Giuliano
Galletta
Sanguineti, ultimo
“L’uomo
è animale che ride”. Comincia così l’ultimo scritto ad oggi conosciuto di
Edoardo Sanguineti. Si tratta di un intervento d’occasione che il poeta avrebbe
dovuto leggere il 20 maggio 2010 come relazione d’apertura al convegno “Forme
del pensiero che ride”, organizzato a Genova. La morte lo colse però due giorni
prima, il 18. Quel testo esce adesso in un volume di atti edito dal Comune di
Genova, che aveva promosso l’evento al Palazzo Ducale. Come sempre Sanguineti è
qui linearmente definitivo, riesce a rendere chiaro il suo pensiero senza
smarrire nulla della complessità antropologica di un tema così gigantesco come
quello del “ridere”.
Non
è però difficile immaginare che, se quella conferenza si fosse mai tenuta,
Sanguineti avrebbe sviluppato ulteriormente il tema, approfondendolo nel
momento stesso in cui lo trattava. «Spesso le idee mi vengono parlando»
racconta, confessando, in qualche occasione, «questa volta non mi sono
preparato, ho portato soltanto con me un po’ di schede sull’argomento».
Senonché quelle schede erano il risultato della lettura di tutto quello
che era possibile leggere su quel tema. Da qui la quasi soprannaturale capacità
“citazionistica” di Sanguineti. In questo testo si comincia da Rabelais “è
meglio scrivere di riso che di lacrime, perchè ridere è ciò che è proprio
dell’uomo”. E Sanguineti amava ridere, non essendo soltanto dotato della
sottile ironia dell’intellettuale, ma anche della vera, appunto più umana,
capacità di ridere. Proprio quella dote di cui parla Giacomo Leopardi e a cui
Sanguineti dedica il lungo postscritto che chiude il suo saggio e che
riproduciamo in questa pagina. In contemporanea con gli atti del convegno sulla
comicità sono recentemente arrivati in libreria altri due volumi “sanguinetiani”.
Il primo “Conversazioni musicali” (il melangolo, 96 pagine, 11 euro) è una
raccolta di interviste rilasciate da Sanguineti al musicologo Roberto Iovino.
Il secondo è un saggio di Enrico Testa, “Una costanza sfigurata” (Interlinea,
60 pagine, 10 euro). Il libro rielabora €e amplia la relazione tenuta da Testa
al convegno su Sanguineti organizzato nel maggio scorso dall’università di
Genova. Si tratta di un testo d
i
straordinaria profondità, destinato a diventare una pietra miliare degli studi
sanguinetiani, proprio perchè ha il coraggio di affrontare “il problema dei
problemi” di tali studi: il ruolo del soggetto, dell’io nella poesia di
Sanguineti.
Testa,
55 anni, è stato studente di Sanguineti, come lui è poeta e insegna
all’università di Genova e come lui ha pubblicato ,per Einaudi, un’antologia
della poesia italiana che comincia dove finiva quella di Sanguineti.
L’allievo,
quindi, prova, in un certo senso, a fare i conti con il maestro e lo fa
immergendosi nel cuore stesso della sua opera, uscendone con una tesi
controcorrente che mette in discussione la vulgata critica di un Sanguineti
impegnato esclusivamente nello sbriciolamento del soggetto e della scrittura.
“Nella
sua poesia” scrive Testa “è riuscito a dar conto della “vaporizzazione” dell’io
in corso del suo instabile profilo “scisso e schizoide” ma anche - per
continuare a esserci razionalmente e criticamente - del carattere
irrinunciabile dell’identità - a toppe, certo, e in stracci e sul punto di
smarrirsi e oggetto di continui riaggiustamenti, autodefinizioni e restauri
(...) ma comunque necessaria ancora e non liquidabile all’ammaso del mercato
della surmodernità”.
“Quasi
che sopravvivesse” aggiunge Testa “miniaturizzato, stravolto e sfigurato, quel
principio di individuazione di sé che Marco Aurelio collocava al centro
dell’uomo”. Un Sanguineti stoico? Forse. Almeno nella ricerca di una
“oggettività”, ch nasce proprio dall’iterazione di quei frammenti di persona
racchiusi nei tanti “piccoli fatti veri” della vita quotidiana “analisi di sè
come oggeto e in rapporto con la storia” spiega Testa “anatomico diagramma
confessionale di registrazioni concrete. In sintesi e in conclusione
un’etnografia personale”.
“Il Secolo
XIX”, 31 agosto 2011