Pierangelo Castagneto

Genova e gli Stati Uniti al tempo di Franklin

La notizia della morte di Benjamin Franklin giunse a Parigi, città nella quale a lungo aveva soggiornato, l’11 giugno 1790. Mirabeau, ammalato, si precipitò all’assemblea nazionale e improvvisò un discorso:

“Signori, Franklin è morto… E’ ritornato nel seno della divinità quel genio che liberò l’America e versò sull’Europa torrenti di luce. Il saggio che due decadi reclamano, l’uomo che si contendono la storia delle scienze e la storia degli imperi, occupava senza dubbio un grado elevato nel genere umano. Il Congresso ha ordinato nei tredici stati della confederazione un lutto di due mesi per la morte di Franklin, e l’America paga in questo momento questo contributo di venerazione e di riconoscenza per uno dei padri della sua costituzione. Non sarebbe degno di voi, signori, attenervi a questo atto religioso, partecipare a questo omaggio, reso, in faccia all’universo, sia ai diritti dell’uomo sia al filosofo che ha maggiormente contribuito a propagarne la conquista su tutta la terra? L’antichità avrebbe elevato altari a questo potente ingegno che, a vantaggio dei mortali, abbracciando con il suo pensiero il cielo e la terra, seppe vincere il fulmine e i tiranni. L’Europa illuminata e libera deve per lo meno una testimonianza di ricordo e di rimpianto a uno dei più grandi uomini che abbiano mai servito la filosofia e la libertà. Propongo che si decreti che l’assemblea nazionale porti per tre giorni il lutto per Benjamin Franklin.” (1)

La fama di Franklin in Europa si deve alla pubblicazione, fatta a Londra nel 1751, di un opuscolo intitolato New Experiments and Observations in Electricity made at Philadelphia in America. In Italia, l’opera fu conosciuta attraverso la traduzione francese, di un anno successiva all’edizione inglese. Gli studi sull’elettricità erano in quegli anni di gran moda cosicché la pubblicazione delle Observations scatenò una vera e propria corsa negli ambienti scientifici italiani a ripetere gli esperimenti eseguiti da Franklin. Giovan Battista Beccaria, allora professore di fisica all’Università di Torino, fu uno dei più brillanti perfezionatori delle teorie frankliniane: due anni dopo la pubblicazione del suo opuscolo, il fisico piemontese diede infatti alle stampe l’Elettricismo naturale e artificiale (1753), opera nella quale ripetutamente veniva fatta menzione “del celebratissimo scrittore d’elettricità Beniamino Franklino,” e dove veniva riconosciuta la solidità del “sistema del mentovato autore.” Beccaria aveva poi inviato una copia dello scritto allo stesso Franklin a dimostrazione dell’obbligo intellettuale dovutogli.

Da questo momento, malgrado che Beccaria e Franklin non ebbero mai l’occasione di conoscersi personalmente, i due avviarono una fitta corrispondenze intellettuale. Quasi per contraccambiare il favore che Beccaria gli aveva reso divulgando le sue teorie, nel 1762, Franklin gli aveva dedicato una delle sue scoperte, l’armonica, usando appositamente un termine italiano in onore della lingua del fisico piemontese. Per suo conto Beccaria lo ringraziava inviandogli ancor prima che venisse pubblicata la sua nuova opera, l’Elettricismo artificiale, una riformulazione definitiva della teoria frankliniana sull’elettricità. Così scriveva Beccaria a Franklin il 20 maggio 1771: “Vi ringrazio, prestantissimo Signore, dell’esatta descrizione del vostro nuovo veramente armonioso gravicembalo a cristalli (così a Voi è dato d’illuminare la mente dell’uomo con i principii della nuova elettrica scienza, di rassicurarne l’animo dall’orrore de’ fulmini co’ conduttori vostri, e di addolcirne i sensi con patetica soavissima musica); e se fossi da tanto, a nome anche dell’Italia nostra vi ringrazierei, che appunto in grazia, come voi dite, dell’armoniosa nostra favella col nome di Armonica tale vostro pregevolissimo stromento abbiate chiamato.” (2)

La popolarità di Franklin in Italia nella seconda metà del Settecento fu straordinaria: non solo gli scienziati più in vista -basterà ricordare i nomi di Verri, Frisi, Campi, Fromond, Volta, Carburi, Amoretti- continuarono le ricerche avviate da Franklin, dedicandosi alla diffusione dei suoi studi promuovendone traduzioni o, in molti casi, intrattenendo col quacchero di Philadelphia rapporti epistolari, ma anche poeti e letterati celebrarono il Newton dell’elettricità. Se il Monti nella sua ode Al Signor di Montgolfier (3) aveva cantato la sua vittoria sulle forze della natura – Rapisti al ciel le folgori, / che debellate innante / con tronche ali ti caddero, / e ti lambir le piante -, con la stessa ammirazione Alfieri ricordava Franklin e la titanica lotta contro la tirannide delle colonie americane:

Tu, rapitor del fulmine celeste

Già fin da’ tuoi verdi anni,

Ch’or con più ardire e non minore impegno

Apportatrici di più lunghi affanni

Saette ai buoni infeste

Tolte hai di man di terren Giove indegno

D’aver sui forti regno;

Tu, vivo ancor fra’ semidei già posto,

Francklin, padre, consiglio, anima, mente

Di libertà nascente (4)

 

 

Minor eco ebbero in Italia gli scritti politici di Franklin. Per averne una traduzione sarà necessario attendere fino al 1775 quando sulla milanese Scelta di opuscoli interessanti verrà pubblicato Il povero Riccardo fatto benestante. Solamente con l’arrivo di Franklin in Francia sul finire del 1776, si renderà palese la dimensione politica della sua azione che, anche in Italia, non tardò ad attirare l’interesse degli ambienti intellettuali più illuminati: a questo proposito, Gaetano Filangieri rappresenta certo il caso più eclatante. (5)

Nel 1775, dopo aver svolto una quasi decennale delicata missione in qualità di agente dell’assemblea della Pennsylvania in Inghilterra – medesimo incarico ricoperto, con l’aggravarsi della situazione, anche per alcune delle altre colonie americane - Franklin aveva fatto ritorno in America dove era stato nominato membro del Secondo Congresso Continentale. La sua esperienza lo aveva ormai convinto dell’impossibilità di raggiungere qualsiasi conciliazione: come, amaramente, Voltaire scriveva a d’ Alambert a riguardo del fallimento di questa missione diplomatica: “Sapete che le truppe del dottor Franklin sono state battute da quelle del re d’Inghilterra. Ahimè! I filosofi sono battuti ovunque. Nel mondo sono male accolte la ragione e la libertà. Orsù, coraggio, mio filosofo carissimo.”

Ma la permanenza di Franklin in America non sarebbe durata a lungo: sul finire del 1776, egli venne infatti inviato a Parigi dal Congresso a capo della commissione designata a negoziare un trattato di commercio e di alleanza con la Francia, trattato firmato il 6 febbraio 1778. Conclusasi positivamente la trattativa con la Francia, nell’ottobre del 1778 Franklin è nominato ministro plenipotenziario a Parigi per conto del governo degli Stati Uniti.

Quello di Parigi è il Franklin passato alla storia: imberbe, sguardo vivace dietro gli occhiali di sua invenzione, un berretto di pelliccia che ricopriva i lunghi capelli grigi, l’abito di una semplicità studiata, non truccato, non incipriato, calmo, cortese, arrendevole, imperiale e provinciale allo stesso tempo. Franklin è a detta di tutti l’uomo del Nuovo Mondo e l’uomo di un mondo nuovo. Poco loquace e assai prudente nel rivelare le proprie opinioni sugli eventi in corso al di là dell’Atlantico, durante un pranzo, ad un invitato che lo aveva imprudentemente avvicinato dicendogli: “Bisogna riconoscere, signore, che l’America ci offre oggi un grande e superbo spettacolo,” il dottore di Filadelfia poteva rispondere con buona dose di sarcasmo, “Si, ma gli spettatori non pagano nulla…”

Nel 1781, insieme a Thomas Jefferson, Henry Laurens, John Adams, e John Jay, viene chiamato a far parte di una commissione incaricata a negoziare la pace con l’Inghilterra: sarà grazie alla sua abilità di mediatore che nel settembre del 1783, al termine di una discussione estenuante, spesso sull’orlo della rottura, l’accordo verrà raggiunto. Prima di lasciare il continente, il Congresso, che si era impegnato a farlo ritornare in patria, gli assegnò un ultimo delicato incarico. Nell’estate del 1784 infatti, una commissione formata da Thomas Jefferson, da John Adams, e dallo stesso Franklin era stata nominata allo scopo di contattare i rappresentanti diplomatici stranieri residenti a Parigi per proporre loro un trattato di commercio ed amicizia simile a quello sottoscritto con la Francia. Gli obiettivi e le linee generali di tale trattato vennero resi noti attraverso una lettera circolare esplicativa fatta pervenire ai rappresentanti russo, portoghese, spagnolo, tedesco, danese, prussiano, della città d’Amburgo, e dell’Elettore di Sassonia. Tra gli stati italiani lo stesso documento pervenne ai rappresentanti del re delle due Sicilie, di Sardegna, Toscana, Venezia, dello Stato Pontifico, e della Repubblica di Genova. Nessuno degli stati Italiani giunse ad un accordo, ma il caso della Repubblica di Genova presenta una particolarità. (6)

Allo scoppio della guerra in Nord America tra le colonie inglesi e la madre patria, il governo della Repubblica aveva esplicitamente dichiarato la sua più assoluta neutralità. Malgrado questo pronunciamento, non mancano indizi di un possibile coinvolgimento della Repubblica –seppur in maniera indiretta- nel conflitto coloniale.

Il 28 giugno 1777 il Console inglese a Genova, John Collet, informò in maniera allarmata  uno dei Segretari di Stato che “da un piccolo ragazzo gli era stata consegnata una lettera di incerto autore, nella quale veniva avvisato che la  Barca della Compagnia del Soccorso, stata ultimamente comprata, doveva in quella stessa sera partire da Genova con bandiera genovese: che la stessa era armata, ed esservi nel suo equipaggio persona munita di patente americana, che doveva spiegare subito uscita dal porto e corseggiare sopra la bandiera inglese.” (7) La Giunta di Marina della Repubblica, ordinata un’inchiesta, aveva potuto rassicurare Collet dimostrando come la nave in questione fosse armata di soli sei cannoncini di ferro, come l’equipaggio fosse composto interamente da marinai genovesi, che nessun carta o scrittura mascherava la nazionalità del legno, e che la sua destinazione era Marsiglia. In un’altra occasione era stato il ministro genovese a Londra, Francesco Maria Ageno a riferire voci di un possibile coinvolgimento della Repubblica:

“Nelle ordinarie relazioni che pervengono dall’America, non meno all’Ammiragliato che agli Uffici delle Segreterie di Stato, viene fatta replicata menzione di alcuni vascelli recentemente armati dagli Americani, le di cui particolarità vengono accennate ne’ seguenti modi. Si annunzia pertanto che a Filadelfia sia giunta una grossa nave, specificata di costruzione genovese, comprata dal Congresso e dallo stesso fatta armare con 74 pezzi di cannoni. Si scrive dalle coste della Carolina, e credo dall’Ammiragliato che corseggia in quei mari, che a Charles-Town siavi giunto altro vascello di minor portata, descritto come provveniente dallo Stato di Genova, il quale veniva pure destinato all’uso di guerra. Finalmente si ha notizia da Norfolck, nella Virginia, che gli abitanti di detta città abbiano aperta una sottoscrizione, stata assai presto riempita, ad oggetto di comprare un vascello di 70 cannoni, che si accenna provveduto da Nazionali Genovesi. Le pubbliche carte danno qualche cenno circa quest’ultimo, ma le relazioni private sono più positive nel trasmettere ragguaglio degli altri due.” (8)

La Giunta di Marina incaricò Ageno di smentire tali supposizioni, dato che “nessun vascello genovese è della portata di essere armato in guerra come sopra, né conservarsene alcuno sopra dei nostri scali presentemente, né alcuno essersene fabbricato da quindici o sedici anni a questa parte.” A questa segnalazione se ne aggiunse un’altra, sempre riguardante la vendita di materiale bellico:

“Alle particolarità  prima d’ora accennate circa la supposizione di fornirsi da nazionali genovesi qualche bastimento da guerra in servigio detti Americani,” scriveva l’Ageno da Londra in un dispaccio cifrato del 19 settembre 1777, “si aggiunge in oggi una rimarchevole circostanza impressa sulle pubbliche carte cioè essere giunto alla Carolina un vascello di sessanta cannoni condotto da capitano con nome mascherato ma riconosciuto per genovese assieme a qualche altro marinaro del suo equipaggio spettante alla medesima nazione. Si aggiunge che avesse al suo bordo quantità di munizioni da guerra e che molti cannoni fossero impressi col armi della Repubblica di modo che sembra si tenti di insinuare il riflesso di qualche vendita clandestina fatta da genovesi a persone corrispondenti colli Americani.” (9)

Sebbene in nessuna occasione il governo inglese avesse ritenuto opportuno protestare ufficialmente con l’Ageno, le numerose insinuazioni riportate dalle più diffuse gazzette dell’epoca mettevano a dura prova la fiducia britannica nelle ripetute affermazioni di disinteresse da parte della Repubblica per il destino degli insorti. Nei primi mesi del 1778 si verificarono a  riguardo due casi eclatanti. Se in un articolo apparso nell’aprile sulla Gazzetta d’Olanda si ipotizzava addirittura la conclusione di un trattato tra la Serenissima e gli Stati Uniti d’America, specificando anche il nome del negoziatore americano, “un certo Savage”, da due anni residente a Genova (10) nel maggio, poco dopo la dichiarazione di guerra della Francia alla Gran Bretagna, una nuova e, questa volta ben più motivata, accusa era circolata: 

“Essendosi sparso voce, e venendo pure indicato in qualche Gazzetta che certo Signor Gauthier sia incaricato per parte della Francia  di fare nel nostro dominio una leva di marinari”, informavano i Serenissimi il console Ageno a Londra “stimiamo di prevenirvi di quello sia realmente succeduto su tale proposito, non già perché ne facciate uso alcuno attivamente, ma unicamente e solamente perché nel caso ve ne venisse parlato possiate valervene e togliere la diversa impressione che se ne fosse formata. Il Console di Francia rappresentò che la sua Corte gli aveva indirizzato il Signor Gauthier per avere da noi il permesso di fare una leva di marinai e quindi richiese di potervi essere autorizzato; sopra di quale istanza noi fecimo rispondere al Console che dalla legge restano proibiti gl’ingaggiamenti nel nostro stato di marinari per le squadre o vascelli da guerra di qualonque nazione, e che perciò non potevamo prestarci ad accordare il richiesto permesso, restando i Tribunali e Giusdicenti incaricati ad invigilare per l’osservanza della medesima.” (11)

In tutte queste circostanze la spiegazione offerta, onde qualsiasi ipotesi in merito ad una eventuale violazione delle leggi sul commercio, in tempo di guerra, di generi proibiti potesse essere rapidamente rigettata, era quanto mai era semplice: Genova restava risolutamente neutrale, ma non poteva certo impedire ai suoi sudditi di tutelare i loro interessi anche se ciò significava aver rapporti con qualsiasi delle nazioni belligeranti. Ma al di là delle formali smentite, più o meno convincenti, sembra confermarsi il sospetto, che noi ora possiamo anche considerare un vanto, di un concreto coinvolgimento della Repubblica con la causa degli insorti, seppur attraverso un atteggiamento disinvolto e certamente non disinteressato. 

Una conferma che, a partire dal 1778, il Senato abbia iniziato ad occuparsi con maggiore attenzione agli avvenimenti americani si potrebbe dedurre da una semplice osservazione: mentre prima le relazioni del ministro Ageno venivano depositate nell’archivio, a partire da questa data, mancano tutti quei documenti e quelle traduzioni che Ageno era solito inviare insieme ai suoi dispacci. Si può ipotizzare che tale documentazione accessoria sia stata per così dire prelevata ed esaminata dagli aristocratici genovesi, ed in tal modo smarrita.

Ma al di là di ogni possibile congettura a riguardo, qualche anno dopo, la Repubblica anticipò l’iniziativa diplomatica americana. Il 6 settembre 1784, il ministro genovese a Parigi, Cristoforo Vincenzo Spinola scriveva infatti ai Serenissimi:

“Ho l’onore di accusare la ricevuta del Veneratissimo Dispaccio di VVSS Ser.me de’ ventitre dello  scaduto che mi reca il Sovrano loro incarico d’interpellare questo Sig.r Franklin Ministro Plenipotenziario degli Stati Uniti dell’America Settentrionale sulla determinazione in cui elleno sono per il vantaggio del commercio  de’ i loro sudditi in quelle parti di destinare un  loro console o agente da risiedere in Boston colla vista che potesse essere in grado di prestare  tutta la possibile assistenza nelli casi e circostanze che ne  abbisognassero i bastimenti che fossero per approdare e fare il commercio ne’ i stati delle prefate potenze americane. Mi rincresce sommamente che attesa la continua dimora che il prefato Sig.r di Franklin fa alla campagna, di non essermi ancora potuto abboccare collo stesso, non ostante tutte le diligenze che ho fatte a tale effetto. Ma spero che nella corrente settimana sarà da me immancabilmente eseguito, in conformità delle Veneratissime loro istruzioni il prefato incarico, conoscendo pur troppo il giusto motivo delle loro premure rapporto al medesimo: e sarò colla posta ventura a rendere a VVSS Ser.me il conto più esatto del risultato della conferenza che avrò avuta col Sig.r di Franklin a tale oggetto.” (12)

Qualche giorno dopo, il 9 settembre, Spinola informava Franklin delle intenzioni della Repubblica. Nella risposta, datata 13 settembre, Franklin comunicava di aver informato Jefferson e Adams della missiva:

“We are sensible” scriveva Franklin “of the delicacy with which your most serene Government has proceeded in the proposition, and we are persuaded that on all occasions equal respect will be shewn by the Congress. But being of opinion that previous to the appointment of a Consul, some convention will be necessary, that may ascertain his powers, privileges, etc.; and that such a convention will most naturally follow a treaty of amity and commerce, we take this occasion to inform you of our having full powers for making such treaties, and that we are willing and ready to enter into a negotiation for that purpose with the most serene Government of Genoa, whenever it shall be to them agreable.” (13)

Ricevuta la lettera, Spinola informò immediatamente i Serenissimi, ribadendo come Franklin avesse dimostrato “le migliori disposizioni di contribuire per quanto può da lui dipendere al buon successo di questo progetto.” (14) Di tale progetto più nulla si sa fino alla primavera del 1785, quando Spinola, nel dispaccio del 7 marzo, scrive al suo governo:

“In quanto poi all’altra sovrana incombenza di VVSS Ser.me contenuta nel Veneratissimo loro dispaccio de’ vent’uno detto e relativa alle aperture  fattemi da questi plenipotenziari americani  per un trattato d’amicizia e di commercio da stabilirsi fra la Ser.ma Repubblica ed i proprij Stati Uniti d’America mediante il quale si possa stabilire ed assicurare i pienpoteri e privileggi de’ rispettivi residenti, consoli o viceconsoli, e che m’impone di loro procurare pertanto le necessarie cognizioni sugli oggetti da concertarsi in detto proposto trattato per mezzo dell’invio d’una copia di qualche altro simile trattato stabilito dai prefati Stati Uniti d’America con qualche altra potenza o stato commerciante, non bastando a VVSS Ser.me quanto è stato genericamente proposto da questi plenipotenziarij americani per potere regolare con accerto non meno le sovrane loro determinazioni che quelle degli altri corpi sopra quanto resta a concertarsi per detto trattato e perché il tutto possa combinare colla legislazione della Ser.ma Repubblica. Credo per ora non poter meglio corrispondere alle giuste premure  di VVSS Ser.me riguardo a detti oggetti che di loro richiamare la spedizione che ho presa la libertà di far loro nel mese di Luglio 1783 d’un libro che questo Sig.r di Franklin trasmesso mi aveva in idioma francese intitolato Constitutions des treize Etats Unis del’Amerique nel quale si trovano i trattati d’amicizia e di commercio che i prefati Stati Uniti hanno fatti colla Francia, l’Olanda e la Svezia. Spero col corriere di lunedì prossimo di poter umiliare alla sovrana loro considerazione un progetto per detto trattato che sto formando sopra i precitati e sopra quello che VVSS Ser.me hanno fatto sottoscrivere in Parigi il tredici Marzo 1756 colla Corte di Danimarca; che quando si degnino gradirlo, e previa le correzioni e mutazioni avranno credute opportune di farvi, potranno rimandarmelo perché io possa communicarne il contenuto a questi plenipotenziarij americani.” (15)

 

Nel dispaccio del 21 marzo, Spinola, può così avvisare i Serenissimi che una bozza di accordo è pronto:

“Ho l’onore di umiliare qui accluso a VVSS Ser.me l’avvisato progetto di trattato d’amicizia e di commercio da fissarsi fra la Ser.ma Repubblica e i Stati Uniti dell’America Settentrionale che ho formato sopra quelli che i medesimi Stati Uniti hanno fatto colla Francia, l’Olanda, e la Svezia e particolarmente sopra quello che la Ser.ma Repubblica ha stipulato colla Corte di Danimarca i tredici Marzo 1756. L’oggetto principale che io ho avuto in vista nello estendere detto trattato, si è stato quello che gli articoli dello stesso possano combinare colle costituzioni de’ i due stati e al commune vantaggio de’ i rispettivi sudditti. VVSS Ser.me rileveranno altresi da detto progetto che ho procurato che nulla venghi inserito nel trattato che possa essere pregiudizievole a coteste pubbliche dogane, e contrario al regolamento generale di cotesto porto franco. Plenipotenziarj Americani, converrà pertanto, che VVSS Ser.me, quando lo giudicheranno a proposito, si compiacciano ordinare, che mi venghi trasmesso un esemplare di detto regolamento che si trova attualmente in vigore. Devo prevenire VVSS Ser.me che ne i prefati trattati che i Stati Uniti hanno fatti colle altre potenze, che nulla vi è stato regolato rispetto ai pienpoteri, e privilegi de’ residenti, consoli o vice consoli, essendosi riserbate in un articolo la libertà e facoltà di farlo in una convenzione particolare; e che io ho creduto riguardo a detto oggetto dovermi conformare al trattato fatto colla Danimarca nel corpo del quale vengono stabiliti in gran parte i loro doveri e privilegi.

Ho annesso al seguito di detto progetto di trattato la formula de’ i passaporti e lettere che devono essere date a vascelli ed altri bastimenti che è conforme a quella che la Francia ha stabilita con i Stati Uniti. Spero che VVSS Ser.me troveranno che nel compendio degli articoli di detto trattato che vengono preveduti per quanto è possibile tutti i casi per tutto ciò che può essere del vantaggio ed utilità del commercio de’ i rispettivi sudditi e per loro assicurare ne’ i stati delle due potenze contraenti una perfetta reciprocità, uguaglianza, e protezione. Io mi sono astenuto finora dal parlar con questi plenipotenziarj americani di detto progetto ed aspetterò sopra di questo punto gli ordini che VVSS Ser.me si compiaceranno di significarmi in appresso.” (16)

Il trattato redatto dallo Spinola era composto da quarantacinque articoli. (17) Sulla base dell’uguaglianza e “della reciprocità la più perfetta,” le due repubbliche si sarebbero inizialmente scambiate rappresentanti diplomatici. Ma lo scopo principale del trattato era quello di definire in tutti i suoi aspetti il commercio tra la Repubblica e gli Stati Uniti. Così, nei diversi articoli, Spinola si premurò di stabilire i vincoli giuridici e fiscali          – passaporti, lettere di transito, dazi, sanzioni, misure igieniche, etc. - che avrebbero regolato il traffico marittimo e il personale coinvolto nei porti delle due repubbliche, senza per altro dimenticare di far esplicito riferimento alle eventuali controversie legate all’insorgere di conflitti.

Il 2 maggio 1785, Franklin lasciò definitivamente l’Europa. Spinola segnalerà il fatto e il passaggio di consegne: “Questo Signor Franklin ha ottenuto da i propri Stati Uniti la richiesta sua demissione da questo impiego di ministro plenipotenziario e dicesi che debba essere rimpiazzato in detta sua qualità dal Signor Jefferson antico governatore della provincia di Virginia e attuale membro di quel Congresso.” (18)

Del trattato non si parlerà più. Forse la scarsa propensione jeffersoniana a “mettersi nei guai con delle alleanze” giocò un ruolo decisivo nella vicenda. Ma la prospettiva americana non tramonterà nei piani della Repubblica. Solo qualche anno dopo infatti, agli inizi del 1791, -Franklin era morto il 17 aprile dell’anno precedente- i Serenissimi avrebbero nominato Giuseppe Ravara console della Repubblica a Philadelphia. (19)

 

Note:

(1) Citato in: J. Ahrweiller, Franklin, Milano 1973, p.109.

(2) D. Visconti, Le origini degli Stati Uniti d’America e l’Italia, Padova 1940,  pp.52-55.

(3) V. Monti, Opere, a cura di M. Valmigli e C. Muscetta, Milano-Napoli 1980, p.739.

(4) V. Alfieri, Satire e poesie minori, a cura di G. Carducci, Firenze 1858 , pp.430 e segg.

(5) Vedi: C. Mangio, “Illuministi italiani e Rivoluzione Americana.” Italia e America dal Settecento all’età dell’imperialismo, a cura di G. Spini e al., 2 voll.,  Venezia 1976, I,  pp.52-55. Per un completo quadro sui  rapporti tra Franklin e l’Italia, vedi: A. Pace, Benjamin Franklin and Italy, Philadelphia 1958.

(6) Sulle diverse risposte alla proposta americana, vedi: D. Visconti, op. cit.; N. Cortese, “Le prime relazioni tra gli Stati Uniti d’America e gli Stati Italiani.” Rassegna Storica del Risorgimento 58 (1971), pp.3-20; H. R. Marraro, Relazioni fra l’Italia e gli Stati Uniti, Roma 1954. Sul lavoro di preparazione della commissione amaricana e sul documento illustrante il trattatto, vedi: The Papers of Thomas Jefferson. Ed. by J. P. Boyd, Vol.7, Princeton, New Jersey 1953, pp.394-428.

(7) Archivio di Stato di Genova (in seguito ASG) , Archivio Segreto (in seguito AS) 2293, Serenissimi a Ageno, Genova, 28 Giugno 1777.

(8) ASG, AS 2293, Ageno ai Serenissmi, Little Hampton, Sussex, 18 Luglio 1777

(9)

(10) ASG, AS 2293, Ageno ai Serenissimi, Londra, 19 Settembre 1777.

(11) ASG, AS 1730, Relazione dell’Eccellentissima Giunta Della Marina relativamente al capitolo di Gazzetta rimesso dal Magnifico Ministro Ageno di Londra, 27 Aprile 1778.

(12) ASG, AS 2293, Serenissimi a Ageno, Genova, 14 Maggio 1778

(13) ASG, AS 2259, Spinola ai Serenissimi, Parigi 6 Settembre, 1784.

(14) The Diplomatic Correspondence of the United States of America, from the Signing of the Definitive treaty of Peace…to the Adoption of the Constitution, 3 voll., Washington, 1833, I, pp. 506-507.

(15) ASG, AS 2259, Spinola ai Serenissimi, Parigi  13 Settembre 1784.

(16) ASG, AS 2259, Spinola ai Serenissimi, Parigi 7 Marzo 1785.

(17) ASG, AS 2259, Spinola ai Serenissimi, Parigi 21 Marzo 1785.

(18) ASG, AS 2760a, Progetto di trattato d’amicizia, commercio e di navigazione fra la Serenissima Repubblica di Genova e i Stati Uniti dell’America Settentrionale. Cfr.: S. Rotta, L’illuminismo a Genova: lettere di P.P Celesia a F. Galiani, 2 tomi, Firenze 1971-1973, II, pp.285-289. Rotta è stato il primo a datare il trattato inserendolo nel suo esatto contesto storico.

(19) ASG, AS 2259, Spinola ai Serenissimi, Parigi 2 Maggio 1785.