Jean Montalbano
Serge
Gainsboug, arte dell’istante
Arnaud Viviant: GAINSBOURG OU L’ART SANS ART. François Bourin, 2014
Arnaud
Viviant ritorna con questo abbecedario Gainsbourg ou l'art sans art ad
uno dei temi prediletti: Serge Gainsbourg come ultima incarnazione dell'artista
baudelairiano, dunque dandy costretto a ripetere gli esiti di una modernità
d'artista già prefigurati dagli ottocenteschi capostipiti. Ma, un secolo dopo e
tante immagini e scene in più, artista slittato verso un destino di personaggio
(misurato secondo l'impatto più che il valore) pur se finalmente sciolto
dall'abbraccio intimidente delle aristocratiche Arti Maggiori, martire della
democrazia popolare anche nel dichiarare: “mi sarebbe piaciuto vivere il
movimento dada...” (dadaista, o meglio daliano, considererà il suo invito a
votare Giscard nel 1974). Della stagione dada e surrealista Gainsbourg incrociò gli ultimi epigoni sulle
rive della Senna ma, per l'aria di scandalo o provocazione in cui spesso scelse
di volteggiare, forse fu più vicino ad
un Boris Vian, da cui fece in tempo a ricevere lodi.
Viviant,
per parte sua, nota en passant lo spunto lettrista di Elandanla téitéria
o quel ricorrente formalismo che rende l'autore di La Javanaise distante,
pur nelle affinità, dagli esiti di un Brassens (“lui compone, io decompongo”),
come a dire: in lui libertario rima anche con pubblicitario.
In
coppia con Jane Birkin, più ancora che nel brevissimo ménage con la Bardot, il
figlio d'immigrato russo e pittore mancato sintetizzò la rivoluzione sessuale
degli anni sessanta di cui le sue canzoni, come arte dell'istante schiacciata
dal denaro, furono un manifesto efficace e sintetico. Come un Warhol d'oltralpe, si provò anche al
cinema con esiti trascurabili, per niente memorabili e difficilmente
recuperabili, perfino nelle cinemateche pronosticategli da un generoso
Truffaut.
Qualcuno
vide nel suo feticismo per le uniformi (passione inquieta da parte di chi,
bambino, sfuggì al destino degli indossatori di stella gialla) un motivo per
arruolarlo tra gli anarchic di destra (e anticomunista, meglio antistalinista,
memore della fuga del padre dal bolscevismo, sempre si dichiarò).
All'epoca
già più maturo dei vicini enragés, Gainsbourg disse d'aver seguito il maggio
68, “un bang bang di ragazzini”, in televisione, da una camera dell'Hilton con
aria condizionata.
D'altra
parte, per provenienza e formazione, per gusti musicali (dichiarava di
preferire la pulsazione jazz al dinamismo affettato di tanto rock, per non dire
del deteriore yé-yé) molti solchi lo separavano da consimili alcool-addicts che
correvano per le strade parigine. Anche il fric, il conto in banca (e la
generosità nello spenderlo regalando Porsche e appartamenti) sarà uno dei modi
per smarcarsi, un altro essendo il
volere apparire e rivendicare l'esser laido ( lichtenberghianamente
ricordava come la bruttezza, nel durare, sia pur sempre superiore alla
bellezza). E all'occorrenza pronto a versare sangue impuro, ebreo per giunta,
nei solchi della douce France trenetiana, sfidando le minacce dei parà per lesa
maestà ad una Marsigliese ridiventata inno di battaglia rasta.