarono i concetti di psicogeografia, deriva, nomadismo, nuovo urbanismo su cui alcuni provarono poi a costruire improbabili carriere.

    Due libri curati da Jean-Marie Apostolidès e Boris Donné, uno comprendente gli Écrits retrouvés, l’altro un biografico Profil perdu, entrambi editi da Allia, tentano di rendere più stentorea una voce fin qui nota perlopiù soltanto nei flebili cenni del papa situazionista.

    Curiosamente, ma cogliendo nel segno, gli autori della ricognizione scelgono di chiudere la raccolta dei testi di Chtcheglov con un lapidario “les internationales sont mortes, les forêts sont l’éternité” sigillando tra gli echi delle internazionali di Debord e le bave di eterno di Isou le sfuriate intermittenti del pur giovane e disilluso Ivan. Il quale nei suoi vagabondaggi adolescenziali (fu anche a Genova dove, raccontò, frequentandone i più infetti tuguri, rischiò la morte per fame) ha già individuato il bersaglio da colpire in una Civiltà minata dalla “deformazione senile” delle sue stesse tradizioni (Blaise Cendrars sarà uno dei suoi riferimenti duraturi). Nel 1953 al caffè Moineau di rue du Four incontra un Debord perlomeno già cardinale in vena di epurazioni, visto che la sua cellula consta di appena due o tre membri: per alcuni mesi il “nuovo nomade” Ivan ed il lettrista Guy saranno gemellati dalla stessa ansia di esplorare e trasformare il tessuto urbano, fino a (teorizzare più che) costruire quelle “situazioni” che avrebbero rifatto la mappa mentale parigina, pur se va ricordato come all’invenzione e alla pratica della “deriva” non furono forse estranei gli scioperi dei trasporti che afflissero l’estate parigina del ’53.

    Tutto sommato la deriva dell’eroe urbano “rileva” la messa del prete, entrambi captando energie a profitto della comunità. Quanto al nuovo urbanesimo, non utilitario, slegato dall’immediata praticità, e ai “sadiani castelli inaccessibili, scale, cantine, corridoi” chissà che ne direbbero le odierne associazioni di disabili. Certo la sentenza che recita  “l’avvenire è nei Luna Park”, rovesciata, è sotto i nostri occhi.

    Dopo il Moineau, fu al Tonneau che i pochi eletti amici si bevevano il ricavato della vendita a Gibert dei libri rubati in case ben fornite. Con il cinema di Carné, ad accomunarli era il cabernet. Il graal nefasto poteva essere inseguito solo da chi possedesse una cattiva salute di ferro.

    Il tempo di scrivere il Formulaire pour un nouveau urbanisme, che solo alcuni anni dopo la rottura venne pubblicato, con tagli, a nome Gilles Ivain, sul primo numero di I.S. (“lasciamo a Le Corbusier il suo stile che ben si addice a fabbriche ed ospedali. Ed alle prigioni future: non costruisce già delle chiese ?…Un modello di Corbusier è la sola immagine che mi evochi l’idea di suicido immediato”) e la voce di Chtcheglov finisce, come quella di altri conoscenti più o meno “decorativi”, nel grido strozzato da cui tentava di smarcarsi.

    Quanto all’amico di pochi mesi, costaterà amaramente negli sprazzi di lucidità sfuggiti ai ricoveri psichiatrici (e non senza averne intuito i tratti autodistruttivi) che Debord “sopprime” o esclude ciò su cui non regna e ad evitare manipolazioni consiglierà a chi trovava impraticabile il “ne travaillez jamais”: “Non scrivete mai. Rischiate d’essere pubblicati”.

 

2) Wolf Bruno: una sciocchezza tira l’altra

È stato Carlo Romano - ormai molti anni fa, nell’intervento al Convegno di studi su Pinot Gallizio tenutosi ad Alba nel 1984 - a definire Gilles Ivain (Ivan Chtcheglov) come il Vaché di Debord. Si alludeva, in buona sostanza, a due miti fondatori, quello del Surrealismo e quello dell’Internazionale Situazionista. Si potrebbe aggiungere, per contiguità, la figura di Pomerand a fianco di Isou per ciò che riguarda il Lettrismo e, a non far sfigurare la tradizione,  se ne potrebbe trarre in deduzione il ruolo della tragedia in questi miti, col suicidio per Vaché, il ripudio e la tossicomania per Pomerand, il ripudio e il manicomio e la riabilitazione per Ivain. Che nel passaggio fra l’uno e l’altro possa esser andato perso qualcosa non è una semplice impressione, se si parte dalla grandezza letteraria (e non solo) del Surrealismo, ancorché in questo modo si privilegi un’idealità riguardo la letteratura situata ai limiti dell’ubbia. Conviene viceversa attenersi, in tema di Lettrismo e Situazionismo, al novero delle Avanguardie e riflettere, in rapporto al Surrealismo, sia sul momento della rottura pura e semplice che su quello della rottura dialettica, con in questo caso l’uso più o meno congruo del termine “superamento”. Ciò nonostante si esce piuttosto perplessi dalla lettura dei testi di Gilles Ivain/Ivan Chtcheglov appena pubblicati dalle edizioni Allia di Gerard Berreby (Ecrits retrouvés e Profil perdu, curati da Apostolidès e Donné, Paris 2006) e se se ne esce in tal modo (perplessi) è per il loro dilettantismo da giornalino studentesco. Ma ancora una volta – non già per essere indulgenti – attenersi al novero suddetto aiuta probabilmente a capire. E ancora una volta si deve tuttavia ammettere che un testo famoso come il Formulaire pour un nouveau urbanisme non va oltre la vecchissima idea di una riappropriazione gioiosa degli ambienti, solo che la trasforma in una sorta di “precettistica anti-precettista” che Debord accentuerà (precettisticamente) poco dopo nell’originaria teoria situazionista la quale, detto questa volta senza alcuna indulgenza, è in sé e per sé una sciocchezza (una belinata) che attendeva soltanto, non senza travisamenti,  architetti e critici d’arte per diventare una sciocchezza (una belinata) ancora più grande ma finalmente rispettabile.