Giuliano
Galletta
Picasso, il demone della creatività
Se qualcuno
dovesse chiedermi di definire in una parola cosa sia la creatività risponderei
senza esitazione: Picasso. Parlo di creatività e non semplicemente di arte
perché Picasso ha rappresentato una sintesi universale del concetto stesso di
creazione, sospinto da un'irrefrenabile pulsione a creare. Lo storico dell'arte
Gabriele Guercio lo ha definito un "genio generico", un ossimoro, ha
scritto, " adatto a descrivere un genio senza precedenti nella storia
dell'arte e della cultura artistica, le cui creazioni abbandonano le
predilezioni abituali per determinati stili o competenze in favore della
creatività intesa come dispensatrice di forze e capacità irriducibili a rigide
categorie". Purtroppo proprio la fama planetaria dell'artista - morto 92enne, mezzo secolo fa - le quotazioni dei suoi quadri, l'infinita
aneddotica sulla sua vita privata, rischiano di oscurare il significato
centrale che il pittore ha avuto nella cultura del Novecento. In molti hanno
evidenziato la coincidenza
cronologica fra la pubblicazione
della teoria della Relatività di Einstein, 1905, e la nascita del
Cubismo, con Les Demoiselles
d'Avignon, 1907.
Senza dimenticare
che pochi anni prima, all'alba del XX secolo, Sigmund Freud aveva dato alle
stampe "L'interpretazione dei sogni".
Il fisico ribalta la nostra visione dello Spazio e del Tempo, lo
psicoanalista l'idea di Soggetto e Picasso quella di Rappresentazione.
L'artista distrugge le regole della pittura fino ad allora riconosciute - recuperandone
le radici preistoriche, primitive e infantili - e dedicherà la sua lunga vita
di lavoro a trovarne di inedite ( "Io non cerco,
trovo", era una delle sue più celebri battute), adeguate alla Modernità e
a una nuova concezione dell'umano. Si calcola che Picasso abbia prodotto
quindicimila
dipinti, centomila stampe e una quantità impressionante di disegni, sculture,
ceramiche, scenografie (disse una volta: "datemi un museo e ve lo
riempirò") ma fu anche scrittore e persino drammaturgo; nel 1941 scrisse
infatti la commedia "Il desiderio preso per la coda", una sorta di
farsa surrealista, che fu letta per la prima volta a Parigi nel 1944 (alla fine
degli anni Cinquante venne riportata in scena dal
Living Theatre), nell'appartamento di Michel Leiris, in una memorabile serata clandestina, sfidando il
coprifuoco tedesco. A interpretare le diverse parti, sotto la direzione di
Albert Camus, c'erano Simone de Beauvoir,
Jean-Paul Sartre, Valentine Hugo, Raymond Queneau, oltre a Leiris
e allo stesso Picasso.
Si può dire che la
vita di Picasso sia stata governata da tre grandi passioni (nel senso del daimon, il demone del desiderio, che presiede alla vita di
tutti, come ci hanno insegnato i Greci): la pittura, le donne muse e vittime
(il suo innegabile machismo è parte integrante della leggenda picassiana) e la
corrida (la festa, il sacrificio, la morte).
Nel suo capolavoro "Minotauromachia",
incisione all'acquaforte del 1935, che anticipa tutti i temi iconografici di
"Guernica", il pittore si identifica nel Minotauro, mostro
mitologico, con la testa di toro e il corpo di uomo, che divora le sue vittime
nel Labirinto, ma che è, a sua volta, vittima della suscettibilità degli
Dei.
"Se tutte le
tappe della mia vita" ha scritto l'artista "potessero essere
rappresentate come punti su una mappa e unite con una linea, il risultato
sarebbe la figura del Minotauro“. Nella sua biografia
del pittore, pubblicata nel 1957, Antonina Vallentin
ha così descritto l'opera: "Nel crepuscolo il Minotauro avanza minaccioso,
col terribile braccio umano alzato, il piccolo occhio cattivo, le froge
spalancate. Al suo avvicinarsi un uomo barbuto, vestito solo d’un perizoma,
s’arrampica svelto su una scala. Ma la ragazzina, con un berretto sulla testa
troppo grossa, un mazzo di fiori in una mano, un candeliere nell’altra, lo affronta
tranquilla. Il lume rivela uno spettacolo terrificante: un cavallo è caduto, le
interiora escono dalla ferita mortale, il muso coi denti scoperti si volge
verso la donna matador, caduta all’indietro, il suo profilo bello e puro spicca
contro il fianco del cavallo e i seni escono dalla veste strappata, ma che
ancora impugna la spada." Picasso nasce Malaga il 25 ottobre 1881, ma si
trasferisce, ragazzo, a Barcellona, dove il padre José Ruiz
Blasco, pittore, va a insegnare all'Accademia di belle arti, la madre Maria
Picasso Lopez è di origini liguri, il bisnonno di Pablo, Tommaso Picasso, era
infatti nato a Sori nel 1787. Talento precocissimo (a sette anni dipinge uno
straordinario picador) è il padre a riconoscerne subito le eccezionali qualità,
al punto di decidere di abbandonare la pittura. Nel 1900, a 19 anni, si
trasferisce a Parigi (all'Esposizione universale di quell'anno un suo quadro è
già esposto nel padiglione spagnolo). Parigi è stato il centro propulsore
dell'arte dell'Ottocento e anche nella prima metà del XX secolo, Picasso ci
vivrà, a parte brevi ritorni in Spagna, per sempre. La vita sentimentale di
Picasso è stata a dir poco tumultuosa, ebbe due mogli, quattro figli e
innumerevoli amanti, spesso in contemporanea fra loro. Dal 1935 al 1943, ha
un'intensa relazione (qualcuno l'ha definita una delle più grandi storie
d'amore del Novecento) con la bellissima fotografa surrealista Dora Maar (sono
sue le famose immagini dell'artista al lavoro su "Guernica"), che
dopo la relazione con Picasso finì prima
in manicomio e poi in analisi da Jacques Lacan. Il giorno della morte di
Picasso, l' 8 aprile 1973, trent'anni dopo la fine del loro tapporto,
Dora Maar (che sarebbe morta nel 1997 a novant'anni)
scrisse sul suo diario alcune bellissime pagine. Maar
viene a sapere della morte di Picasso dalla radio, in una mattina di inizio
primavera, mentre sta preparandosi il tè.
"Avevo immaginato quel momento per
anni" scrive "in maniera precisa, come se scrivessi una
sceneggiatura. Avrei acceso la radio e sentito la voce seria di un uomo
annunciare la notizia della sua morte. Oppure, di ritorno dalla preghiera
mattutina nella chiesa del paese, avrei comprato un quotidiano sulla cui prima
pagina avrei visto la fotografia del suo volto: le mie mani si sarebbero messe
a tremare al punto da far cadere il giornale sul marciapiede sporco."
"In ogni
caso, sarebbe stata una scena drammatica, perché se non drammatica, come
avrebbe potuto essere la mia reazione alla notizia della fine di Picasso?
Proprio come è stata la mia vita con lui. Tuttavia niente è andato così! Mi
sono limitata ad ascoltare la notizia (...) tenendo in mano una tazza di tè
caldo e profumato quasi avessi bisogno di riscaldare le mie mani diventate d’un
tratto fredde". Nessuna lacrima, quindi.
"Ecco, sei
morto, e io non ho lacrime per piangerti" scrive ancora la Maar su un vecchio quaderno scolastico a righe, con un
inchiostro viola "me le hai rubate tutte e le hai sparse sui tuoi
ritratti. (.. .) Caro mio, solo adesso vedo che per me sei morto il giorno in
cui mi hanno ricoverata in ospedale, sola, abbandonata, sull’orlo dell’abisso.
Un tuo abbraccio, la tua stretta di mano sarebbero bastati per salvarmi. Invece
ho ricevuto solo elettroshock. La sensazione di abbandono mi ha inaridita per
sempre. Ciò nonostante ho continuato a vivere. Non accanto a te ma in rapporto
con te".
"Addio, dico
alla colomba che è appena passata in volo davanti alla mia finestra" sono
le ultime righe del diario "che per un attimo immagino essere la tua
colomba di pace e il tuo segno di congedo da me."
“Good Morning Genova”, 14 aprile
2023