La notizia della morte
di Benjamin Franklin giunse a Parigi, città nella quale a lungo aveva
soggiornato, l’11 giugno 1790. Mirabeau, ammalato, si precipitò all’assemblea nazionale
e improvvisò un discorso:
“Signori, Franklin è
morto… E’ ritornato nel seno della divinità quel genio che liberò l’America e
versò sull’Europa torrenti di luce. Il saggio che due decadi reclamano, l’uomo
che si contendono la storia delle scienze e la storia degli imperi, occupava
senza dubbio un grado elevato nel genere umano. Il Congresso ha ordinato nei
tredici stati della confederazione un lutto di due mesi per la morte di
Franklin, e l’America paga in questo momento questo contributo di venerazione e
di riconoscenza per uno dei padri della sua costituzione. Non sarebbe degno di
voi, signori, attenervi a questo atto religioso, partecipare a questo omaggio,
reso, in faccia all’universo, sia ai diritti dell’uomo sia al filosofo che ha
maggiormente contribuito a propagarne la conquista su tutta la terra?
L’antichità avrebbe elevato altari a questo potente ingegno che, a vantaggio
dei mortali, abbracciando con il suo pensiero il cielo e la terra, seppe
vincere il fulmine e i tiranni. L’Europa illuminata e libera deve per lo meno
una testimonianza di ricordo e di rimpianto a uno dei più grandi uomini che
abbiano mai servito la filosofia e la libertà. Propongo che si decreti che
l’assemblea nazionale porti per tre giorni il lutto per Benjamin Franklin.” (1)
La fama di Franklin in
Europa si deve alla pubblicazione, fatta a Londra nel 1751, di un opuscolo
intitolato New Experiments and
Observations in Electricity made at Philadelphia in America. In Italia,
l’opera fu conosciuta attraverso la traduzione francese, di un anno successiva
all’edizione inglese. Gli studi sull’elettricità erano in quegli anni di gran
moda cosicché la pubblicazione delle Observations
scatenò una vera e propria corsa negli ambienti scientifici italiani a ripetere
gli esperimenti eseguiti da Franklin. Giovan Battista Beccaria, allora
professore di fisica all’Università di Torino, fu uno dei più brillanti
perfezionatori delle teorie frankliniane: due anni dopo la pubblicazione del
suo opuscolo, il fisico piemontese diede infatti alle stampe l’Elettricismo naturale e artificiale (1753),
opera nella quale ripetutamente veniva fatta menzione “del celebratissimo
scrittore d’elettricità Beniamino Franklino,” e dove veniva riconosciuta la
solidità del “sistema del mentovato autore.” Beccaria aveva poi inviato una
copia dello scritto allo stesso Franklin a dimostrazione dell’obbligo
intellettuale dovutogli.
Da questo momento,
malgrado che Beccaria e Franklin non ebbero mai l’occasione di conoscersi
personalmente, i due avviarono una fitta corrispondenze intellettuale. Quasi
per contraccambiare il favore che Beccaria gli aveva reso divulgando le sue
teorie, nel 1762, Franklin gli aveva dedicato una delle sue scoperte,
l’armonica, usando appositamente un termine italiano in onore della lingua del
fisico piemontese. Per suo conto Beccaria lo ringraziava inviandogli ancor
prima che venisse pubblicata la sua nuova opera, l’Elettricismo artificiale, una riformulazione definitiva della
teoria frankliniana sull’elettricità. Così scriveva Beccaria a Franklin il 20
maggio 1771: “Vi ringrazio, prestantissimo Signore, dell’esatta descrizione del
vostro nuovo veramente armonioso gravicembalo a cristalli (così a Voi è dato
d’illuminare la mente dell’uomo con i principii della nuova elettrica scienza,
di rassicurarne l’animo dall’orrore de’ fulmini co’ conduttori vostri, e di
addolcirne i sensi con patetica soavissima musica); e se fossi da tanto, a nome
anche dell’Italia nostra vi ringrazierei, che appunto in grazia, come voi dite,
dell’armoniosa nostra favella col nome di Armonica tale vostro pregevolissimo
stromento abbiate chiamato.” (2)
La popolarità di
Franklin in Italia nella seconda metà del Settecento fu straordinaria: non solo
gli scienziati più in vista -basterà ricordare i nomi di Verri, Frisi, Campi,
Fromond, Volta, Carburi, Amoretti- continuarono le ricerche avviate da
Franklin, dedicandosi alla diffusione dei suoi studi promuovendone traduzioni
o, in molti casi, intrattenendo col quacchero di Philadelphia rapporti
epistolari, ma anche poeti e letterati celebrarono il Newton dell’elettricità.
Se il Monti nella sua ode Al Signor di
Montgolfier (3) aveva cantato la sua vittoria sulle forze della natura – Rapisti al ciel le folgori, / che debellate
innante / con tronche ali ti caddero, / e ti lambir le piante -, con la
stessa ammirazione Alfieri ricordava Franklin e la titanica lotta contro la
tirannide delle colonie americane:
Tu, rapitor del fulmine celeste
Già fin da’ tuoi verdi anni,
Ch’or con più ardire e non minore impegno
Saette ai buoni infeste
D’aver sui forti regno;
Tu, vivo ancor fra’ semidei già posto,
Francklin, padre, consiglio, anima, mente
Di libertà nascente (4)
Minor eco ebbero in
Italia gli scritti politici di Franklin. Per averne una traduzione sarà
necessario attendere fino al 1775 quando sulla milanese Scelta di opuscoli interessanti verrà pubblicato Il povero Riccardo fatto benestante.
Solamente con l’arrivo di Franklin in Francia sul finire del 1776, si renderà
palese la dimensione politica della sua azione che, anche in Italia, non tardò
ad attirare l’interesse degli ambienti intellettuali più illuminati: a questo
proposito, Gaetano Filangieri rappresenta certo il caso più eclatante. (5)
Nel 1775, dopo aver
svolto una quasi decennale delicata missione in qualità di agente
dell’assemblea della Pennsylvania in Inghilterra – medesimo incarico ricoperto,
con l’aggravarsi della situazione, anche per alcune delle altre colonie
americane - Franklin aveva fatto ritorno in America dove era stato nominato
membro del Secondo Congresso Continentale. La sua esperienza lo aveva ormai
convinto dell’impossibilità di raggiungere qualsiasi conciliazione: come,
amaramente, Voltaire scriveva a d’ Alambert a riguardo del fallimento di questa
missione diplomatica: “Sapete che le truppe del dottor Franklin sono state
battute da quelle del re d’Inghilterra. Ahimè! I filosofi sono battuti ovunque.
Nel mondo sono male accolte la ragione e la libertà. Orsù, coraggio, mio
filosofo carissimo.”
Ma la permanenza di
Franklin in America non sarebbe durata a lungo: sul finire del 1776, egli venne
infatti inviato a Parigi dal Congresso a capo della commissione designata a
negoziare un trattato di commercio e di alleanza con la Francia, trattato
firmato il 6 febbraio 1778. Conclusasi positivamente la trattativa con la
Francia, nell’ottobre del 1778 Franklin è nominato ministro plenipotenziario a
Parigi per conto del governo degli Stati Uniti.
Quello di Parigi è il
Franklin passato alla storia: imberbe, sguardo vivace dietro gli occhiali di
sua invenzione, un berretto di pelliccia che ricopriva i lunghi capelli grigi,
l’abito di una semplicità studiata, non truccato, non incipriato, calmo,
cortese, arrendevole, imperiale e provinciale allo stesso tempo. Franklin è a
detta di tutti l’uomo del Nuovo Mondo e l’uomo di un mondo nuovo. Poco loquace
e assai prudente nel rivelare le proprie opinioni sugli eventi in corso al di
là dell’Atlantico, durante un pranzo, ad un invitato che lo aveva imprudentemente
avvicinato dicendogli: “Bisogna riconoscere, signore, che l’America ci offre
oggi un grande e superbo spettacolo,” il dottore di Filadelfia poteva
rispondere con buona dose di sarcasmo, “Si, ma gli spettatori non pagano
nulla…”
Nel 1781, insieme a
Thomas Jefferson, Henry Laurens, John Adams, e John Jay, viene chiamato a far
parte di una commissione incaricata a negoziare la pace con l’Inghilterra: sarà
grazie alla sua abilità di mediatore che nel settembre del 1783, al termine di
una discussione estenuante, spesso sull’orlo della rottura, l’accordo verrà
raggiunto. Prima di lasciare il continente, il Congresso, che si era impegnato
a farlo ritornare in patria, gli assegnò un ultimo delicato incarico.
Nell’estate del 1784 infatti, una commissione formata da Thomas Jefferson, da
John Adams, e dallo stesso Franklin era stata nominata allo scopo di contattare
i rappresentanti diplomatici stranieri residenti a Parigi per proporre loro un
trattato di commercio ed amicizia simile a quello sottoscritto con la Francia.
Gli obiettivi e le linee generali di tale trattato vennero resi noti attraverso
una lettera circolare esplicativa fatta pervenire ai rappresentanti russo,
portoghese, spagnolo, tedesco, danese, prussiano, della città d’Amburgo, e
dell’Elettore di Sassonia. Tra gli stati italiani lo stesso documento pervenne
ai rappresentanti del re delle due Sicilie, di Sardegna, Toscana, Venezia,
dello Stato Pontifico, e della Repubblica di Genova. Nessuno degli stati
Italiani giunse ad un accordo, ma il caso della Repubblica di Genova presenta
una particolarità. (6)
Allo scoppio della
guerra in Nord America tra le colonie inglesi e la madre patria, il governo
della Repubblica aveva esplicitamente dichiarato la sua più assoluta
neutralità. Malgrado questo pronunciamento, non mancano indizi di un possibile
coinvolgimento della Repubblica –seppur in maniera indiretta- nel conflitto
coloniale.
Il 28 giugno 1777 il
Console inglese a Genova, John Collet, informò in maniera allarmata uno dei Segretari di Stato che “da un piccolo
ragazzo gli era stata consegnata una lettera di incerto autore, nella quale
veniva avvisato che la Barca della Compagnia del Soccorso,
stata ultimamente comprata, doveva in quella stessa sera partire da Genova con
bandiera genovese: che la stessa era armata, ed esservi nel suo equipaggio
persona munita di patente americana, che doveva spiegare subito uscita dal
porto e corseggiare sopra la bandiera inglese.” (7) La Giunta di Marina della
Repubblica, ordinata un’inchiesta, aveva potuto rassicurare Collet dimostrando
come la nave in questione fosse armata di soli sei cannoncini di ferro, come
l’equipaggio fosse composto interamente da marinai genovesi, che nessun carta o
scrittura mascherava la nazionalità del legno, e che la sua destinazione era
Marsiglia. In un’altra occasione era stato il ministro genovese a Londra,
Francesco Maria Ageno a riferire voci di un possibile coinvolgimento della
Repubblica:
“Nelle ordinarie
relazioni che pervengono dall’America, non meno all’Ammiragliato che agli
Uffici delle Segreterie di Stato, viene fatta replicata menzione di alcuni
vascelli recentemente armati dagli Americani, le di cui particolarità vengono
accennate ne’ seguenti modi. Si annunzia pertanto che a Filadelfia sia giunta
una grossa nave, specificata di costruzione genovese, comprata dal Congresso e
dallo stesso fatta armare con 74 pezzi di cannoni. Si scrive dalle coste della
Carolina, e credo dall’Ammiragliato che corseggia in quei mari, che a
Charles-Town siavi giunto altro vascello di minor portata, descritto come
provveniente dallo Stato di Genova, il quale veniva pure destinato all’uso di
guerra. Finalmente si ha notizia da Norfolck, nella Virginia, che gli abitanti
di detta città abbiano aperta una sottoscrizione, stata assai presto riempita,
ad oggetto di comprare un vascello di 70 cannoni, che si accenna provveduto da
Nazionali Genovesi. Le pubbliche carte danno qualche cenno circa quest’ultimo,
ma le relazioni private sono più positive nel trasmettere ragguaglio degli
altri due.” (8)
La Giunta di Marina
incaricò Ageno di smentire tali supposizioni, dato che “nessun vascello
genovese è della portata di essere armato in guerra come sopra, né
conservarsene alcuno sopra dei nostri scali presentemente, né alcuno essersene
fabbricato da quindici o sedici anni a questa parte.” A questa segnalazione se
ne aggiunse un’altra, sempre riguardante la vendita di materiale bellico:
“Alle particolarità prima d’ora accennate circa la supposizione
di fornirsi da nazionali genovesi qualche bastimento da guerra in servigio
detti Americani,” scriveva l’Ageno da Londra in un dispaccio cifrato del 19
settembre 1777, “si aggiunge in oggi una rimarchevole circostanza impressa
sulle pubbliche carte cioè essere giunto alla Carolina un vascello di sessanta
cannoni condotto da capitano con nome mascherato ma riconosciuto per genovese
assieme a qualche altro marinaro del suo equipaggio spettante alla medesima
nazione. Si aggiunge che avesse al suo bordo quantità di munizioni da guerra e
che molti cannoni fossero impressi col armi della Repubblica di modo che sembra
si tenti di insinuare il riflesso di qualche vendita clandestina fatta da
genovesi a persone corrispondenti colli Americani.” (9)
Sebbene in nessuna occasione
il governo inglese avesse ritenuto opportuno protestare ufficialmente con
l’Ageno, le numerose insinuazioni riportate dalle più diffuse gazzette
dell’epoca mettevano a dura prova la fiducia britannica nelle ripetute
affermazioni di disinteresse da parte della Repubblica per il destino degli
insorti. Nei primi mesi del 1778 si verificarono a riguardo due casi eclatanti. Se in un
articolo apparso nell’aprile sulla Gazzetta d’Olanda si ipotizzava addirittura
la conclusione di un trattato tra la Serenissima e gli Stati Uniti d’America,
specificando anche il nome del negoziatore americano, “un certo Savage”, da due
anni residente a Genova (10) nel maggio, poco dopo la dichiarazione di guerra
della Francia alla Gran Bretagna, una nuova e, questa volta ben più motivata,
accusa era circolata:
“Essendosi sparso voce,
e venendo pure indicato in qualche Gazzetta che certo Signor Gauthier sia
incaricato per parte della Francia di
fare nel nostro dominio una leva di marinari”, informavano i Serenissimi il console
Ageno a Londra “stimiamo di prevenirvi di quello sia realmente succeduto su
tale proposito, non già perché ne facciate uso alcuno attivamente, ma
unicamente e solamente perché nel caso ve ne venisse parlato possiate valervene
e togliere la diversa impressione che se ne fosse formata. Il Console di
Francia rappresentò che la sua Corte gli aveva indirizzato il Signor Gauthier
per avere da noi il permesso di fare una leva di marinai e quindi richiese di
potervi essere autorizzato; sopra di quale istanza noi fecimo rispondere al
Console che dalla legge restano proibiti gl’ingaggiamenti nel nostro stato di
marinari per le squadre o vascelli da guerra di qualonque nazione, e che perciò
non potevamo prestarci ad accordare il richiesto permesso, restando i Tribunali
e Giusdicenti incaricati ad invigilare per l’osservanza della medesima.” (11)
In tutte queste
circostanze la spiegazione offerta, onde qualsiasi ipotesi in merito ad una
eventuale violazione delle leggi sul commercio, in tempo di guerra, di generi
proibiti potesse essere rapidamente rigettata, era quanto mai era semplice:
Genova restava risolutamente neutrale, ma non poteva certo impedire ai suoi
sudditi di tutelare i loro interessi anche se ciò significava aver rapporti con
qualsiasi delle nazioni belligeranti. Ma al di là delle formali smentite, più o
meno convincenti, sembra confermarsi il sospetto, che noi ora possiamo anche
considerare un vanto, di un concreto coinvolgimento della Repubblica con la
causa degli insorti, seppur attraverso un atteggiamento disinvolto e certamente
non disinteressato.
Una conferma che, a
partire dal 1778, il Senato abbia iniziato ad occuparsi con maggiore attenzione
agli avvenimenti americani si potrebbe dedurre da una semplice osservazione:
mentre prima le relazioni del ministro Ageno venivano depositate nell’archivio,
a partire da questa data, mancano tutti quei documenti e quelle traduzioni che
Ageno era solito inviare insieme ai suoi dispacci. Si può ipotizzare che tale
documentazione accessoria sia stata per così dire prelevata ed esaminata dagli
aristocratici genovesi, ed in tal modo smarrita.
Ma al di là di ogni
possibile congettura a riguardo, qualche anno dopo, la Repubblica anticipò
l’iniziativa diplomatica americana. Il 6 settembre 1784, il ministro genovese a
Parigi, Cristoforo Vincenzo Spinola scriveva infatti ai Serenissimi:
“Ho l’onore di accusare
la ricevuta del Veneratissimo Dispaccio di VVSS Ser.me de’ ventitre dello scaduto che mi reca il Sovrano loro incarico
d’interpellare questo Sig.r Franklin Ministro Plenipotenziario degli Stati
Uniti dell’America Settentrionale sulla determinazione in cui elleno sono per
il vantaggio del commercio de’ i loro
sudditi in quelle parti di destinare un
loro console o agente da risiedere in Boston colla vista che potesse
essere in grado di prestare tutta la
possibile assistenza nelli casi e circostanze che ne abbisognassero i bastimenti che fossero per
approdare e fare il commercio ne’ i stati delle prefate potenze americane. Mi
rincresce sommamente che attesa la continua dimora che il prefato Sig.r di
Franklin fa alla campagna, di non essermi ancora potuto abboccare collo stesso,
non ostante tutte le diligenze che ho fatte a tale effetto. Ma spero che nella
corrente settimana sarà da me immancabilmente eseguito, in conformità delle
Veneratissime loro istruzioni il prefato incarico, conoscendo pur troppo il
giusto motivo delle loro premure rapporto al medesimo: e sarò colla posta
ventura a rendere a VVSS Ser.me il conto più esatto del risultato della
conferenza che avrò avuta col Sig.r di Franklin a tale oggetto.” (12)
Qualche giorno dopo, il
9 settembre, Spinola informava Franklin delle intenzioni della Repubblica.
Nella risposta, datata 13 settembre, Franklin comunicava di aver informato
Jefferson e Adams della missiva:
“We
are sensible” scriveva Franklin “of the delicacy with which your most serene
Government has proceeded in the proposition, and we are persuaded that on all
occasions equal respect will be shewn by the Congress. But being of opinion
that previous to the appointment of a Consul, some convention will be
necessary, that may ascertain his powers, privileges, etc.; and that such a
convention will most naturally follow a treaty of amity and commerce, we take
this occasion to inform you of our having full powers for making such treaties,
and that we are willing and ready to enter into a negotiation for that purpose
with the most serene Government of Genoa, whenever it shall be to them
agreable.” (13)
Ricevuta la lettera,
Spinola informò immediatamente i Serenissimi, ribadendo come Franklin avesse
dimostrato “le migliori disposizioni di contribuire per quanto può da lui
dipendere al buon successo di questo progetto.” (14) Di tale progetto più nulla
si sa fino alla primavera del 1785, quando Spinola, nel dispaccio del 7 marzo,
scrive al suo governo:
“In quanto poi all’altra
sovrana incombenza di VVSS Ser.me contenuta nel Veneratissimo loro dispaccio
de’ vent’uno detto e relativa alle aperture
fattemi da questi plenipotenziari americani per un trattato d’amicizia e di commercio da
stabilirsi fra la Ser.ma Repubblica ed i proprij Stati Uniti d’America mediante
il quale si possa stabilire ed assicurare i pienpoteri e privileggi de’
rispettivi residenti, consoli o viceconsoli, e che m’impone di loro procurare
pertanto le necessarie cognizioni sugli oggetti da concertarsi in detto
proposto trattato per mezzo dell’invio d’una copia di qualche altro simile
trattato stabilito dai prefati Stati Uniti d’America con qualche altra potenza
o stato commerciante, non bastando a VVSS Ser.me quanto è stato genericamente
proposto da questi plenipotenziarij americani per potere regolare con accerto
non meno le sovrane loro determinazioni che quelle degli altri corpi sopra
quanto resta a concertarsi per detto trattato e perché il tutto possa combinare
colla legislazione della Ser.ma Repubblica. Credo per ora non poter meglio
corrispondere alle giuste premure di
VVSS Ser.me riguardo a detti oggetti che di loro richiamare la spedizione che
ho presa la libertà di far loro nel mese di Luglio 1783 d’un libro che questo
Sig.r di Franklin trasmesso mi aveva in idioma francese intitolato Constitutions
des treize Etats Unis del’Amerique nel quale si trovano i trattati
d’amicizia e di commercio che i prefati Stati Uniti hanno fatti colla Francia, l’Olanda
e la Svezia. Spero col corriere di lunedì prossimo di poter umiliare alla
sovrana loro considerazione un progetto per detto trattato che sto formando
sopra i precitati e sopra quello che VVSS Ser.me hanno fatto sottoscrivere in
Parigi il tredici Marzo 1756 colla Corte di Danimarca; che quando si degnino
gradirlo, e previa le correzioni e mutazioni avranno credute opportune di
farvi, potranno rimandarmelo perché io possa communicarne il contenuto a questi
plenipotenziarij americani.” (15)
Nel dispaccio del 21
marzo, Spinola, può così avvisare i Serenissimi che una bozza di accordo è
pronto:
“Ho l’onore di umiliare
qui accluso a VVSS Ser.me l’avvisato progetto di trattato d’amicizia e di
commercio da fissarsi fra la Ser.ma Repubblica e i Stati Uniti dell’America
Settentrionale che ho formato sopra quelli che i medesimi Stati Uniti hanno
fatto colla Francia, l’Olanda, e la Svezia e particolarmente sopra quello che
la Ser.ma Repubblica ha stipulato colla Corte di Danimarca i tredici Marzo
1756. L’oggetto principale che io ho avuto in vista nello estendere detto
trattato, si è stato quello che gli articoli dello stesso possano combinare
colle costituzioni de’ i due stati e al commune vantaggio de’ i rispettivi
sudditti. VVSS Ser.me rileveranno altresi da detto progetto che ho procurato
che nulla venghi inserito nel trattato che possa essere pregiudizievole a
coteste pubbliche dogane, e contrario al regolamento generale di cotesto porto
franco. Plenipotenziarj Americani, converrà pertanto, che VVSS Ser.me, quando
lo giudicheranno a proposito, si compiacciano ordinare, che mi venghi trasmesso
un esemplare di detto regolamento che si trova attualmente in vigore. Devo
prevenire VVSS Ser.me che ne i prefati trattati che i Stati Uniti hanno fatti
colle altre potenze, che nulla vi è stato regolato rispetto ai pienpoteri, e
privilegi de’ residenti, consoli o vice consoli, essendosi riserbate in un
articolo la libertà e facoltà di farlo in una convenzione particolare; e che io
ho creduto riguardo a detto oggetto dovermi conformare al trattato fatto colla
Danimarca nel corpo del quale vengono stabiliti in gran parte i loro doveri e
privilegi.
Ho annesso al seguito di
detto progetto di trattato la formula de’ i passaporti e lettere che devono
essere date a vascelli ed altri bastimenti che è conforme a quella che la
Francia ha stabilita con i Stati Uniti. Spero che VVSS Ser.me troveranno che
nel compendio degli articoli di detto trattato che vengono preveduti per quanto
è possibile tutti i casi per tutto ciò che può essere del vantaggio ed utilità
del commercio de’ i rispettivi sudditi e per loro assicurare ne’ i stati delle
due potenze contraenti una perfetta reciprocità, uguaglianza, e protezione. Io
mi sono astenuto finora dal parlar con questi plenipotenziarj americani di
detto progetto ed aspetterò sopra di questo punto gli ordini che VVSS Ser.me si
compiaceranno di significarmi in appresso.” (16)
Il trattato redatto
dallo Spinola era composto da quarantacinque articoli. (17) Sulla base
dell’uguaglianza e “della reciprocità la più perfetta,” le due repubbliche si
sarebbero inizialmente scambiate rappresentanti diplomatici. Ma lo scopo
principale del trattato era quello di definire in tutti i suoi aspetti il
commercio tra la Repubblica e gli Stati Uniti. Così, nei diversi articoli,
Spinola si premurò di stabilire i vincoli giuridici e fiscali – passaporti, lettere di transito,
dazi, sanzioni, misure igieniche, etc. - che avrebbero regolato il traffico
marittimo e il personale coinvolto nei porti delle due repubbliche, senza per
altro dimenticare di far esplicito riferimento alle eventuali controversie
legate all’insorgere di conflitti.
Il 2 maggio 1785,
Franklin lasciò definitivamente l’Europa. Spinola segnalerà il fatto e il
passaggio di consegne: “Questo Signor Franklin ha ottenuto da i propri Stati
Uniti la richiesta sua demissione da questo impiego di ministro
plenipotenziario e dicesi che debba essere rimpiazzato in detta sua qualità dal
Signor Jefferson antico governatore della provincia di Virginia e attuale
membro di quel Congresso.” (18)
Del trattato non si
parlerà più. Forse la scarsa propensione jeffersoniana a “mettersi nei guai con
delle alleanze” giocò un ruolo decisivo nella vicenda. Ma la prospettiva
americana non tramonterà nei piani della Repubblica. Solo qualche anno dopo
infatti, agli inizi del 1791, -Franklin era morto il 17 aprile dell’anno
precedente- i Serenissimi avrebbero nominato Giuseppe Ravara console della
Repubblica a Philadelphia. (19)
Note:
(1) Citato in: J. Ahrweiller, Franklin, Milano 1973, p.109.
(2) D. Visconti, Le
origini degli Stati Uniti d’America e l’Italia, Padova 1940, pp.52-55.
(3) V. Monti, Opere,
a cura di M. Valmigli e C. Muscetta, Milano-Napoli 1980, p.739.
(4) V. Alfieri, Satire
e poesie minori, a cura di G. Carducci, Firenze 1858 , pp.430 e segg.
(5) Vedi: C. Mangio, “Illuministi italiani e Rivoluzione
Americana.” Italia e America dal
Settecento all’età dell’imperialismo, a cura di G. Spini e al., 2
voll., Venezia 1976, I, pp.52-55. Per un completo quadro sui rapporti tra Franklin e l’Italia, vedi: A.
Pace, Benjamin Franklin and Italy,
Philadelphia 1958.
(6) Sulle diverse risposte alla proposta americana, vedi:
D. Visconti, op. cit.; N. Cortese,
“Le prime relazioni tra gli Stati Uniti d’America e gli Stati Italiani.” Rassegna Storica del Risorgimento 58
(1971), pp.3-20; H. R. Marraro, Relazioni
fra l’Italia e gli Stati Uniti, Roma 1954. Sul lavoro di preparazione della
commissione amaricana e sul documento illustrante il trattatto, vedi: The Papers of Thomas Jefferson. Ed.
by J. P. Boyd, Vol.7, Princeton, New Jersey 1953, pp.394-428.
(7) Archivio di Stato di Genova (in seguito ASG) ,
Archivio Segreto (in seguito AS) 2293, Serenissimi a Ageno, Genova, 28 Giugno
1777.
(8) ASG, AS 2293, Ageno ai Serenissmi, Little Hampton,
Sussex, 18 Luglio 1777
(9)
(10) ASG, AS 2293, Ageno ai Serenissimi, Londra, 19
Settembre 1777.
(11) ASG, AS 1730, Relazione dell’Eccellentissima Giunta
Della Marina relativamente al capitolo di Gazzetta rimesso dal Magnifico
Ministro Ageno di Londra, 27 Aprile 1778.
(12) ASG, AS 2293, Serenissimi a Ageno, Genova, 14 Maggio
1778
(13) ASG, AS 2259, Spinola ai Serenissimi, Parigi 6
Settembre, 1784.
(14) The
Diplomatic Correspondence of the United States of America, from the Signing of
the Definitive treaty of Peace…to the Adoption of the Constitution, 3 voll.,
Washington, 1833, I, pp. 506-507.
(15) ASG, AS 2259, Spinola ai Serenissimi, Parigi 13 Settembre 1784.
(16) ASG, AS 2259, Spinola ai Serenissimi, Parigi 7 Marzo
1785.
(17) ASG, AS 2259, Spinola ai Serenissimi, Parigi 21 Marzo
1785.
(18) ASG, AS 2760a, Progetto
di trattato d’amicizia, commercio e di navigazione fra la Serenissima
Repubblica di Genova e i Stati Uniti dell’America Settentrionale. Cfr.: S.
Rotta, L’illuminismo a Genova: lettere di P.P Celesia a F. Galiani, 2 tomi,
Firenze 1971-1973, II, pp.285-289. Rotta è stato il primo a datare il trattato
inserendolo nel suo esatto contesto storico.
(19) ASG, AS 2259, Spinola ai Serenissimi, Parigi 2 Maggio
1785.