Giampaolo Gandolfo, genovese, docente in passato all’Università di Trieste, ha tenuto la conferenza di cui qui presentiamo la sintesi alla Biblioteca di Rapallo per il “Sabato in Biblioteca”, il 14 marzo 2009.

Giampaolo Gandolfo

la Russia di Putin e Medvedev

Con la fine dell’Unione Sovietica nel 1991 l’Occidente dava per scontato che si sarebbe aperta una nuova era: la Russia sarebbe diventata gli Stati Uniti dell’Europa Orientale, e  le nostre  libertà democratiche avrebbero raggiunto le coste dell’Oceano Pacifico. Il primo decennio registrò soltanto il trauma del crollo: si sfasciò l’Unione Sovietica, il Paese adottò subito l’economia di mercato, con tutti i rischi che ciò comportava, la mafia sembrava fuori controllo, la moneta aveva perso ogni valore. Ma la Russia si diede una costituzione formalmente democratica con un regime presidenziale.

Fu un salto enorme, una rivoluzione non inferiore a quella che nel 1917 seguì al colpo di stato bolscevico. L’Occidente plaudì al rivolgimento che metteva fine alla guerra fredda, ma pochi si resero conto del salto che la Russia compiva: esso fu un trauma, una sorta di 8 settembre su scala continentale, che travolse un impero secolare dopo settant’anni di regime totalitario:  la Russia rovesciò scale di valori, sconvolgendo attese collettive e personali, ribaltò giudizi sul passato e prospettive sul futuro. Ci aiuta a comprendere le dimensioni dell’evento ricordare che in Italia il fascismo durò un ventennio, e il nazismo la metà, e che in Italia il fascismo non fu mai totalitarismo, dovendo subire la presenza della monarchia e della Chiesa.

Ma, saltato il sistema, dalle macerie e dai detriti l’Occidente ha visto sorgere non una nuova democrazia, ma la Russia che preesisteva al comunismo, una Russia disorientata, dalle radici democratiche precarie, profondamente umiliata nella coscienza di un passato perduto e dissipato.

Non possiamo dimenticare che nell’Ottocento Alessandro I aveva spartito l’Europa con Napoleone a Tilsitt, e dal fallimento di questo equilibrio era nata la guerra, con la disfatta della Grande Armée per opera della Russia, che aveva inseguito Bonaparte fino a Parigi. La Russia aveva poi esercitato nell’Ottocento con la Santa Alleanza una forte influenza a tutela dell’ordine politico d’Europa; e poi con l’Unione Sovietica (reincarnazione in chiave marxista dell’Impero russo) era stata determinante per la sconfitta del nazismo, portando l’Armata Rossa a Berlino, dividendo poi con gli Stati Uniti l’egemonia sul mondo, potenza nucleare all’avanguardia nella conquista dello spazio.

Eliminato lo stato sovietico, ecco dunque riapparire la vecchia Russia, con le sue fobie (l’accerchiamento di un mondo ostile e minaccioso), e le sue velleità (tornare al rango di grande potenza).

Tornerà il comunismo? E’ assurdo soltanto immaginarlo, anche se del comunismo restano ancora detriti e macerie non sgomberate. Dopo il crollo del comunismo, d’altronde, non c’è stata in Russia nessuna Norimberga, e a salire al potere sono state le terze e quarte file della “nomenclatura!, quelli che meglio conoscevano la macchina statale, e uomini dei sevizi segreti, che sapevano tutto di tutti. La Russia appare oggi intenta al recupero di un ruolo e di una grandezza passati ma non dimenticati. Tornare al comunismo sarebbe farsi carico di un enorme fallimento e, a parte ogni altra considerazione, alla Russia questo non conviene. Nella memoria storica gli zar sono tornati sul trono, e l’ultimo, Nicola II, è stato addirittura fatto santo con tutti i familiari. Stalin è risalito nella considerazione di molti russi, che in lui vedono, accanto al tiranno, l’uomo che prese nella sue mani ferme la Russia che usava ancora l’ aratro di legno, facendone una potenza industriale e militare (nella cultura popolare ciò assume talvolta aspetti grotteschi e folclorici, come  le sue effigi sulle icone, e la leggenda che egli fosse segretamente religioso).

I russi rifiutano un mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti, e giocano talvolta con iattanza la carta delle fonti energetiche: l’Europa dipende oggi dalla Russia per circa il 40% del suo fabbisogno. Risorsa e arma preziosa, anche se inaffidabile: i suoi petrodollari perdono valore oggi in periodo di recessione, quando il prezzo del petrolio è sceso di due terzi (i critici fanno rilevare che la Russia non esporta ciò che produce, ma solo quello che si trova nel sottosuolo, come l’Arabia Saudita).

Sul piano interno la Russia non è una democrazia fondata sui valori consolidati delle nostre libertà. Solo una minoranza di russi apprezza i nostri valori. Prevale  una sorda diffidenza, nutrita di eurasismo (la Russia non è Europa) e smenovechovstvo (una corrente di pensiero degli anni 1920: non è l’ideologia che conta, quello che importa è la salvezza e la grandezza del Paese, che solo uno stato forte può garantire). Il regime al potere poggia su una solida e ampia maggioranza; il blocco di Edinaja Rossija (Russia unita), con l’accoppiata Medvedev-Putin può contare sul 70% dei voti. L’opposizione è divisa e frammentata e si muove con difficoltà in un contesto dove il pluralismo è penalizzato e intimidito ed è in atto una forte deriva verso l’accentramento del potere: i governatori delle regioni erano prima eletti, oggi sono di nomina presidenziale. La professione di giornalista è considerata a rischio (il caso di Anna Politkovskaja, il più noto in Occidente, non è l’unico). Se non una dittatura, il regime al potere è fortemente autoritario. Il dissenso politico non è impossibile, ma è fortemente sconsigliato. L’opinione pubblica è indifferente e inerte, dando qualche argomento a chi ritiene che non sia stata l’aspirazione alla nostra  libertà a far saltare l’Unione Sovietica, ma il nostro consumismo.

Il potere sembra  aver stretto coi russi un patto tacito: “Io vi assicuro stabilità, in prospettiva un innalzamento del tenore di vita, libertà economica, il recupero della dignità nazionale (la guerra di agosto con la piccola Georgia è stata vissuta come una vittoria sugli Stati Uniti, che l’avevano armata e sostenuta. Non c’è più l’Armata Rossa, ma c’è pur sempre l’Armata Russa). Ma voi non chiedete più democrazia, non create difficoltà al manovratore. Una democrazia come in Occidente potrebbe essere esiziale per la Federazione. Un potere forte e autoritario del resto è quello che ha sempre garantito in passato la crescita e la grandezza del nostro Paese”.

La guerra cecena è finita, ma il terrorismo è sempre una minaccia.  Il rafforzamento della propria identità comporta sempre l’individuazione di un nemico, che può essere di volta in volta l’Occidente, la paventata adesione dell’Ucraina alla NATO, la disgregazione morale e sociale che irrompe con la globalizzazione e la conseguente dissoluzione dei valori morali. Anche in questo il potere ha come alleata di sempre la Chiesa russa, sodale dello Stato, quella Chiesa che vede nell’Occidente la fonte dell’immoralità, le unioni libere, l’omosessualità.

Questo patto tacito, autoritarismo e rafforzamento dello Stato in cambio di economia in crescita e ordine, oggi potrebbe essere scosso dalla recessione, che toglie ossigeno agli investimenti, aumentando i pericoli di scosse  e turbolenze sociali: già l’aumento dei dazi sull’ importazione di auto usate dal Giappone ha determinato nello scorso dicembre sulla costa del Pacifico vivaci dimostrazioni, duramente represse da reparti antisommossa fatti affluire in tutta fretta da Mosca (il potere non si fidava della polizia locale).

Elemento costante della storia russa dagli inizi del Seicento è la paura della Smuta (termine che designa disordine incontrollato e generalizzato), anni che misero a repentaglio l’esistenza stessa di uno stato russo indipendente, con oltre dieci pretendenti  alla corona di zar, dopo la morte nel 1584 di Ivan il Terribile. Lo stato russo si ricostituì allora con l’elezione al trono della Santa Russia di Michail, primo sovrano della seconda e ultima dinastia, quella dei Romanov. Quei fatti sono profondamente impressi nella memoria storica dei russi e la paura di una nuova Smuta potrebbe indurre altri giri di vite contro una evoluzione democratica del Paese.

L’Occidente si chiede oggi con preoccupazione: dove va la Russia? Se lo era già chiesto piene di speranza lo slavofilo Nikolaj Gogol’, che nel finale delle Anime morte (1842) paragona la Russia ad una carrozza che attraversa al galoppo la steppa: “Non corri anche tu, Russia, come una trojka che nessuno può raggiungere? Fuma di polvere la strada dietro a te, rimbombano i ponti, tutto si perde in distanza, tutto rimane indietro. Si ferma lo spettatore, come colpito da un miracolo divino: non è un fulmine quello, forse, scagliato dal cielo? Che significa questa corsa terrificante? Quale forza sconosciuta è racchiusa in quei cavalli mai visti al mondo? O cavalli, cavalli, e che cavalli! La tempeste si annidano forse nelle vostre criniere?.. Russia dove corri così? Rispondimi! Ma nulla risponde…”

La storia ci aiuta a capire il presente, non a prevedere il futuro. Non posso non ricordare qui il caso di quell’alto funzionario americano che un anno dopo l’avvento di Gorbačëv escludeva fossero in vista segnali di cambiamento. Il mondo multipolare che la Russia vuole e che in fondo è già presente non sarà necessariamente un mondo più rassicurante. Trovare un accordo quando attorno al tavolo si è in molti a sedere e discutere è ancora più difficile.

“Il Mare”, maggio 2009