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addietro (vedi il sommario del 2004)
l’enunciazione e l’enunciazione
artistica
una rilettura
critica dei testi del circolo di Bachtin 1
1. Finalità prima di questo articolo è il portare l’attenzione sul testo della studiosa tedesca Janette Friedrich Der Gehalt der Sprache, che ritengo di grande importanza per la comprensione del lavoro teorico svolto dal circolo di Bachtin, ovvero da Michail M. Bachtin (1895-1975), Pavel N. Medvedev (1892-1937) e Valentin N. Volosinov (1895-1936) durante il periodo della loro intensa collaborazione intellettuale nell’Unione Sovietica degli anni venti.2 Il merito principale di Friedrich consiste nell’aver colto nei suoi tratti essenziali la concezione del linguaggio sviluppata dal circolo di Bachtin, ma il suo lavoro, non più recentissimo (1993), sembra essere passato inosservato, tanto che non è menzionato nelle estese bibliografie sull’argomento. Come motivo può essere addotto l’approccio da una prospettiva di teoria della coscienza, quindi estraneo ai dipartimenti di letteratura dove Bachtin e il suo circolo hanno avuto maggior successo.
A partire dal testo di Friedrich è poi possibile riprendere in esame criticamente la “poetica
sociologica”, ovvero la concezione della letteratura sviluppata da Bachtin, Medvedev e Volosinov in diversi dei loro testi. Solo, infatti, dopo essersi confrontati con la loro concezione della comunicazione linguistica extra-letteraria è possibile affrontare la loro interpretazione del fenomeno letterario, che comprende anche la teoria del romanzo e del carnevalesco sviluppata da Bachtin dopo la forzata interruzione della collaborazione intellettuale con Medvedev e Volosinov. Se questo non viene fatto si rischia di confondere le riflessioni sulla comunicazione linguistica in generale con le riflessioni sulla comunicazione letteraria, come appunto succede a Julia Kristeva nel saggio “La parola, il dialogo e il romanzo”.3 Infine è necessario rivolgere l’attenzione all’interpretazione data dalla critica della poetica sociologica, la quale è stata ricondotta alla nozione di intertestualità, portata avanti per la prima volta dalla stessa Kristeva.
2. Der Gehalt der Sprache di Friedrich era originariamente pensato come una nuova interpretazione dei testi dello psicologo Aleksej N. Leont´ev (1903-1979) e del filosofo Eval´d V. Il´enkov (1924-1979), come alternativa all´indirizzo dogmatico dominante nella tradizione del marxismo-leninismo nel campo della teoria della coscienza. La struttura del libro prevedeva inoltre il partire dai precursori dei suddetti pensatori, lo psicologo Lev S. Vygotskij (1896-1934) e il filosofo Konstantin R. Megrelidzes (1895-1936), attivi entrambi negli anni venti e trenta. Finalità e struttura del testo vennero però radicalmente cambiate quando Friedrich arrivò alla conclusione che la discussione negli anni venti e trenta era notevolmente più interessante e innovativa rispetto a quella seguente negli anni sessanta e settanta. La successiva lettura dei testi del circolo di Bachtin la confermarono in questa sua posizione ed essi vennero così a costituire l’oggetto dell´ultimo capitolo del libro, che doveva adesso partire da Leont´ev e Il´enkov per arrivare ai testi degli anni venti. L´inversione cronologica è giustificata da Friedrich con il fatto che il problema di una teoria della coscienza che non implichi l’ipostatizzazione della medesima, ovvero la spiegazione della coscienza come oggettiva, è correttamente posto da Leont´ev e Il´enkov, ma superato solamente attraverso le posizioni di Megrelidzes e Vygotskij, dove però decisivo è il lavoro svolto dal circolo di Bachtin.4 Mentre gli esiti della lettura di Leont’ev, Il’enkov e Megrelidzes non sono qui rilevanti, è utile soffermarsi sulla lettura data da Friedrich di Vygotskij. Il merito di Vygotskij5 consiste, secondo Friedrich, nell’aver posto uno stretto legame fra pensiero e linguaggio, o meglio nell’avanzare, in opposizione allo psicologo francese Jean Piaget,6 che la lingua interna, mezzo del pensiero, derivi dalla lingua esterna, la lingua della comunicazione sociale. Per Vygotskij “lo sviluppo del pensiero infantile non procede dall´individuale al sociale, ma dal sociale all´individuale”7 ed è da comprendere come una lenta appropriazione della lingua esterna tramite una graduale diminuzione della vocalità. Il limite della posizione di Vygotskij consiste però nel fatto che la lingua interna, una volta compiuto il processo di appropriazione, perde il suo carattere di socialità: essa è una lingua per se stessi che ha bisogno di una traduzione per ridiventare lingua esterna. Il pensiero, e quindi la coscienza, rimane così un fenomeno relegato nella psiche individuale al quale si può arrivare solo indirettamente, tramite la sua traduzione nella lingua esterna. L’approccio semiotico del circolo di Bachtin permette invece il superamento dello psicologismo di Vygotskij.
3. Volosinov nel suo libro Marxismo e filosofia del linguaggio, il testo più importante del circolo di Bachtin, pone un segno di uguaglianza fra esperienza psichica (il pensiero, la coscienza) e realtà segnica. Egli indica la oggettività della psiche nel fatto di essere legata ad un materiale segnico. Fino a qui la sua posizione è dunque analoga a quella di Vygotskij, anche se è più opportuno fare riferimento al filosofo kantiano Ernst Cassirer. La tesi di Cassirer, portata avanti nella sua opera attentamente studiata dal circolo di Bachtin Philosophie der symbolischen Formen,8 dice, infatti, che il soggetto umano diventa reale solo attraverso l’intermediario del simbolo. L’originalità di Volosinov consiste però nella dimostrazione che il segno non svolge la semplice funzione di supporto materiale, come era il caso in Cassirer, ma condiziona l’esperienza psichica stessa, facendone contemporaneamente un fenomeno interamente sociale. I due passi fondamentali sono dunque la spiegazione di come il segno condizioni l’esperienza psichica nel suo costituirsi, e come il segno sia una realtà squisitamente sociale. Solo così è dimostrabile la oggettività della coscienza, nel doppio senso di legata inscindibilmente alla sua realizzazione segnica, quindi un fenomeno della realtà oggettiva, e condizionata dalla realtà sociale storicamente data. Cercando il circolo di Bachtin nel segno linguistico l’oggettività della psiche, nonostante non venga esclusa la compartecipazione di altri tipi di segni alla formazione della coscienza, era inevitabile il confronto con le posizioni della linguistica a loro contemporanea. Essa viene ridotta da Volosinov a due correnti principali, ma la sua critica, come nota Friedrich, le coglie entrambe in un medesimo punto: l’ipostatizzazione della lingua, ovvero l’attribuzione a quest’ultima, esplicitamente o implicitamente, di uno statuto di realtà al di fuori dei singoli atti verbali di una comunità di parlanti.9 Nei Corsi di linguistica generale di Ferdinand de Saussure, nei quali Volosinov riconosce uno dei paradigmi del pensiero linguistico contemporaneo, l’ipostatizzazione della lingua è esplicita: il singolo atto verbale (parole) è tale soltanto in quanto è sottomesso alla lingua, intesa come sistema di forme fonetiche, grammaticali e sintattiche (langue). Questa posizione è definita da Volosinov “oggettivismo astratto”. Esso prevede, infatti, che per una determinata comunità di parlanti in un determinato momento storico sia valida soltanto una lingua come sistema di forme (da qui l’oggettività) e d’altra parte questo sistema non si incarni mai pienamente nei singoli atti verbali (da qui l’astrattezza). Il secondo paradigma del pensiero linguistico contemporaneo è indicato nella posizione di Karl Vossler e della sua scuola. Per questi la lingua è un fenomeno di continua creazione individuale dove determinante è il ruolo del gusto (Geschmack). Ne deriva che la lingua è reale solo come atto linguistico individuale (la parole di Saussure) e non come sistema di forme identico a se stesso (la langue di Saussure). Questo secondo paradigma è denominato “soggettivismo individualistico”. L’antitesi apparente fra i due paradigmi del pensiero linguistico contemporaneo non impedisce però a Volosinov di cogliere l’errore che sottostà ad entrambi.
Nell’oggettivismo astratto l’ipostatizzazione della lingua è, come già detto, esplicita; per veder come questa sia implicita anche nel soggettivismo individualistico è necessaria un’ulteriore riflessione. Parte integrante della posizione della scuola di Vossler è la concezione che ciò che deve essere espresso (attraverso l’atto linguistico) prende forma nella psiche individuale
indipendentemente dall’espressione (l’atto linguistico). In altre parole, la lingua è semplice materiale per l’espressione esterna di qualcosa che è internamente già formato e finito.10 L’ipostatizzazione della lingua consiste dunque nel fatto che essa è il luogo (altrettanto oggettivo e astratto che la langue di Saussure) dal quale l’individuo sceglie le forme che più appagano il suo
senso estetico. Volosinov nega invece alla lingua ogni possibile autonomia e la riduce ad un fenomeno interamente occasionale, che non esiste al di fuori dei singoli atti verbali, i quali devono sempre essere visti come interazioni sociali: essi sono in uguale misura determinati da due fattori, di chi sono e per chi sono. Determinante in questo è il passaggio dal concetto di espressione (come oggettivazione esterna di qualcosa di internamente già formato e finito nella singola psiche) a quello di enunciazione. Per il soggettivismo individualistico l’oggettivazione dell’esperienza psichica si può schematizzare così: esperienza interna – espressione. Come risulta da quanto detto sopra, qui si presuppone un passaggio di qualità: l’espressione non condiziona l’esperienza, perché l’esperienza si è formata indipendentemente dall’espressione. La lingua svolge qui il ruolo di materiale passivo, come potenziale espressione dell’esperienza interna. In Volosinov invece lo schema è il seguente: espressione dell’esperienza interna – enunciazione (oggettivazione esterna). Qui non c’è trapasso da una qualità ad un’altra: ciò che deve essere espresso si presenta fin dall’inizio nella forma di espressione. Si può dire con Friedrich che “l´esperienza interna si costituisce internamente dall´inizio solo in vista della sua oggettivazione nell´interazione, per il quale motivo Volosinov fa
qui uso del concetto d’enunciazione.
La possibilità di essere enunciazione costituisce l´esperienza psichica.”11
La distinzione fra lingua interna e lingua esterna può trovare adesso una nuova formulazione conseguente con quanto detto sopra. In Vygotskij la lingua interna era mezzo del pensare, una lingua personale che doveva essere tradotta per arrivare all’espressione esterna. Anche in Volosinov la lingua interna è mezzo del pensare, ma rimane una lingua caratterizzata dall’interazione: essa non ha bisogno di una traduzione per diventare lingua esterna. Per questo Volosinov, descrivendo il passaggio da lingua interna a lingua esterna, preferisce parlare di precisazione: l’esperienza interna è fin dall’inizio rivolta ad un interlocutore e quando viene oggettivata in un dialogo reale essa conserva, in grado maggior o minore, la sua direzione primaria. Così è compiuto da Volosinov il primo passo verso una spiegazione della coscienza come oggettiva: l’enunciazione è il segno che condiziona l’esperienza psichica nel suo costituirsi. Il concetto di enunciazione non deve dunque essere visto soltanto da una prospettiva di tipo linguistico e ricondotto al concetto di dialogo, con la conseguente analisi contestuale della lingua, fatto che Friedrich rileva come tipico della critica sul circolo. Per comprendere l’originalità del pensiero di Volosinov è invece necessario evitare tale semplificazione e cogliere lo stretto legame del concetto di enunciazione con una concezione della coscienza.12 Decisivo è però il passo successivo, che consiste in un “riesame delle forme linguistiche nella loro consueta trattazione linguistica”.13 E’ qui, inoltre, che l’interpretazione di Friedrich si distacca più nettamente dalle posizioni della critica sul circolo di Bachtin.
4. Ne “La costruzione dell’enunciazione” Volosinov distingue fra due momenti dell’enunciazione: il contesto della comunicazione e le forme linguistiche. La parte non-verbale dell’enunciazione è altrettanto importante che quella verbale. Il contesto (o parte non-verbale dell’enunciazione) è costituito dalla situazione e il relativo uditorio: spazio e tempo, oggetto e tema, e relazione dei parlanti. Nessuna enunciazione è comprensibile una volta che questa parte nonverbale venga a mancare. Un esempio dato da Volosinov, e riportato da Friedrich, è un dialogo dove la prima replica è “già” e la seconda l’arrossire dell’interlocutore e il suo andarsene via. Questo dialogo risulta incomprensibile fino a quando non si viene a conoscenza della situazione, in questo caso la sessione di un esame (tempo e spazio) e il fatto che lo studente non è stato in grado di rispondere a nessuna delle domande che gli sono state poste (l’oggetto o tema), e dell´uditorio, la relazione fra studente e professore.14 Il significato di un’enunciazione è dunque strettamente legato alla situazione e alla relazione sociale che esiste fra i parlanti. Il secondo momento dell’enunciazione sono le forme verbali. Volosinov indica queste nell’intonazione, scelta delle parole e disposizione. Sono queste che secondo Friedrich costituiscono la chiave per la comprensione della concezione del linguaggio del circolo di Bachtin.15 Per spiegare la specificità delle forme linguistiche Volosinov fa ricorso a degli esempi tratti dalla letteratura e precisamente da Le anime morte di Gogol’. Perfetto risulta a questo scopo il dialogo dell’eroe del libro, Čičikov, con il generale Betriščev,16 dove, nota Volosinov, caratteristiche del discorso di Čičikov sono l’uso di un linguaggio “alto” con una predilezione per espressioni prese dal linguaggio libresco ecclesiastico e la completa assenza del pronome personale “io”. Importante nell’analisi stilistica di Volosinov è per Friedrich l’avere chiaramente esposto come le forme verbali non siano legate né al contenuto del discorso, in questo caso il racconto della propria vita da parte di Čičikov, né alla motivazione di Čičikov, qui il voler reinstaurare delle buone relazioni fra Tentetnikov, ospite di Čičikov, e il suddetto generale. Le forme verbali, invece, dice Friedrich, “pongono esclusivamente una relazione con il contesto della comunicazione, con la situazione e con l´uditorio, nel quale il dialogo, con un determinato contenuto – e causato da determinate motivazioni dei partecipanti – ha luogo.”17 La relazione posta dalle forme verbali con il contesto ha come esito una valutazione del contenuto. Nel discorso di Čičikov questo è inequivocabile: una determinata scelta lessicale e costruzione del discorso, stabilendo una relazione con il contesto, determinano una valutazione del contenuto del discorso, ovvero del racconto della propria vita. Friedrich parla dunque della scoperta del Gehalt della forma, dove “Gehalt significa che la forma ‘determina’ un contenuto mettendolo in rapporto con un altro contenuto, senza rappresentare uno di questi contenuti.”18 Le forme linguistiche del discorso di Čičikov, per esempio, ‘determinano’ il contenuto del discorso tramite il loro rapporto con il contesto, ma non rappresentano né il contenuto, al quale, infatti, non sono subordinate, né il contesto. ‘Determinare’ è qui equivalente di esprimere una valutazione. Affermare che l’enunciazione possiede un significato solo in rapporto con un contesto, come è stato fatto sopra, significa quindi sostenere che le forme linguistiche mettono in rapporto la situazione e l´uditorio con il contenuto, il quale è portatore di significato solo grazie a questo suo rapporto con il contesto.
Il concetto di genere si presenta ora come naturale compimento del Gehalt der Sprache. In ogni società esiste un numero non infinito di possibili situazioni e uditori che è dato. Questo porta alla formazione di strutture stabili delle enunciazioni, intese sempre secondo le categorie di intonazione, scelta e disposizione: i generi del discorso (essi possono essere definiti come tipi del costruire e del compiere il discorso).19 Ecco alcuni esempi:
... un genere di strutturazione assolutamente particolare è quello elaborato nella conversazione leggera di
salotto, che non crea nessun obbligo, dove tutti sono dei “nostri” e dove la differenza fondamentale tra le persone riunite
è quella tra uomini e donne. [...] Un altro tipo di strutturazione si ha nella conversazione tra moglie e marito, tra fratello
e sorella. In modo completamente diverso iniziano, terminano, si costruiscono le comunicazioni e le repliche di persone
eterogenee riunitesi per caso in qualche luogo – facendo la coda, in un ufficio, ecc. Hanno i loro propri tipi di genere le
veglie paesane, le bisbocce cittadine, il conversare del più o del meno degli operai alla mensa, ecc. Ogni situazione
quotidiana stabile ha una sua determinata organizzazione dell’uditorio e, di conseguenza, un determinato rapporto di
piccoli generi
quotidiani.20
Ne deriva che il singolo individuo non è libero nella costruzione delle sue enunciazioni, ma può muoversi soltanto all’interno dei generi che gli sono dati. Anzi, i generi, attraverso le loro strutture stabili, pre-strutturano il contenuto stesso della comunicazione e, per lo stretto legame coscienzaenunciazione, pre-strutturano la coscienza stessa dell’individuo. L’oggettivazione del contenuto di coscienza non è dunque legato solo all’interlocutore immediato (la comunicazione non è spiegabile interindividualmente) ma, tramite i generi, a determinati rapporti sociali vigenti nella società. Infine
i generi non devono
essere visti come immobili ma in continuo cambiamento, legati al “divenire globale
di un dato collettivo sociale”.21 Volosinov
offre il seguente schema: si forma lo scambio sociale (…), in esso si formano lo scambio e l´interazione verbale, qui
si costituiscono le forme degli interventi verbali e questo processo di formazione
infine, si riflette nel mutamento delle forme linguistiche.22
Volosinov compie così anche il secondo e decisivo passo verso una spiegazione della coscienza come oggettiva. L’enunciazione è il segno che, tramite la sua appartenenza ad un genere, non è spiegabile né a partire dalla singola coscienza, né interindividualmente, ma è in stretto legame con i rapporti sociali vigenti in una società, ed è quindi un fenomeno squisitamente sociale. Contemporaneamente anche la coscienza diventa un fenomeno interamente sociale, perché essa non esiste al di fuori della sua oggettivazione nell’enunciazione e quindi nei generi. Importante conseguenza di ciò è la negazione del solipsismo e del correlato problema della oggettiva percezione della realtà. L’individuo è, infatti, spiegabile solo a partire dalla società: esso può diventare cosciente solo attraverso i generi e quindi solo in quanto membro di una società.
5. Dopo aver, attraverso Friedrich, dedicato l’attenzione alla concezione del linguaggio del circolo di Bachtin, dove i testi più appropriati erano quelli di Volosinov, è ora possibile rivolgersi alla loro concezione della comunicazione letteraria, che porta il nome di poetica sociologica, sviluppata questa prevalentemente nei testi di Bachtin e Medvedev. Qui è forse utile rilevare che non bisogna dare un carattere monolitico al lavoro svolto dal circolo. Fra i diversi testi sussistono delle differenze, che non sono solo da ricondurre ad un registro stilistico o ad un particolare modo di affrontare le stesse problematiche, ma anche a posizioni fra di loro eterogenee. Questo è possibile, come si vedrà, sia al livello della concezione del linguaggio, sia a quello della poetica sociologica.
Ne Il metodo formale di Medvedev si trova la più conseguente ed esaustiva applicazione alla letteratura della concezione del linguaggio come delineata qui sopra. Momento decisivo è il porre l’uguaglianza opera letteraria – enunciazione. L’enunciazione letteraria, o meglio artistica,23 conserva tutte le implicazioni del concetto di enunciazione come oggettivazione del contenuto di coscienza. Lo stretto legame fra la coscienza e il segno assume qui l’aspetto di stretto legame fra il contenuto dell’opera letteraria e la sua forma: fuori dalla forma non esiste nessun contenuto e quest’ultimo è condizionato nella sua oggettivazione dalla forma. Il primo importante risultato della concezione di opera letteraria come enunciazione permette dunque di comprenderla nella sua unità, non casuale o meccanica, ma necessaria, di forma e contenuto, senza così cadere negli errori dell’idealismo e del formalismo russo, i due bersagli polemici del testo di Medvedev. Il contenuto, al pari della coscienza, non è, infatti, più interpretabile come una realtà indipendente, che preesiste alla sua oggettivazione in una determinata forma artistica, intesa come interscambiabile abbellimento esteriore (questo è l’errore dell’idealismo). D’altra parte la posizione dei formalisti russi si rivela paradossale: negare il contenuto o affermarne la sostanziale interscambiabilità rispetto alla forma non è altro che il capovolgimento della posizione del positivismo.
Medvedev invece può dirsi d’accordo e in rapporto di continuità con il formalismo occidentale24 e la sua tesi principale, secondo la quale non è possibile tracciare nessuna linea di separazione fra la rappresentazione contenuta nell’opera d’arte e la tecnica adoperata. L’opera d’arte è, infatti, data all’artista fin dall’inizio in termini puramente tecnici, come potenzialmente
rappresentabile, e la concezione di un’idea che non ha ricevuto un’adeguata espressione in arte, un’idea non realizzata, risulta così inaccettabile. Riportando l’attenzione dalle arti figurative e dalla musica, campi questi ai quali erano prevalentemente interessati i formalisti occidentali, alla letteratura, quello che è stato appena detto si può riformulare parafrasando Friedrich: il contenuto dell’opera letteraria si costituisce fin dall’inizio solo in vista della sua oggettivazione nell’enunciazione; la possibilità di essere enunciazione costituisce il contenuto dell’opera letteraria. Lo schema concettuale dei formalisti occidentali viene però giudicato insufficiente da Medvedev dal punto di vista di uno studio sociologico dell’arte come interazione sociale. L’enunciazione artistica, dice Medvedev, è al pari dell’enunciazione extra-letteraria un fenomeno interamente sociale. Sia nella più semplice replica di un dialogo, come in un romanzo in più volumi, bisogna sempre vedere una comunicazione dove determinante è sempre il contesto, sotto la forma di situazione e uditorio.25 Egli dice: “determinate forme d’interazione sociale sono esse stesse costitutive per la significatività delle opere d´arte.”26 La struttura dell’enunciazione artistica è dunque altrettanto sociale che la struttura di ogni altro tipo di enunciazione. Essa è da intendersi sempre secondo le categorie di intonazione, scelta delle parole e disposizione, e pone una relazione con il contesto, determinando così valutativamente il contenuto. La nuova disciplina alla quale si riferiscono sia Medvedev che Bachtin e Volosinov con il nome di poetica sociologica ha proprio come fine una analisi della struttutura dell’enunciazione artistica come struttura sociale. Oggetto di primario interesse per la poetica sociologica sono i generi artistici, i quali, come i generi non artistici, sono i tipi del cotruire e compiere l’enunciazione, le strutture stabili che si sono sviluppate in relazione ad un particolare rapporto con il contesto. La riflessione sui generi di Medvedev si presenta poi particolarmente interessante, non solo sul piano della poetica sociologica, ma anche della concezione del linguaggio. Egli dice: “ogni genere [possiede] i suoi propri metodi, i suoi propri mezzi per vedere e comprendere la realtà, che sono disponibili solo a lui.”27 La inscindibilità di contenuto e forma, di rappresentazione e tecnica, è qui posta chiaramente. Il contenuto esiste solo perché un determinato genere è in grado di strutturarlo, oppure, in altre parole, ogni genere permette di cogliere solo determinati aspetti della realtà. L’estensione alla letteratura della concezione del linguaggio del circolo di Bachtin da parte di Medvedev può dirsi qui conclusa. Una domanda rimane però ancora aperta, ovvero in che cosa consista la specificità della letteratura. Medvedev, tramite l’uguaglianza opera letteraria –enunciazione e genere artistico – genere non artistico, rinuncia ad una qualsiasi distinzione qualitativa fra letteratura ed il resto della comunicazione linguistica. Non si può dunque porre una differenza di principio fra una replica di un dialogo ed un romanzo: entrambi sono enunciazioni e si trovano in stretto rapporto con il contesto, rapporto questo che trova espressione al livello della struttura stessa dell’enunciazione. Egli si limita invece ad una distinzione quantitativa: l’opera letteraria si distingue dall’enunciazione fuori dall’arte per il grado dell’elaborazione formale. Nell’articolo di Volosinov “La parola nella vita e la parola nella poesia”, molto vicino per le sue posizioni a Il metodo formale, si trova anche una distinzione di tipo quantitativo: l’opera letteraria si riferisce ad un contesto più ampio, il contesto dei valori fondamentali di una determinata società. La mancanza di una distinzione qualitativa non è però da considerare come un difetto nei lavori del circolo di Bachtin, anzi una tale distinzione può essere dannosa e restituire alla letteratura la categoria dell’immanenza, ovvero il venire collocata fuori dalla società e dalla storia. Tzvetan Todorov solleva lo stesso problema nella sua monografia, e sostiene che in tutta la produzione di Bachtin, nella quale sono fatti rientrare anche i testi di Medvedev e Volosinov, manca una risposta chiaramente articolata al problema del rapporto fra letteratura e non-letteratura.28 Se si rivolge l’attenzione ai testi editi soltanto postumi, ma composti nella prima metà degli anni venti,29 la posizione di Todorov non mi sembra sostenibile. Qui si trova, infatti, una chiara risposta alla domanda della specificità della letteratura, anche se essa è formulata nei termini di una estetica generale. Questa però, anche se sicuramente degna di interesse, non ha bisogno di venire ora riproposta perché questi testi, che formano un insieme organico, appartengono ad un indirizzo di pensiero nettamente distinto da quello del circolo. Momento centrale dell’estetica di Bachtin è la separazione fra opera materiale esterna ed oggetto estetico, dove la prima è subordinata al secondo. L’opera materiale esterna è qui la semplice realizzazione tecnica di un qualcosa che è già dato alla contemplazione estetica ed esiste fuori ed indipendentemente da essa.30 Risulta così evidente l’ipostatizzazione dell’oggetto estetico, fatto questo incompatibile con la posizione di Medvedev e la concezione del linguaggio sulla quale si fonda la poetica sociologica.
La critica su Bachtin non sembra aver dedicato molta attenzione a questa frattura, e prevale la posizione di vedere una sostanziale continuità nel pensiero di Bachtin nell’arco di tutta la sua vita, fatto questo che indirettamente ha contribuito alla marginalizzazione del ruolo svolto da Medvedev e Volosinov nel periodo della loro collaborazione intellettuale. Paradigmatica può essere da questo punto di vista l’affermazione di Ken Hirschkop in un libro recente, secondo il quale il concetto di dialogo, sotto il quale viene compreso di solito tutto il pensiero di Bachtin, è ugualmente valido sia da una prospettiva linguistica (quella del circolo) sia da una prospettiva estetica ed eticofilosofica (quella dei testi editi postumi). La frattura (non semplicemente cronologica ma al livello concettuale)31 nell’opera di Bachtin è inoltre passata inosservata perché in lui è stato sempre visto prevalentemente il teorizzatore della parola bivoca, concetto questo che è stato erroneamente slegato dalla concezione del linguaggio del circolo. La posizione di Todorov è qui esplicativa: “La théorie générale de l’énoncé n’est pour Bakhtine qu’une sorte de détour inévitable, qui doit lui permettre l’étude de cet aspect là [la parola bivoca].”32 L’ultima parte dell’articolo sarà ora dedicato al concetto di parola bivoca, il quale non è interpretabile come una appendice alla concezione del linguaggio del circolo ma si trova in rapporto di stretta complementarità con essa.
6. Nella terza parte di Marxismo e filosofia del linguaggio Volosinov affronta il problema della parola nella parola, concetto questo molto vicino alla parola bivoca di Bachtin. Tenendo presente che il significato, come deriva dalla concezione di comunicazione sviluppata dal circolo, è dato dalla totalità di forma e contenuto, la domanda qui posta è se sia possibile riportare il discorso altrui nella sua interezza di struttura (le forme linguistiche come intonazione, scelta e disposizione) e tema. 33 Solo in questo caso si potrà parlare di enunciazione nell´enunciazione, ovvero di parola nella parola.
Volosinov suddivide i modi del riportare il discorso altrui in due tendenze principali: il riportare che cosa viene detto ed il come viene detto. Nella prima, definita anche la variante analitico-oggettuale, l´enunciazione altrui viene ridata sul piano puramente tematico. I momenti formali (ovvero al livello della struttura) indispensabili alla comprensione vengono qua restituiti sul piano del contenuto. Un chiaro esempio è la scomparsa del punto di domanda (che indica l´intonazione della frase, quindi un momento della forma) nel discorso indiretto.34 Caratteristiche di questa variante sono i limiti netti fra discorso riportante e discorso riportato, e una spersonalizzazione di quest´ultimo che viene ridato solo come posizione semantica. In questo caso non si può parlare di enunciazione nell´enunciazione perché il momento formale rimane escluso. Nella seconda variante, definita analitico-verbale, anche la struttura del discorso riportato, nella forma di caratteri stilistici individualizzanti o tipologizzanti, entra nel discorso riportante. Lo stile unitario del discorso riportante, dovuto ad una particolare relazione con il contesto, perde così la sua integrità e accoglie le parole ed espressioni altrui, riconducibili ad un secondo contesto: “Qui la personalità del parlante [colui del quale il discorso è riportato] si condensa fino a diventare immagine.”35 Ma anche in questa seconda variante lo stesso non si può sostenere che il discorso altrui sia riportato nella sua integrità. Questo è, infatti, il caso quando il parlante introduce nel suo discorso espressioni che non gli appartengono, ma che servono a caratterizzare qualcun altro, dalla cui posizione egli vuole tenere una certa distanza, ovvero non solo dal tema delle sue parole ma dalla valutazione stessa espressa tramite le forme verbali. Da un punto di vista grafico questo è solitamente espresso tramite l’uso delle virgolette. Il discorso altrui è dunque totalmente subordinato alle intenzioni del discorso riportante, che lo attacca dall´esterno e lo usa per rifrangere la propria posizione.
Volosinov, tramite esempi presi dalla letteratura,
indica però anche una terza variante. E’, infatti, possibile che la presenza
del discorso altrui sia talmente invasiva da soggettivizzare e colorire il
discorso riportante dei propri toni. In questa variante si perde l’unità
stilistica del discorso riportante per il continuo uso di forme ed espressioni
riconducibili ad un altro discorso. Essa viene definita “discorso altrui anticipato
e disseminato”36 e si avvicina alla
possibilità cercata da Volosinov di un discorso altrui riportato nella sua
interezza. Sempre su questa linea si colloca anche
Attraverso una critica delle posizioni della linguistica contemporanea, nelle quali evidenzia gli errori impliciti ad una concezione della lingua riconducibile all´oggettivismo astratto o al soggettivismo individualistico, Volosinov porta avanti una nuova interpretazione del fenomeno del discorso diretto improprio in linea con la concezione del linguaggio del circolo. Ecco un esempio in francese di discorso diretto improprio, dove in seguito sono segnalate le differenze fra i modi di trasmissione del discorso altrui:
Il protesta: “son père la haïssait !”
In discorso diretto sarebbe :
Il protesta et s´ècria: “Mon père te haït!”
In forma indiretta :
Il protesta et s´ècria que son père la haïssait.
In stile diretto improprio:
Il protesta: “son père, s´ècria-t-il, la haïssait !”38
Da un punto di vista puramente descrittivo il fenomeno del discorso diretto improprio si presenta come un ibrido. Il tono e l’ordine delle parole sono, infatti, quelli del discorso diretto, mentre i tempi e le persone sono quelli del discorso indiretto. Nell’esempio riportato si trova dunque accanto all’uso dell’imperfetto, segno distintivo del discorso indiretto, il punto esclamativo, segno distintivo del discorso diretto. Ma il problema di una nuova forma linguistica, quale appunto è il discorso diretto improprio, non è risolvibile come somma di due forme già esistenti. Così sfugge il suo carattere sociale (la sua realtà) e il suo essere vincolante per l’individuo non solo in quanto parlante ma anche in quanto cosciente.
Nel discorso diretto improprio deve essere cercata una “interrelazione assolutamente nuova fra discorso autoriale e discorso altrui”39 che, per lo stretto legame coscienza – linguaggio, comporta una mutata percezione attiva dell´individuo parlante. Questo, come nota Volosinov, presuppone un cambiamento nelle relazioni sociali. Bisogna, infatti, sempre tenere presente lo schema che va dalle forme dello scambio sociale alle forme della singola enunciazione. Ecco un altro esempio:
Der Konsul ging, die Hände auf dem Rücken, umher und bewegte nervös die Schultern.
Er hatte
keine Zeit. Er war bei Gott uberhäuft. Sie sollte sich gedulden und sich
gefälligst noch fünfzig mal
besinnen! (Th. Mann, Buddenbrooks).40
Non si può dire, seguendo la descrizione puramente astratta, che le forme grammaticali del secondo paragrafo servono le intenzioni dell´autore e l´ordine delle parole, il senso, serve l´intenzione dell´eroe. Lo specificum di questa forma consiste invece nel fatto che qui il discorso altrui non viene riprodotto dall’autore. Nella forma indiretta, infatti, il discorso altrui viene riprodotto o sul piano del contenuto (posizione semantica del parlante) o della forma (individualità del parlante), con gli esiti che sono già stati osservati. Qui invece, “nei limiti di una unica costruzione linguistica si conservano gli accenti di due voci orientate diversamente”, in essa “parlano subito sia l´eroe, sia l´autore”.41 La parola altrui è qui riconosciuta come tale solo attraverso le forme linguistiche, portatrice di una valutazione che viene a collidere con la valutazione dell’autore, fenomeno questo che Volosinov denomina “interferenza verbale”. E’ così trovata una trasmissione della parola altrui, nella quale questa si trova sullo stesso piano della parola autoriale ed è in grado di opporle resistenza e di attaccarla.
7. Nel quinto capitolo della monografia su Dostoevskij,42 il problema posto da Bachtin è lo stesso affrontato da Volosinov. Egli, infatti si chiede quali siano le caratteristiche del linguaggio che permettono all’autore (a Dostoevskij) di riportare la parola dell’eroe nella sua integrità, senza subordinarla al proprio discorso, ma in un rapporto di parità. Per poter trovare una risposta bisogna poi uscire dai confini della linguistica, alla quale sfuggono una intera serie di fenomeni legati all’uso del linguaggio. Secondo Bachtin esiste da un lato la parola direttamente referenziale, rivolta esclusivamente al suo oggetto. Dall’altro lato si trova invece la parola oggettivata, la quale è anche una parola rivolta esclusivamente verso il suo oggetto, ma è contemporaneamente oggetto di un’intenzione altrui, essa è subordinata al discorso di un altro, il quale la usa in funzione di tipizzazione o caratterizzazione. Esiste però anche una terza possibilità, la parola rivolta non solo verso il suo oggetto ma anche verso un’altra parola. In questo caso la parola possiede una doppia direzionalità, è bivoca. Solo la parola direttamente referenziale e la parola oggettivata possono essere studiate con i mezzi della linguistica e rientrano dunque nel suo campo. La parola bivoca invece esula da questi confini, e per essere compresa deve essere fatta oggetto di una nuova disciplina, la metalinguistica, che deve studiare i rapporti dialogici fra le varie enunciazioni.43 Bachtin propone uno schema di questi rapporti:
I. La parola diretta, immediatamente indirizzata sul suo oggetto, come
espressione dell’ultima istanza semantica di chi parla.
II. La parola oggettivata (parola del personaggio raffigurato).
1) Con prevalere di determinatezza socialmente tipica.
2) Con prevalere di determinatezza individualmente caratteriologica.
Entrambi: con diversi gradi di oggettività
III. Parola con orientamento sulla parola estranea (parola a due voci).
1) Parola a due voci monodirezionale.
a) Stilizzazione.
b) Racconto del narratore.
c) Parola non obiettiva del personaggio portatore (parziale) delle intenzioni dell’autore.
d) Ich-Erzählung.
In tutti i casi: diminuendo l’oggettività tendono alla fusione delle voci, cioè alla parola del primo tipo.
2) Parola a due voci multidirezionale.
a) Parodia con tutte le sue sfumature.
b) Racconto parodistico.
c) Ich-Erzählung parodistica.
d) Parola del personaggio raffigurato parodisticamente.
e) Qualsiasi trasmissione della parola estranea con variazione di accento.
In tutti i casi: diminuendo l’oggettività e l’attivazione della intenzione estranea si dialogizzano internamente e tendono alla divisione in due parole (due voci) del primo tipo.
3) Tipo attivo (parola estranea riflessa).
a) Polemica interna nascosta.
b) Autobiografia e confessione colorita polemicamente.
c) Qualsiasi parola che tenga presente la parola estranea.
d) Replica del dialogo.
e) Dialogo nascosto.
In tutti i casi: la parola estranea agisce dall’esterno; sono possibili le forme più varie
di rapporto reciproco con la parola estranea e diversi gradi della sua influenza
deformante.44
Su questo schema si fonda la opposizione fra parola monologica, nella quale rientrano sia la parola direttamente referenziale sia la parola oggettivata, e la parola dialogica, la parola a due voci. La posizione di Bachtin è molto vicina a quella di Volosinov, ma al contrario di questa è internamente contraddittoria. Bachtin, infatti, afferma in diversi passaggi che “la parola per sua natura è dialogica”,45 e il suo rapporto con la parola altrui è sempre determinante. Ma da questa prospettiva è inevitabile che III, 3 venga ad assorbire in sé tutte le precedenti varietà e tipi. Questo è, per esempio, evidente nel caso della descrizione che Bachtin offre della polemica nascosta:
Nella polemica nascosta la parola dell´autore è diretta sul suo oggetto, come qualsiasi altra parola, ma in questo ogni
affermazione sull´oggetto si costruisce in modo che, a parte il proprio senso oggettuale, colpisce polemicamente la
parola altrui sullo stesso tema, l´affermazione altrui sullo
stesso oggetto. Ma la parola diretta al suo oggetto si scontra nell´oggetto
stesso con la parola altrui. La stessa parola altrui non è riprodotta, ma solo
sottintesa, però tutta la struttura del discorso sarebbe assolutamente diversa
se non ci fosse questa reazione alla sottintesa parola altrui.46
Invece che confermare la validità di queste osservazioni tramite uno dei tanti esempi presenti nel quinto capitolo tratti da Dostoevskij, si può vedere come la descrizione della polemica nascosta sia adatta a qualsiasi tipo di enunciazione, applicandola al già citato discorso di Čičikov. La parola di Čičikov è diretta all´oggetto e il senso oggettuale è il racconto della sua vita. Contemporaneamente la parola di Čičikov è rivolta al generale Betriščev, il quale la determina tramite la sua posizione ideologica, la sua possibile valutazione. Si potrebbe dunque sostenere che la parola di Čičikov si scontra nell´oggetto con la parola del generale, la quale non è presente ma è sottintesa e determina dall’interno la struttura stessa del discorso di Čičikov. La posizione di Čičikov nei confronti del suo interlocutore non è naturalmente polemica, ma anzi, di ostentata sottomissione ma l´influenza della parola di Betriščev non è per questo minore: l´interlocutore, o meglio la relazione fra i parlanti, determina in ogni caso la struttura del discorso. Ne deriva che il discorso di Čičikov è, come il discorso che Bachtin definisce “internamente polemico”, una parola bivoca. Il termine parola bivoca perde così ogni sua specificità: ogni parola, indipendentemente dal tipo di rapporto che sussiste fra i parlanti (polemica, sottomissione, ...) è sempre rivolta contemporaneamente al suo oggetto e alla parola altrui ed è pertanto bivoca e dialogica. Una parola rivolta solo verso il suo oggetto, che non tiene conto dell’interlocutore, si rivela invece essere un’astrazione. Il racconto della sua vita da parte di Čičikov è condizionato dall´influenza del generale, e la struttura del discorso sarebbe assolutamente diversa se fosse rivolta ad un altro interlocutore, ma non bisogna per questo credere che esista una forma neutra, di grado zero, del racconto della vita. Anzi, partendo dalla posizione di Volosinov bisognerebe affermare che Čičikov stesso può esperire la propria vita solo tramite un determinato rapporto con il contesto, una situazione e un uditorio che, se non sono dati esternamente, devono essere assunti internamente. Quando pensiamo, infatti, noi ci rivolgiamo sempre, più o meno consapevolmente, ad un interlocutore immaginario.
L’errore che porta Bachtin ad una contraddittoria classificazione dei tipi di parola può adesso essere chiarito rivolgendo lo sguardo a Volosinov. Questi afferma in Marxismo e filosofia del linguaggio che la lingua della linguistica è un’astrazione dalla realtà della lingua. La linguistica prescinde dall’enunciazione e non può dunque pretendere di essere di alcun aiuto nella comprensione di questa. Bachtin sostiene invece che la lingua oggetto della linguistica sia un tipo della realtà della lingua. Conseguentemente egli dice da un lato che ogni parola è dialogica, essa si può formare solo in stretto rapporto con la parola altrui, in linea dunque con Volosinov, ma dall’altro egli evoca lo spettro di una parola monologica, direttamente referenziale. L’opposizione dialogico-monologico, posta in questi termini, si dimostra dunque falsa. Essa è però mantenibile in una accezione ristretta, strada questa seguita da Kristeva. Anche lei avverte che la nozione di una parola monologica, puramente denotativa, “non resiste all’analisi psicoanalitica e semantica del linguaggio”.47 Il concetto di parola monologica conserva però una validità soggettiva: la dialogicità “immanente” della parola può essere soffocata da un divieto, censurata. In questo caso il soggetto della narrazione crede di rivolgersi solo all’oggetto del discorso e rimane così inconsapevole di rivolgersi ad un interlocutore, in rapporto al quale la sua narrazione si struttura. La posizione di Kristeva può inoltre trovare dei riscontri nei testi stessi di Volosinov, che lei non conosceva. In diversi passaggi Volosinov, infatti, afferma, che le valutazioni espresse tramite le forme linguistiche rimangono sempre in un certo grado inconsce.48 Lo schema di Bachtin, anche se si accetta la riserva di Kristeva, deve essere ora rivisto. Perché esso risulti corretto è sufficiente eliminare I, la parola monologica, e collocare al suo posto III, 3. Qui è, infatti, correttamente posta la caratteristica, propria ad ogni enunciazione, di essere rivolta ad un interlocutore (la quale solo in un secondo momento può venire censurata), fatto questo che non era mai stato messo in dubbio da Volosinov. I tipi di parola II e III, 1, 2 sono invece perfettamente in linea con la terza parte di Marxismo e filosofia del linguaggio, dove appunto è affrontato il problema della parola riprodotta. La parola oggettivata (II) corrisponde alla variante analitico-verbale di trasmissione del discorso altrui. La parola a due voci monodirezionale e multidirezionale (III, 1, 2) sono invece un approfondimento del concetto di interferenza verbale di Volosinov, e della sua analisi del fenomeno del discorso anticipato e disseminato. Si arriva così ad un riscontro puntuale fra la posizione di Bachtin e quella di Volosinov. Anche dopo queste opportune modifiche rimane comunque un difetto nella concezione di parola bivoca di Bachtin, ovvero che a partire solo da essa non è possibile arrivare al riesame delle forme linguistiche, e a rilevare così il carattere interamente sociale della parola. Questo è reso evidente dalla nozione di intertestualità.
8. Kristeva sviluppa a partire dal IV capitolo di Dostoevskij la nozione di intertestualità.
Questa è riferita al fatto messo in evidenza da Bachtin che ogni parola (testo) nel suo costituirsi entra in relazione con le parole (testi) precedenti e con la parola (testo) sottintesa dell’interlocutore. Da questo punto di vista la parola si colloca all’incrocio non di soggetti (con la conseguente intersoggettività) ma di testi. Il testo letterario per esempio si trova sempre in stretto rapporto con altre opere e si “costruisce come mosaico di citazioni”.49 La nozione di intertestualità, che ha avuto una notevole fortuna nel campo della critica letteraria, si rivela però come una semplificazione, se viene allargata la prospettiva dal testo di Bachtin per comprendere i testi di Volosinov e Medvedev. Essa, infatti, permette di cogliere solo i rapporti fra enunciazione ed enunciazione, ma non il rapporto fra enunciazione e contesto della comunicazione, il quale, come dimostra Volosinov, non è esterno e meccanico, ma costitutivo, stabilito al livello delle forme linguistiche. Conseguentemente l’intertestualità non può rendere conto del carattere interamente sociale dell’enunciazione, il suo essere condizionata nel suo costituirsi dal contesto della comunicazione, e ad essa rimane preclusa la strada della poetica sociologica, ovvero il riesame della struttura dell’enunciazione artistica come struttura sociale, e dei generi artistici come strutture sociali stabili. Infine anche i rapporti fra enunciazione ed enunciazione sono comprensibili nella loro complessità solo dalla prospettiva del riesame delle forme linguistiche. L’enunciazione nell’enunciazione, il caso più importante di rapporto fra enunciazioni, è, infatti, un ottimo esempio di come le forme linguistiche, in questo caso le forme di riproduzione del discorso altrui, determinano tramite il loro rapporto con il contesto una valutazione del contenuto, in questo caso il discorso altrui stesso. In altre parole, l’enunciazione non può essere riportata senza essere automaticamente rivalutata come tema dell’enunciazione riportante. Questo può essere così esemplificato. Nella parodia l’autore riproduce il discorso altrui, il quale si rivela come tale solo tramite l’intonazione, la scelta delle parole e la disposizione. Contemporaneamente però le forme linguistiche del discorso riportato, che si rivolgono ad un determinato contesto, vengono deviate in direzione di un secondo contesto (quello dell’autore della parodia e del suo pubblico) tramite l’esagerazione o la sottolineatura di alcuni momenti formali. L’esito del rapporto con questo secondo contesto è una valutazione del discorso riportato, ovvero la sua derisione. Il problema della parola nella parola, la parola nella quale ci sono due voci, può dunque essere posto in termini precisi solo se esso non viene slegato dalla concezione del linguaggio del circolo, ma visto in stretto rapporto di complementarità con essa. Il non integrare la trattazione del problema data da Bachtin con le riflessioni di Volosinov e di Medvedev, ha invece come esito la perdita di quella che Friedrich definisce la parte più originale del lavoro del circolo, come è reso evidente dalla nozione di intertestualità.
note
1
Questo studio è apparso su “Moderna. Semestrale di teoria e critica della
letteratura”, 1, 2003, pp. 23-40.
2
I dati biografici a disposizione per un’eventuale attribuzione al solo Bachtin
dei lavori del circolo sono insufficienti.
Questa
si baserebbe, infatti, solo su alcune testimonianze orali dello stesso Bachtin,
(cfr. Vjačeslav V. Ivanov, “Značenie idej M. M. Bachtina o znake,
vyskazyvanii i dialoge dlja sovremennoj semiotiki”, Učenye zapiski
Tartuskogo Universiteta, Trudu po znakovym sistemam, 6, 1973, p. 44), il
quale del resto ha fornito in diverse occasioni versioni discordi (cfr. per
esempio Viktor D. Duvakin, Besedy V. D. Duvakina c M. M. Bachtinym,
Mosca, Izdatel’skaja gruppa “Progress”, 1996, p. 78). Non vedo dunque motivi
per riferirsi ai testi del circolo con nomi differenti a quelli apparsi sulla
copertina della prima pubblicazione. D’altra parte, la mia lettura e analisi
dei testi, come si vedrà, mi ha portato a rilevarvi delle differenze che non
sono semplicemente riconducibili al registro stilistico, ma all’impostazione e
soluzione dei problemi.
3
Lei pone affrettatamente all’inizio del suo saggio l’uguaglianza parola bivoca
– parola poetica. Il testo di Bachtin da
lei
trattato non permette invece nessuna conclusione in questa direzione. Cfr.
Julia Kristeva “La parola, il dialogo e il romanzo” in V. V. Ivanov, J.
Kristeva e altri, Michail Bachtin. Semiotica, teoria della letteratura e
marxismo, a cura di A. Ponzio, Bari, Dedalo Libri, 1977, p. 106.
4 Cfr. Janette Friedrich, Der
5
Cfr. Lev S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche,
a cura di L. Mecocci, Roma-Bari, Laterza, 1990.
6
Cfr. Jean Piaget, Le langage e le pensée chez l’enfant, Paris, Neufchatel,
1924, e Le jugement et le raisonnement chez
l’enfant, Paris, Neufchatel, 1923.
7 J. Friedrich, Der Gehalt der Sprache,
op. cit., p. 127: “Die Entwiklung des kindlichen Denkens verläuft nicht
vom
Individuellen
zum Sozialisierten, sondern vom Sozialen zum Individuellen.”
8
Cfr. Ernst Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, Firenze,
sostanzialmente
positiva di questa opera nello stesso testo Marxismo e filosofia del
linguaggio. Cfr. Valentin N.
Volosinov,
Marxismo e filosofia del linguaggio, a cura di G. Mininni, Lecce, Piero
Manni, 1999, p. 123n.
9
La negazione della possibilità di una lingua come realtà autonoma e indipente è
uno dei punti cardine sul quale
vergono
le riflessioni del circolo di Bachtin. Da questa prospettiva è necessario un
rinvio alle Philosophische Untersuchungen di Ludwig Wittgenstein, altro
testo dove questo tema è centrale. La critica ad ogni forma di ipostatizzazione
della lingua porta poi sia Wittgenstein, sia Volosinov (come si vedrà) alla
negazione dell’esistenza di un qualsivoglia “linguaggio privato”. Per il
concetto di linguaggio privato in Wittgenstein, cfr. Diego Marconi (a cura di),
Guida a Wittgenstein, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 202-12.
10
Qui si trova una chiara formulazione della concezione tradizionale all’interno
della tradizione filosofica occidentale
(da
Platone fino all’età moderna attraverso Leibniz e Hobbes) di linguaggio come
traduzione di pensiero. Essa si ritrova, per esempio, anche nel modello di
comunicazione sviluppato da Roman Jakobson, come nota Sylvain Auroux. Questo modello presuppone, infatti, che ci
siano sempre dei messaggi preesistenti da codificare (Cfr. Sylvain Auroux, Philosophie
du langage, Parigi, Presses Universitaires de France, 1996, pp. 22-30).
11 J. Friedrich, op. cit., p. 156:
“Das innere Erlebnis konstituiert sich im inneren von vornherein nur im Hinblik
auf seine
Objektivierung in der Interaktion, weshalb
Volosinov hier den Äusserungsbegriff verwendete. Die Ausdrucksfähigkeit
konstituiert
das psychische Erlebnis.”
12 Ibidem, p. 156. Come si vedrà,
questa critica può essere mossa alla nozione di intertestualità.
13 V. N. Volosinov, op. cit., p.
219.
14
Cfr. V. N. Volosinov “La costruzione dell’enunciazione”, in Il linguaggio
come pratica sociale, a cura di A. Ponzio,
Bari,
Dedalo, 1980, pp. 112-113. Il contesto non è sempre così angusto, dove
l’enunciazione può avere un senso
soltanto
per i partecipanti. Il contesto sul quale si basa un’enunciazione può, infatti,
allargarsi “sia nello spazio che nel
tempo: esistono dei „sottintesi“
[equivalente di contesto] che valgono per una famiglia, una tribù, una nazione,
una
classe, per dei giorni, per degli anni e per delle intere epoche. Man mano che questo
orizzonte comune ed il gruppo sociale ad esso corrispondente si allargano, gli
elementi sottintesi dell’enunciazione divengono sempre più costanti” (V. N. Volosinov “La parola nella vita e la parola
nella poesia” in Il linguaggio come pratica sociale, op. cit.,
pp. 31-32).
Questo
è il caso delle costruzioni ideologiche più complesse come leggi, arte e
filosofia.
15 Cfr. J. Friedrich, op. cit., 160.
16
Ecco il brano in questione:
Chinando
ossequiosamente la testa un po’ di lato, egli cominciò così: “Ho ritenuto mio
dovere presentarmi a Vostra Eccellenza. Nutrendo una speciale ammirazione per
l’eroismo degli uomini che hanno salvato la patria sul campo di battaglia, ho
ritenuto mio dovere presentarmi personalmente a Vostra Eccellenza.” Al
generale, come parve evidente, non spiacque un simile esordio. Accompagnandosi
con un più benevolo movimento del capo disse: “Molto felice di fare la
conoscenza. Vi prego di volervi accomodare. Dove avete prestato servizio?”
“Il
corso del mio servizio”, disse Čičikov sedendo in una poltrona non
nel bel mezzo, ma a sfuggir via, e si teneva stretto con la mano al bracciolo
della poltrona “ha avuto inizio nel dipartimento delle finanze,
Eccellenza. Successivamente mi ha
portato ad occupare vari uffici: sono stato presso il tribunale civile, sono
stato in una commissione edilizia, sono stato alla dogana. La mia vita si
potrebbe paragonare ad un vascello in mezzo ai flutti, Eccellenza. Nella
pazienza, direi quasi, sono stato avvoltolato insieme con le fasce: e pur essendo,
per così dire, la pazienza personificata... E quel che ho dovuto patire da
parte dei nemici, giunti al punto di attentare alla mia vita, questo non c’è
parola, né tinta e neppure, per così dire, pennello che sia capace di
esprimerlo, così che, sul declinare della mia vita, vado in cerca soltanto di
un angoletto dove mi sia possibile trascorrere i giorni che mi rimangono.” V.
N. Volosinov “La costruzione
dell’enunciazione”, in Il linguaggio come pratica sociale, op. cit.,
pp. 121-122.
17 J. Friedrich, op. cit., p. 160:
“Das heisst, Intonation, Wortwahl und Komposition stellen ausschliesslich eine
Beziehung zum Kommunikationskontext, zur
Situation und zum Auditorium her, in welchem das Gespräch mit einem bestimmten
Inhalt – und durch bestimmte Handlungsmotive seiner Teilnemer hervorgerufen –
stattfindet.”
18 Ibidem, p. 163: “Gehalt meint,
dass die Form dadurch einen Inhalt ‘determiniert’, dass sie diesen zu
einem anderen
Inhalt in Beziehung setzt, ohne einen
dieser Inhalte darzustellen.” Per il concetto di Gehalt Friedrich rinvia a: Georg
W. Hegel,
Wissenschaft der Logik, in Werke, 8, Frankfurt/M. 1986, Bd. 2, pp.
262-269; Hans-Peter Krüger, Kritik der kommunikativen Vernunft, Berlin,
Akademie-Verlag, 1990, p. 395, p. 464. Il termine Gehalt (o Formgehalt)
è di difficile resa in italiano. Nella traduzione italiana di Der
Wissenschaft der Logik (G. W. Hegel, Scienza della logica traduzione
di A. Moni, Roma-Bari, Laterza, 1988) esso è reso con sostanza (cfr. per
esempio p. 15), ma anche con valore (cfr. per esempio p. 777). Per questo ho
deciso di mantenere il termine tedesco. Sufficiente è evidenziare che
Friedrich, come Hegel, intende con Gehalt il contenuto proprio della
forma a differenza del contenuto come comunemente inteso. Ma, se in Hegel il Gehalt
si riferiva alle forme logiche del pensiero (il concetto, il giudizio e il
sillogismo), Friedrich lo riferisce invece alle forme linguistiche, e diventa
quindi il Gehalt der Sprache.
19
Cfr. Pavel N. Medvedev, Die Formale Methode in der Literaturwissenschaft,
a cura di H. Glück, Stuttgart, J. B
Metzlersche, 1976, p. 170.
20 V. N. Volosinov, Marxismo e filosofia
del linguaggio, op. cit., pp. 220-1.
21 Ibidem, p. 219.
22 Ibidem, pp. 219-20.
23
Il termine di enunciazione artistica permette di non perdere di vista le
implicazioni dalla prospettiva di estetica
generale
della concezione di letteratura. Questo aspetto gioca indubbiamente un ruolo
nel testo di Medvedev.
24
Sotto formalismo occidentale Medvedev intende i lavori di Karl Fiedler, Adolf
von Hildebrand, Heinrich Wöllflin,
August Schmarsow, Oskar Walzel e Aloïs
Riegl. Questi
autori spostarono l’attenzione della riflessione sull’arte dal contenuto
dell’opera d’arte alla sua struttura rappresentativa (la forma). Nel fare
questo essi, con riferimento a Kant, cercavano nell’arte una „schematizzazione
senza concetto“. Oggetto privilegiato delle loro riflessioni erano di volta in
volta la musica (Fiedler), le arti figurative (Hildebrand, Wöllflin) e la
letteratura (Walzel, Riegl). Guido Morpurgo-Tagliabue riassume in due punti la
loro posizione. Primo: l’affermazione del carattere costitutivo, creativo e non
imitativo delle forme spaziali. Secondo: la valorizzazione della forma in
funzione espressiva (cfr. G. Morpurgo-Tagliabue, L’esthétique contemporaine.
Une enquête, Milano, Marzorati éditeur, 1960, pp. 31-52). Per un’antologia
di testi dei sopranominati autori (altrimenti difficilmente reperibili), cfr.
Roberto Salvini, Pure visibilité et formalisme dans la critique d’art au
debút du XX siècle, Parigi, Editions Klincksieck, 1988.
25
Come già osservato sopra (nota 12), nel caso delle costruzioni ideologiche
complesse, come l’arte, non bisogna
ridurre
il contesto al contesto immediato.
26 P. N. Medvedev, Die Formale Methode
in der Literaturwissenschaft, op. cit., p. 12: “Bestimmte Formen der
sozialen
Interaktion sind für die
Bedeutungshaftigkeit der Kunstwerke selbst Konstitutiv”.
27 Ibidem, p. 174: “Jede Gattung
[besitzt] ihre eigenen Methoden, ihre eigenen Mittel zum Sehen und Verstehen
der
Wirklichkeit, die nur ihr allein zur
Verfügung stehen”.
28 Cfr. Tzvetan Todorov, Michaïl
Bakhtine. Le principe dialogique, Paris, Edition du Seuil, 1981, pp. 104-6.
29
Essi sono stati pubblicati in italiano con i titoli di “L’autore e l’eroe
nell’attività estetica” (in L’autore e l’eroe, a cura
di
C. Strada Janovič, Torino, Einaudi, 2000), Per una filosofia
dell’azione responsabile, traduzione di M. de Michiel, Lecce, Piero Manni,
1998, e “Il problema del contenuto, del materiale e della forma nella creazione
letteraria” (in Estetica e Romanzo, a cura di C. Strada Janovič,
Torino, Einaudi, 1997). Essendo l’intensa attività di gruppo del circolo da
collocare nella seconda metà degli anni venti si può parlare di periodi
relativamente distinti.
30
Cfr. per esempio M. M. Bachtin, “Il problema del contenuto...” in Estetica e
romanzo, op. cit., p. 13.
31
La distinzione in periodi dell’attività di Bachtin è comunemente accettata. Cfr. Caryl Emerson, The First Hundred
Years of Michail Backtin,
Martin Press, 2000, e id., The Master
and the Slave,
32 Cfr. T. Todorov, Michaïl Bakhtine. Le principe dialogique,
op. cit., p. 95.
33
Il tema è il contenuto dell’enunciazione. Con questo termine Volosinov vuole
sottolineare come solo l’enunciazione,
presa nella sua interezza, abbia un
contenuto.
34 Cfr. V. N. Volosinov, Marxismo e
filosofia del linguaggio, op. cit., pp. 257-258.
35 Ibidem, p. 263.
36 Ibidem, p. 265.
37 Volosinov preferisce questo termine a
quello più classico di stile indiretto libero. Cfr. ibidem, p. 273.
38 Ibidem, p. 273.
39 Ibidem, p. 275.
40
Ibidem, p. 279. “Il console camminava avanti e indietro con le mani
sulla schiena e muoveva nervosamente le spalle.
[...]
Lui non aveva tempo. Sa Iddio quanto era carico di lavoro. Lei doveva portar
pazienza e ripensarci su almeno cinquanta volte!” Thomas Mann, I Buddenbrook,
traduzione di M. C. Minicelli, Roma, Biblioteca Economica Newton, 1992, p. 236.
41 Ibidem, p. 276.
42 Cfr. M. M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, a cura di G.
Garritano, Torino, Einaudi, 1968. Questa edizione è
notevolmente
ampliata rispetto alla prima del 1929. Nondimeno rimane una contiguità rispetto
alle riflessioni di Medvedev e Volosinov. Anzi, i capitoli primo, secondo e
terzo possono essere letti come un’applicazione della poetica sociologica, come
delineata sopra a partire da Medvedev. Qui, infatti, Bachtin porta avanti la
tesi che l’importanza di Dostoevskij consiste nell’avere sviluppato un nuovo
genere letterario. Questo genere, definito polifonico, gli permette di cogliere
nuovi aspetti della realtà, sconosciuti fino ad allora alla rappresentazione
artistica. La vicinanza con la definizione di genere di Medvedev è evidente,
come si vede anche dal brano seguente: “la forma artistica, correttamente
intesa, non organizza un contenuto già trovato e pronto, ma per la prima volta
permette di trovarlo e di vederlo” (ibidem, p. 62). La capacità da parte
del nuovo genere di cogliere determinati aspetti della realtà implica del resto
che altri momenti gli rimangano estranei. Goethe assume qui un interessante
ruolo di complementarità. Egli è per Bachtin l’artista che è riuscito a
cogliere il divenire, mentre la visione artistica di Dostoevskij è legata alla
simultaneità: in essa è dominante il piano orizzontale a scapito del piano
verticale. Da qui il circolo vizioso nel quale i personaggi di Dostoevskij
cadono, come è dimostrato nel caso dell’uomo del sottosuolo o di Raskol’nikov.
Ad essi rimane precluso ogni reale sviluppo e da questa prospettiva si può
dunque parlare di un anti-Bildungsroman. Ma qual’è la nuova realtà che
diventa afferrabile tramite la rappresentazione artistica nel genere
polifonico? Essa, Bachtin dice, è la coscienza umana in stretta interrelazione
e interdipendenza con le altre coscienze, con la società. In altre parole, il
tema del genere polifonico, inteso come parte della realtà oggetto
dell’enunciazione, è la coscienza umana sul piano dell’orizzontalità, nel
momento del suo dialogo e della sua lotta con le altre coscienze. Volendo
razionalizzare si potrebbe affermare che nelle opere di Dostoevskij si trova
una sociologia della coscienza, dove questa è però data in mezzi squisitamente
artistici, non nella forma di una riflessione ma attraverso il genere. Cfr. ibidem, p. 31.
43
Cfr. ibidem, p. 240.
44
Ibidem, pp. 258-59.
45
Ibidem, p. 237.
46 Ibidem, p. 253.
47
J. Kristeva, “La parola, il dialogo e il romanzo” in V. V. Ivanov, J. Kristeva
e altri, Michail Bachtin, op. cit., p. 118.
48
Cfr. per esempio V. N. Volosinov “La parola nella vita e la parola nella
poesia” in Il linguaggio come pratica sociale,
op. cit., pp. 32-33.
49
J. Kristeva, “La parola, il dialogo e il romanzo” in V. V. Ivanov, J. Kristeva
e altri, Michail Bachtin, op. cit., p. 108.