Giovanni Giaccone
la storia di Genova spiegata a un passante
alla fermata dell’autobus
Capire i genovesi è dura.
Anche dire “genovesi” è arduo.
Genova esiste da quando è nata Roma, dal 700 a. C., loro arroccati sul
Castello scendevano verso il molo e sulla spiaggia per lavorare, aggiustare le
reti per la pesca e scaricare e caricare le merci che arrivavano da posti
lontani. Erano fenici quelli che arrivavano, etruschi e greci e alcuni
si fermavano la notte, fuori dal Castello con qualche donna, per poi ripartire.
Erano grandi i bambini di
quelli lì quando arrivarono i romani che ai “genuati”
piacquero più che agli altri liguri. Militari, ordinati e pagavano. Avevano
bisogno dell’approdo e con loro portavano merci mai viste prese chissà dove.
Genova si andava popolando e loro la disegnarono come sapevano fare soltanto
loro, dei maestri.
La città vecchia è ancora
sulle direttrici che hanno tracciato i romani, linee rette e perpendicolari,
precise. Quando venne Magone, il
cartaginese, gli uomini furono uccisi e tutte le donne stuprate e i figli che
nacquero erano mezzi africani.
E nella Genova che venne ricostruita vissero anche loro.
Fai presto a dire “genovesi”.
E poi andarono via i romani che Genova
era un centro importante e per un po’ di tempo, diversi secoli, era più facile
morire che vivere. Tutti venivano a Genova a trovare riparo dalle invasioni di
popoli lontani e feroci e vennero anche i milanesi
e la cosa non piacque molto.
E fai presto a dire genovesi.
Genova non aveva una piazza centrale, mai avuta. Era
divisa per famiglie. Piccole corti intorno ai palazzi stop. In eterna guerra
fra loro. Stop.
Carlo Magno pretese che
erigessero delle mura per difendersi e lo fecero ma mica tanto volentieri. Un
giorno una fontana cominciò a sputare sangue e la cosa non diceva niente di
buono. Arrivarono i saraceni e misero a ferro e fuoco la città. Uccisero gli
uomini e stuprarono le donne. Tutti i bambini che nacquero dopo nove mesi erano
mezzi africani.
Fai presto a dire genovesi.
La città venne ricostruita più
bella e ricca di prima e i traffici cominciarono a rifiorire, tutta l’Europa
guardava verso Genova dove una moltitudine di uomini armati partiva per andare
a liberare Gerusalemme. E divenne bellissima, ricca
di palazzi e tesori, costellata di torri da cui i genovesi si tiravano tra di
loro qualsiasi cosa, frecce, lance, pietre, pitali e merda.
I genovesi hanno sempre avuto un brutto carattere.
Lo diceva anche Dante Alighieri.
Branca Doria era talmente feroce che il
sommo poeta lo mette all’inferno che è ancora vivo.
Quando l’imperatore manifesta
l’intenzione di venire a Genova la cosa puzza di bruciato. A fare cosa?
Fu così che i genovesi, tutti
uniti, costruiscono una mirabile muraglia in una decina di giorni. Che il
Barbarossa lo deve ancora spiegare cosa ci veniva a fare a Genova e comunque
quella volta le ricchezze rimasero ben al sicuro dietro le mura ma di piazze
neanche a parlarne. Anzi con la polvere da sparo dalle torri si sparavano, i
genovesi. E così fu deciso di abbatterle le torri, tranne quella dell’Embriaco perché lui, proprio lui l’aveva liberata
Gerusalemme, sul serio.
Altro che musse.
Come dicevano e si dice ancora adesso.
Intanto Cristoforo Colombo,
che era genovese, scoprì l’America ma siccome aveva due debiti, preferiva
attraversare l’Atlantico a nuoto che farselo menare dai genovesi a casa sua.
Nessuno è profeta in patria lo disse Gesù Cristo che poi non era neanche di Portoria che sarebbe stato ancora più difficile.
Ai crucchi le piaceva ‘sta
città, clima dolce, donne quante ne volevano (almeno allora) e forzieri pieni
d’oro. Il carattere degli abitanti era un po’ così ma anche loro non erano la
simpatia a prima vista. Trecento anni dopo, armati e in forze occuparono la
città e le donne furono tutte le loro.
E i bambini che nacquero nove
mesi dopo erano mezzi austriaci e mezzi genovesi ma non fecero in tempo a
vedere il loro papà perché nel frattempo uno un po’ più grande di loro, lo
chiamavano “balilla” non gli andò di aiutare i crucchi a spostare un cannone e
scatenò un macello. E i crucchi furono costretti a portare via gli stracci.
Hanno proprio un carattere difficile i genovesi, lo
dicevano anche gli austriaci mentre scappavano.
E poi vennero i francesi e di nuovo gli
austriaci e si morì di fame per strada e poi cadde un re e se ne fece un altro
e un giorno, niente, esce fuori che i genovesi erano sotto quei mezzi austriaci
dei Savoia che quante volte gliele avevano suonate a Zuccarello
ma niente. I Serenissimi non lo erano più tanto e soprattutto non lo sarebbero
mai più stati.
C’era da fare l’Italia e i genovesi avevano delle
idee. Sempre meglio dei Savoia. Un tipo con una bella parlantina passava svelto
da via Lomellini dove abitava ai caffè di via Aurea
dove si parlava di politica e dell’Italia.
Beppe, Mazzini Beppe aveva grandi idee,
lo chiamano ancora oggi padre della patria, erano talmente toste quelle idee
che quando lo vedevano i Savoia lo mettevano dentro senza passare dal via.
Grandi idee.
Geniali.
Muore in esilio che gli
avrebbero tirato volentieri una schioppettata se lo avessero visto Beppe, i
Savoia.
Mai compresi i genovesi.
Poi Garibaldi che però era di
Nizza partì dallo scoglio di Quarto e in quattro e quattro otto arriva quasi
sino a Roma a cannonate che lui ce l’aveva a morte con il Papa ma lo fermano
prima e lo mandano in pensione. Almeno lui.
A Genova mandano giù il rospo
dei Savoia e De Ferrari caccia tanto di quel grano per fare il porto che
finalmente i genovesi la fanno la piazza e la dedicano a lui.
I genovesi sanno essere generosi quando vogliono.
Con parsimonia come conviene.
E poi ci sono le guerre e di
nuovo i crucchi che gli tocca andare via a calci nel culo anche stavolta che i
genovesi non hanno bisogno degli americani per farlo, anzi glielo potrebbero
spiegare loro agli yankee.
Sembra che i crucchi dicessero
che i genovesi avevano proprio un brutto carattere mentre si arrendevano a De
Ferrari.
E poi ci siamo noi che arriviamo dai fenici, dai
romani, dagli africani, dai francesi, dai crucchi ma che però abbiamo
conservato il bene più prezioso.
Il nostro brutto carattere.