Charles de Jacques
Gide, Valery,
Mauriac, Debord... Lettere e altro
Cominciamo da Gide, Valery e Pierre Louys, un inizio sontuoso dunque,
di sicuro fuori dalle nostre possibilità - ammesso che ci vogliano, che se ne
abbiano, che dicano qualcosa. E’ come De Niro quando interpreta un personaggio,
si vorrebbe riprodurre un pezzo dello stile di chi si scrive. E’ come se il
papa credesse di essere dio o, peggio, come se dio credesse di essere vero. In
fondo non dobbiamo parlare che di un libro e nemmeno sondarlo in tutte le sue
aperture, opportunità, segreti. L’unica verità che ci tocca è prendere a
segnalare una serie di tomi memorialistici, diaristici e postali che lungo il
2004 hanno riportato alla luce alcune storie della Francia letteraria e mettere
Gide al primo posto non è altro, in fondo, che rispettare un precetto. Dobbiamo
a Gallimard la pubblicazione di un carteggio a varie mani – fra, perlappunto, Gide, Valery e Pierre Louys;
1660 pagine, più l’indice dei nomi citati - che va sotto il titolo di Correspondances
à trois voix – 1888-1920 e si aggiunge brillantemente a quella parte
della corrispondenza fra Gide e Valery che, una cinquantina di anni fa, già
fece conoscere Robert Mallet. In più c’è la corrispondenza con Louys e mai c’è
stata un’edizione così minuziosa – di più, integrale – di queste lettere. È
ovvio che da questa triangolazione emergono sia influenze e somiglianze che
interferenze e diversità e va a merito di Peter Fawcett e Pascal Mercier, i curatori
di questo volume, di aver svolto il prospettico lavoro.
A Marie Nimier – per La Reine du Silence, ancora
Gallimard l’editore – va invece il plauso per aver evocato, a più di
quarant’anni dall’incidente automobilistico che gli stroncò la vita, il padre
Roger, in una confessione dolorosa e zeppa di coraggio nello scavare fra i
ricordi famigliari anche imbarazzanti che danno l’idea di ciò che un giovane
toccato dal genio riesce ad infliggere ai suoi congiunti.
Da una figlia passiamo a una sposa. Catherine Robbe-Grillet, moglie di
Alain, pubblica presso Fayard il suo diario dei primi anni in coppia con lo
scrittore: Jeune Mariée. Journal 1957-1962. Lei è giovanissima e lui le
propone un “contratto di prostituzione coniugale”. La furbizia è donna e si sa
chi porta veramente i pantaloni nel matrimonio. Scopano, sì, ma non sempre
Alain giunge all’acme. Lei rimorchia e si fa rimorchiare...
Pruriti dello stesso genere – aveva l’amore facile come la scrittura,
che dire d’altro? - nella Correspondendes avec ses amis di
Louis de Vilmorin, ma più mondani, di mondanità vera e nobiliare, antica, meno
cafona di quella degli ordinari letterati (chissà poi....). Il volume, di oltre
500 pagine, è pubblicato da Gallimard (fra l’altro anche il vecchio Gaston è
implicato nelle trame del carteggio).
E mentre Bataille entra nella “Pléiade” e la collana “Quarto”, sempre
di Gallimard, dedica un volume di 1792 pagine alle Oeuvre di Antonin Artaud
(del quale per giunta escono gli inediti Cinquante dessins pour assassiner la magie),
le edizioni Bartillat mandano in libreria i Bloc-notes
di François Mauriac (D’un Bloc-note à l’autre, 1952-1969) quella sorta di diario in pubblico che lo
scrittore cattolico iniziò a pubblicare su “la Table ronde” e
proseguì poi su “L’express” (ai redattori della prima non andavano giù certe
posizioni politiche di Mauriac, a cominciare dall’ammirazione per De Gaulle, ed
egli trasmigrò dunque al settimanale progressista).
Escono anche le memorie di Joacquin Vital, fondatore delle edizioni de
La Difference (Adieu à quelques personnages), pubblicate dalla medesima casa
editrice, la quale inoltre pubblica il
terzo volume (1968-1973) dei diari letterari – zeppi di formidabili aforismi e
pungenti osservazioni sul mondo degli intellettuali - di uno scrittore
scarsamente conosciuto in Italia, Claude Michel Cluny (L’invention dìu Temps, Impostures).
Esce poi, da Fayard, il quarto volume della Correspondance di Guy
Debord, relativo agli anni 1969-1972. Sono gli anni della “veritable scission”
dell’Is. Debord ne ha per tutti, ma il tono è banalmente militantesco e quasi
non vi è traccia di quel “bello scrivere” di cui mostrava altrove, perlomeno, di
essere un cultore. Se il libro l’abbiamo messo in fondo a questa disordinata
lista non è per caso.