Giuliano Galletta
Zygmunt Bauman a Sarzana
Capire e non solo essere
informati. Conoscere anche senza bisogno di digitare
una parola su Google. Imparare direttamente dalla viva voce di un intellettuale
che gesticola, sorride e si lascia scappare qualche battuta, magari seduti a
fianco di una signora non più giovane che soffre il caldo ma non si scoraggia.
Sono venute, probabilmente,
a cercare tutto questo, e forse molto altro, le migliaia di persone che ieri
hanno affollato la prima giornata del Festival della mente. Sono arrivate,
pagando il loro biglietto, fiduciose di potersi conquistare qualche strumento
in più per capire la propria vita e
il difficile mondo che ci circonda. Cresce in qualità
e quantità questo Festival per
provare a dare risposte adeguate. Nella giornata inaugurale si poteva scegliere
fra Chiara Saraceno, che spiegava perché la disuguaglianza avvelena il futuro
del nostro Paese, Franca D’Agostini, che si interrogava sul perché troppo
spesso la politica sia fondata sulla
menzogna, e Edoardo Boncinelli che affrontava gli sviluppi più estremi
dell’attuale ricerca scientifica: la creazione di una vita
artificiale.
Infine, Zygmunt
Bauman, 85 anni, sociologo, filosofo, uno dei più
grandi pensatori del nostro tempo, che si è posto, tra le altre, la domanda:
che cosa facciamo quando clicchiamo “mi piace” su Facebook? I trionfalisti, che
non mancano mai quando appare sulla scena della comunicazione una nuova
tecnologia, dicono che stiamo cambiando il mondo, i rapporti sociali, la politica; gli apocalittici,
che stiamo universalizzando un narcisismo senza vie di uscita, illudendoci di creare una comunità che non esiste. Bauman
non si schiera su nessuno dei due fronti, ma analizza dialetticamente una
società in evoluzione, in transito.
Sul fatto che il web possa
modificare realmente la politica
sospende il giudizio, ma spiega: «Non vedo oggi sul fronte politico e istituzionale
nessun assetto che sia in grado di prendere il posto dei partiti politici.
Quelle strutture cioè che permettevano di creare un gruppo compatto pronto a
mobilitarsi e in grado di calamitare l’elettorato. Non mi sembra che dal magma del
web, molto volatile anche se molto interessante e stimolante, stia emergendo
qualcosa di neanche lontanamente paragonabile. Ciò che oggi cerchiamo su
Facebook, Twitter, MySpace, è
proprio la solidarietà tipica di una classe operaia ormai estinta. Su Internet
cerchiamo ciò che ci manca, ma non sono certo che lo troveremo».
«Viviamo in quello che Tito Livio ha chiamato interregno» prosegue «in un
momento cioè in cui le norme, le regole del passato si sono dissolte, e le
nuove non sono ancora state create». Tutto questo in un mondo che
quotidianamente ci riversa addosso un’infinita
quantità di informazioni. «Si
calcola che in un solo numero domenicale del New York Times ci siano più
informazioni di quante potesse conoscerne un uomo colto del Rinascimento in
tutta la sua vita» spiega Bauman «ma questo, anziché aiutarci, crea una sorta di
nebbia impenetrabile. Vediamo solo a un metro e mezzo di distanza, ma non
riusciamo ad andare oltre. I media sono una sorta di sipario dipinto, colorato
e affascinante, che impedisce però di vedere quello che c’è sul palcoscenico.
Il risultato credo che sia l’ignoranza, più cerchiamo informazioni e meno
sappiamo che cosa dobbiamo fare».
Per Bauman
questa ignoranza è alla base di un’altra condizione tipica dell’uomo
contemporaneo, l’impotenza: «Con questo termine intendo descrivere la situazione in cui l’individuo che vuole cambiare
qualcosa, che vuole rompere con un pugno il muro che lo imprigiona, si ritrova ad affondarlo in una bambagia. Cioè
l’impossibilità di realizzare ciò
che si vuole, perché il muro assorbe la nostra azione senza modificarsi.
Ignoranza e impotenza che conducono a umiliazione e frustrazione: se non riesco
a cambiare le cose, allora è colpa mia, si pensa, sono io che non sono
all’altezza, non sono adeguato».
È questa la situazione sociale che Bauman
ha definito “modernità liquida”, fatta di incertezza e di precarietà:
«Ciò che definisco “liquido” non è leggerezza ma il contrario. È uno stato di
grande pesantezza, pensate al mercurio, che pur essendo liquido ha un peso
specifico superiore a certi metalli».
Per Bauman,
assistiamo quindi a un divorzio totale tra potere e politica,
il potere si è trasferito dagli
stati nazionali a un iperspazio dei mercati finanziari totalmente fuori dal
controllo della politica, che non ha
più la possibilità di determinare le
grandi scelte. «Negli ultimi tempi, però, sembrava che fenomeni come quelli
della “primavera araba”» aggiunge il filosofo «avessero restituito
alle persone, e alla politica, un
certa forza di influenza. Ma non sappiamo ancora se alla primavera araba
seguirà un’estate o un autunno. I social network, hanno dimostrato una grande
capacità e rapidità di collegamento, ma non sappiamo ancora se
questo tipo di mobilitazione sarà in
grado di costruire realmente strutture alternative a quelle che sono state
abbattute. Probabilmente, questi nuovi mezzi permettono alle persone di
rifiutare ciò che non vogliono, ma per il momento non sembrano potergli dare la
possibilità di realizzare ciò a cui
aspirano».
“il secolo XIX”, 3 settembre 2011