Giuliano Galletta

Genova G8 dieci anni dopo

Ogni genovese ha un suo ricordo dei giorni del G8. Ci sono quelli che li hanno vissuti da protagonisti nelle manifestazioni e negli scontri  oppure barricati in casa mentre il cassonetto  sotto la finestra bruciava. Altri ipnotizzati davanti al televisore o  “prigionieri” della zona rossa, immersi nella irreale tranquillità allestita a protezione dei sedicenti Grandi.  Qualcun altro, come chi scrive, chiuso in una redazione a tentare  di decifrare le notizie sempre più confuse e drammatiche che arrivavano dalla piazza. Tutti credo, però,  accomunati dalla sensazione di aver vissuto come in un sogno;    quasi che la città e i suoi abitanti si fossero improvvisamente ritrovati al centro di un film di cui erano al tempo stesso attori e spettatori, esattamente come avviene nei peggiori incubi, quando si vorrebbe urlare ma la  voce non esce dalla gola.

 Il G8 non è stato però soltanto paura, violenza e senso di impotenza; per un’intera generazione di giovani , provenienti da tutto il mondo, ha significato una straordinaria esperienza politica e di vita, una sorta di iniziazione, un “romanzo” di formazione, seppure con un tragico finale.  Sociologi e politologi, in questi dieci anni, si sono interrogati sul fatto se il movimento no global sia stato stroncato a Genova dalla repressione, e forse, in parte, è davvero accaduto così, ma è altrettanto vero che la crisi mondiale ha dimostrato che molte delle ragioni di quei ragazzi erano assai fondate. E si può anche dire che il ritorno di una politica che parte “dal basso” a cui si assiste in questi mesi affondi le sue radici in quella variegata e contradditoria proposta ideale. Contemporaneamente però non si può non constatare che l’eclisse dei diritti umani che si è registrata a Genova in quei  giorni rimanga una ferita aperta nel cuore della città e del Paese.

Il G8 sembra essersi ormai avviato a diventare una nuova voce del lungo elenco dei misteri italiani. Se una verità giudiziaria tenta, fra mille difficoltà e oggettivi limiti, di farsi strada una verità politica appare oggi irragiungibile. E finchè una tale verità non sarà raggiunta      o, quantomeno, non sarà perseguita da tutti con il massimo impegno,  la ferita non potrà essere rimarginata.  La morte di Carlo Giuliani, l’inaudita violenza alla Diaz, le torture di Bolzaneto, gli attacchi ai manifestanti inermi hanno dei responsabili politici. Non si può pensare che il tempo possa alleviare in qualche modo il peso di tali responsabilità che devono essere individuate. Riandando con la mente  a quei giorni  non si riesce ancora a credere come sia stato possibile che, di fronte alle immagini della violenza delle forze dell’ordine contro pacifici manifestanti,  mandate in onda in prima serata dal Tg1, il ministro dell’Interno dell’epoca, Claudio Scajola, non abbia sentito il dovere,  non solo di dimettersi -  cosa  che ha fatto di recente per una questione di appartamenti comprati e venduti - ma quello di ritirarsi definitivamente dalla vita politica. Non fosse altro per il  naufragio  della gestione dell’ordine pubblico, con i Black  Bloc lasciati  liberi di scatenarsi per le strade. 

D’altra parte anche il ruolo dell’allora vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini, il più alto esponente del governo in quei giorni a Genova, presente con altri esponenti del suo partito nella sala operativa dei carabinieri,   non è mai stato chiarito. Soltanto una commissione di inchiesta parlamentare avrebbe,  forse, avuto la possibilità di fare un po’ di luce su quella che Massimo D’Alema, sotto il cui governo era nata la candidatura di Genova al summit, definì in parlamento “una situazione cilena”. La proposta dell’istituzione di una tale commissione fu bocciata grazie al voto di Antonio Di Pietro. Il G8 di Genova non ha potuto quindi neanche godere sulla chance di verità che era stata offerta a molti altri misteri italiani,  con il risultato della rimozione totale del problema da parte dello Stato e del sistema politico. La parola è rimasta quindi alla magistratura che ha tentato di fare il proprio lavoro confrontandosi con comportamenti omissivi e  veri e propri depistaggi nella peggiore tradizione italiana in base alla quale i poliziotti condannati vengono promossi.  

Una vicenda che in tutto il suo corso, durante e dopo il G8 il summit,  ha messo a dura prova la fiducia degli italiani nelle forze dell’ordine. Ma c’è un terzo modello di  verità, parziale come ogni verità,    a cui si può  ancora pensare di accedere:  la verità storica. E sono molte le domande a cui gli storici  dovranno rispondere. Il G8 è infatti lo snodo con cui l’Italia, su un palcoscenico mondiale, ha aperto il XXI secolo e in esso si accavallano molte delle contraddizioni del suo passato e altrettante incognite del suo futuro. Non è certamente la prima  volta che in Italia, forze interne allo Stato, tentano di gestire politicamente la violenza per tentare di mettere alle corde un movimento di opposizione, cambiano gli scenari, le prospettive ma le tecniche, alla fine, sono sempre le stesse. Capire cosa è realmente accaduto non serve solo a soddisfare un sacrosanto desideri o di giustizia ma è anche una forma di legittima difesa.  “il Secolo XIX”, 21 luglio 2011