Don Piola

Gell Agency

Alfred Gell: ARTE E AGENCY. Una teoria antropologica. Raffaello Cortina, 2021

Se anche non è da escludere che possa aver visto citato Alfred Gell (1945-1999) francamente non lo conoscevo. Mi sono lasciato attirare da titolo, copertina e illustrazioni e ho cercato di darmi alla lettura. Ammetto di averla interrotta molto presto malgrado il prefatore, Chiara Cappelletto, si fosse sperticata in lodi di originalità spingendosi a raffigurare l'autore come un genio dell'antropologia, in particolare di quella dell'arte. Mi sono poi limitato a sfogliarlo leggendo qui e là dei periodi che sembrava potessero catturarmi. Ci sono libri che con questo sistema, solo apparentemente superficiale, ti entrano dentro e riescono a darti quel che cercavi, col libro di Gell non è accaduto niente del genere. Quantunque non possa escludere in futuro di riprenderlo in mano e di ritrovarmi a rimangiare questo primo approccio, il fatto che io non sia un esperto studioso, non ha lasciato alcuna traccia di colpevolezza per la mancata lettura, casomai soltanto un vago corrucciato senso di infruttuoso investimento. Per venire al sodo, non ho letto come si dovrebbe Arte e Agency di Alfred Gell, qualsiasi giudizio che ne darò sarà quindi quello di un ciarlatano ma non è detto che non colga nel segno. Una disonesta dissimulazione è uno dei tanti modi per farmi interessare a ciò che non mi è interessato affatto.

Apprendo che Alfred Gell ha scritto questo libro quando stava morendo di cancro. Nella postfazione all'edizione italiana, Carlo Severi lo definisce un libro scritto "in affanno". Oltretutto è evidente perfino nel mio sbrigativo "esame", se proprio dobbiamo chiamarlo in qualche modo, che Gell non mette solamente in discussione i colleghi e le teorie, ma le sue stesse precedenti argomentazioni. Giù il cappello, naturalmente, ma il tema non è quello della commozione, in ballo c'è un libro che ho letto male senza avere l'intenzione di leggerlo meglio, almeno per il momento. Mi ha tenuto lontano ciò che credevo di trovare e a prima vista non vi ho trovato. Pensavo di rigirarmi fra succose descrizioni, ardite comparazioni fra remoti quanto anonimi artisti tribali e trionfali tribalismi artistici moderni e contemporanei, grandi e piccole teorie preferibilmente sbeffeggiate, bei nomi alla gogna, critiche incalzanti, schizzi saporosi di uomini arcaici alternati alla  grettezza di quelli contemporanei  - o anche il contrario - e mi sono imbattuto in serie difficoltà di lettura che altrimenti potrei definire noiose farragini, dove l'ultimo vocabolo lo si può anche tranquillamente attribuire ai miei difetti cognitivi.

Ho però capito - o credo di aver capito - l'idea dottrinale che Gell si è impegnato ad annunziare come un'apparente (e solo apparente) capovolgimento dell' "intenzionalità" cara alla fenomenologia (Husserl e Merleau Ponty rientrano fra i suoi eroi culturali) adottando il termine "agency" (che rimanda all'azione ma nello specifico, a quanto sembra, di non facile traduzione così da averlo lasciato in originale nell'edizione italiana) quale incoraggiamento a non prendere in considerazione soltanto le mosse dai soggetti agli oggetti ma quelle contrarie. Valutare cioè, in parole povere, la vita autonoma degli oggetti che agiscono su di noi in forme sciatte o, come quelli artistici, ammalianti che siano. Non so a questo punto se esclamare "tanto rumore per nulla" o "povero me", ma se mi si chiedesse perché mi sono spinto a dissertare su ciò che probabilmente non ho capito dovrei rispondere che non lo so.