Carlo Luigi Lagomarsino

stato di minorità e violenza

Daniele Giglioli; STATO DI MINORITÀ. Laterza, 2015 | Randall Collins : VIOLENZA. Un’analisi sociologica. Rubbettino, 2014 | Giorgio Agamben: L'USO DEI CORPI. Homo sacer, IV, 2. Neri Pozza, 2014

Non avevo mai letto niente di Daniele Giglioli, anche se la sensazione è che il suo nome non fosse del tutto ignoto ai depositi della mia memoria. Leggo adesso come negli anni scorsi egli sia andato scrivendo "tre saggi dedicati all’immaginario del terrore, del trauma e della vittima" senza aver previsto "alcun disegno unitario" ma accorgendosi, a un certo punto "che la domanda attorno a cui ruotavano era sempre la stessa: quali sintomi si manifestano in una società in cui l’agire politico è sentito come qualcosa di impossibile, non perché proibito ma perché ineffettuale, senza esito, svuotato di ogni concretezza?" L'assunto di quest'ultimo saggio, dice Giglioli, non consiste "nell’idea che solo la prassi rende umano l’umano, né nella tesi che la presente sia l’epoca che ne registra la scomparsa dichiarandola impossibile per sempre. Per convincersi del contrario basta una gita in Medio Oriente, e buona fortuna. Più che dimostrare, l’intento è mostrare cosa accade quando – contingentemente, e non per un supposto «invio destinale» tipo Tramonto dell’Occidente o Fine della Storia – l’azione è inibita." Sconosciuto che mi fosse, in poche battute l'ho ritrovato familiare e appassionante senza dar troppo peso a chi ha meritato la citazione - siano le Arendt, gli Agamben, gli Zizek - o lasciandomi tentare dalla cooptazione nei grandi casati - adorniani per caso, angelofili impudenti, marxisti sempiterni, heideggeriani critico-criptici, papalini contro il logorio della vita moderna, situazionisti giovani marmotte, jungeriani sulle scogliere di panna, ermeneuti indeformabili, biopolitici androgini, serissimi coglioni e altre palle. Se però dovessi proprio esser indotto a pronunciarmi sulla stirpe evocherei quella sociologia non quantitativa (o filosofica) di tradizione tedesca che da Simmel, passando per Francoforte, Anders o Schelsky, arriva a Sofsky. Ed è proprio a quest'ultimo che mi viene da collegare Giglioli.

C'è, svolta in destrezza, molta critica e nessuna soluzione, a meno di non intravvederla in filigrana. Potrei azzardare la rovinosa parola "nichilismo" e se qui avesse un senso sarebbe quello di colpire l'individuo in quanto sconsigliato, fino a renderlo inadatto, a intervenire nel processo sociale e politico ("vite di scarto o "vite rinviate" come le hanno chiamate rispettivamente Bauman e Gallino in due libri pubblicati dallo stesso editore di Giglioli). Paradigmatico risulta a Giglioli, tanto da definirlo "il palinsesto" del suo libro, non una corrugata dissertazione, ma un libro dell'ultimo Saramago che, a dispetto del titolo, si presenta come un romanzo: Saggio sulla lucidità (Feltrinelli, 2013). Vi si narra di un paese dove alle elezioni, caratterizzate da un inaspettato afflusso di presenze, stravincono le schede bianche. "I personaggi senza nome e senza soggetto del romanzo di Saramago", dice Giglioli, "vivono di fatto in un gigantesco campo di concentramento, che Agamben propone appunto di vedere come il vero «paradigma biopolitico» contemporaneo".

Già che Giorgio Agamben è convocato, non mi sottraggo ad affrontare (si fa per dire: non ci ho capito una mazza) l'ultimo volume del "progetto" (iniziato nel 1995) Homo sacer. Ed è Agamben, a conclusione di un prologo che è il suo "dialogato coi morti" dove il morto è Guy Debord, a prospettare quell'azione che alla fine Giglioli invoca: "solo se il pensiero sarà capace di trovare l'elemento politico che si è nascosto nella clandestinità dell'esistenza singolare, solo se, al di là della scissione fra pubblico e privato, politica e biografia, zoè e bios, sarà possibile delineare i contorni di una forma-di-vita e di un uso comune dei corpi, la politica potrà uscire dal suo mutismo e la biografia individuale dalla sua idiozia". Preciso che avverto comunque di maggior presa la chiusura dello stesso Giglioli , ancorché sfumata e magari incolore, posta "sotto la specie della nascita", come dire "distacco, separazione, nuovo inizio".

Messa come si vuole, se il punto è la presa di possesso della nostra vita, e lo è, ci si interroga inevitabilmente sul tipo di relazione che si stabilisce con gli altri e cosa ne può nascere di buono o cattivo, sui rovesci (e sui rovesciamenti) che si abbattono sui singoli gravando sulla desiderata pienezza della persona. Quantunque possa esser ritenuta troppo ottimista la critica alla ferinità di marca hobbesiana condotta da Randall Collins, un'occhiata al suo Violenza, il corposo volume dal quale nell'edizione italiana sono stati esclusi alcuni capitoli senza che la corposità sia venuta meno, ci porta al centro del marasma pulsionale e dei mezzi ulteriori rispetto a una morale condivisa che non può contenere - o trattenere - la sua enormità. Collins lo fa con una tale messe di ragionamenti e situazioni, fra ordinarie e straordinarie, che chiedersi, come fa (doverosamente nella sua posizione) il curatore e prefatore Alessandro Orsini - immergendo a sua volta la domanda in una tale messe ecc. ecc. che tocca anche i cosiddetti "anni di piombo" italiani - quanto "weberismo" ci sia in questo libro finisce per sembrare un esercizio bizantino.

Nel suo libro Giglioli parla di terrorismo ma la violenza rimane tuttavia (a differenza di Sosfsky) abbastanza fuori dal suo discorso. Non la prende nemmeno in considerazione, se non indirettamente, e non come soluzione rapida in vista di un fine politico e sociale, ma come trappola semantica per generare l'esclusione da quel fine. Gli enunciati sul terrorismo coincidono dunque con l'assunto del libro, vale a dire la confisca nella politica della vita pubblica che quando non suscita indifferenza conduce alla disperazione. Giglioli riporta le parole che Amedy Coulibaly - l'attentatore parigino che si asseragliò in un supermercato kosher trattenendo in ostaggio alcuni ebrei - impresse su un video poche ore prima di morire: "Credete di poter decidere voi soli come vanno le cose nel mondo?"

“Fogli di Via”, novembre 2015