Pubblichiamo il testo della relazione
tenuta da Carlo Vita presso la Biblioteca di Rapallo nell’ambito del “Sabato in
Biblioteca” dedicato al tema Pound, Marinetti e Saviotti: Il Supplemento
letterario de “Il Mare” (12 aprile 2008).
Altri relatori: Massimo Bacigalupo e Aureliana Strulato.
Carlo Vita
Futurismo
a Rapallo
Anni Trenta, secondo futurismo. Non mi ricordo mai come si definiscono gli anni Trenta del secolo scorso. Furono “fantastici” come gli anni Sessanta? Io li ho vissuti entrambi, i primi da bambino e ragazzino, e devo dire che mi divertirono molto. Quanto agli anni Sessanta, avevo l’età giusta per trovarli davvero fantastici.
Però mi ricordo negli anni Trenta le tristezze del ritorno dalle guerre d’Africa e di Spagna di due mie zii soldati, che andavo a trovare all’ospedale, uno con le pulci penetranti prese in Etiopia, che gli mangiavano i piedi, e l’altro con un braccio perso a Guadalajara per una pallottola dum-dum.
Ma lasciamo da parte le tristezze dell’altra faccia della medaglia, e diamo un’occhiata locale, ligure, al secondo futurismo degli anni Trenta del Novecento, non meno tristi dei precedenti a rivederli con l’occhio storico, ma anch’essi tutto sommato fantastici e allegri, sempre per chi si sia trovato nelle circostanze giuste per goderseli.
Anche, e specialmente, a Rapallo. Se penso alle memorie che ci ha lasciato, con Ieri a Rapallo, Giuseppe Bacigalupo, che ho incontrato molto prima di conoscere suo figlio, l’amico Massimo, mi convinco che la realtà, la vita, è meglio guardarla, anzi ricordarla, con ottimismo, per poter continuare a viverla decentemente. Benché Giuseppe Bacigalupo, che era un ottimo medico, avesse occasione di vederne anche i lati più sgradevoli.
Se ricordo bene, nel libro del dottor Bacigalupo, denso di intelligenti rievocazioni culturali, non si accenna mai a eventi e personaggi legati al futurismo, ed è un peccato, perché certamente egli avrebbe saputo darcene resoconti divertenti e spiritosi. Per esempio, sulla Serata d’Arte futurista che si tenne a Rapallo il 18 aprile 1934, organizzata dal locale Istituto Fascista di Cultura nel Teatro Reale, presente sul palco il fondatore del futurismo, Filippo Tommaso Marinetti e, tra il folto pubblico, Ezra Pound e Gerhart Hauptmann. Marinetti tenne una conferenza su Aeropoesia, aeropittura, aeromusica, declamando poi aeropoesie in italiano e francese, tra le quali il suo Bombardamento di Adrianopoli. Seguirono le Sintesi musicali eseguite al pianoforte dall’autore, il maestro Aldo Giuntini, attivissimo futurista toscano, che fu poi protagonista, fra il 1934 e il 1935, delle iniziative musicali in occasione della grande Mostra nazionale di plastica murale di Genova. Giuntini fu anche coautore, assieme a Marinetti, del Manifesto futurista dell’aeromusica e autore in proprio del Manifesto dell’aeromusica sintetica.
Il prefisso aero è ricorrente nel lessico futurista, e ripropone in ogni contesto il mito della macchina, della velocità e il culto dell’aeroplano, simbolo della modernità. Tant’è vero che la “serata futurista” di Chiavari del 22 novembre 1931 si chiuse con un memorabile aeropranzo futurista (non so se ce ne fu uno anche alla serata di Rapallo), in cui fu servito un menù di aerovivande motoristiche che comprendeva come antipasto un “timballo d’avviamento” seguito da un brodo “decollapalato”, e poi da “bue in carlinga”, “elettricità atmosferiche candìte” e altre aeroportate, fino al finale “ammaraggio digestivo”.
Come si vede, l’elemento ludico, se non addirittura farsesco, è sempre presente nel futurismo, e ne riscatta in qualche modo gli atteggiamenti polemici e bellicistici, la pars destruens, come la chiama Stefano Verdino, la voglia di distruggere la vecchia cultura egemone. Le “serate futuriste” erano motivo di discussioni roventi, di lanci di ortaggi e qualche volta persino di risse che finivano a cazzotti, ma soprattutto di chiassate, schiamazzi e risate, per cui erano gremitissime, attiravano folle filistee desiderose di spassarsela per qualche ora con le declamazioni ed esecuzioni spesso bislacche degli imperterriti autori d’avanguardia.
Buona parte di queste notizie le ho ricavate da una preziosa fonte: il volume Futurismo in Liguria, curato da Franco Ragazzi, ampiamente illustrato da immagini spesso inedite, consultabile anche alla Biblioteca di Rapallo.
Credo valga la pena di accennare ad alcuni dei molti temi trattati nel libro:
- i ricordi di Vittoria Marinetti in Liguria con la mamma Benedetta e col padre Filippo Tommaso. Marinetti fu molto legato a questa regione, aveva studiato all’Università di Genova e passò molte estati sul mar ligure, specialmente a Levanto, dove aveva affittato una villa, ma anche a Oneglia, Diano Marina, Sanremo, Albisola, La Spezia, Lerici, Santa Margherita e Rapallo. Va sottolineato che nell’Alcova d’acciaio, “romanzo vissuto” pubblicato da Marinetti nel 1921, un capitolo è intitolato proprio: Gli equipaggi della luna sbarcano a Rapallo, con una festa orgiastica di soldati mutilati in un “Casino delle Delizie”;
- il rapporto tra Marinetti e la Liguria, regione che si conferma ricca di personalità futuriste, come Alf Gaudenzi (di cui sono stati recentemente ristampati a Genova dalla galleria Il Vicolo di Piera e Ambra Gaudenzi alcuni bellissimi disegni degli anni Trenta), Tullio d’Albisola, autore dei “libri di latta”, Fillia, i fratelli Giovanni e Gian Maria Cominetti, fondatori del “Gruppo futurista genovese”, e il savonese Farfa, (che avendo vinto il primo “Circuito nazionale di poesia futurista”, fu incoronato Poeta Record Nazionale con casco lirico d’alluminio a bordo di un idrovolante, “a 1000 metri in idrocorsa”). La presenza di Marinetti e della sua incontenibile vitalità in Liguria, nel periodo delle manifestazioni futuriste, è singolarmente assidua: pare sia documentata ben 115 volte!
- l’architettura futurista nel Tigullio, particolarmente con tre realizzazioni: la Colonia Fara di Chiavari di Camillo Nardi Greco (1935/36), la Colonia Burgo di Moneglia (1936/38) e la Casa del Fascio di Rapallo di Luigi Vietti (1938/41). La colonia Fara aveva dei grandi murali futuristi di Demetrio Ghiringhelli dedicati alla “potenza militare italiana in mare, cielo e terra”; la colonia Burgo era decorata con altri murali e mosaici di Guglielmo Sansoni. Sono tutti perduti, ma ci restano le fotografie. Esistono tuttora, invece, a Rapallo, alcuni dei bassorilievi di Guido Galletti, autore più tardi del famoso “Cristo degli Abissi”;
- i rapporti abbastanza complicati tra il futurismo di Marinetti e il vorticismo di Pound, documentati da Massimo Bacigalupo.
Al futurismo dedicò più pagine in vari numeri il sempre attento e combattivo “Supplemento letterario” quindicinale del Mare, voluto da Pound, che uscì tra l’agosto del 1932 e il luglio del 1933.
“Noi tutti siamo futuristi – scriveva Pound nel numero del 18 febbraio 1933 – sino al limite di credere con Guglielmo Apollinaire che On ne peut pas porter partout avec soi le cadavere de son père. Ma il ‘futurismo’ quando s’applica all’arte e, per la maggior parte, un discendente dell’impressionismo: una specie di impressionismo accelerato”. E aggiungeva nel numero del 18 marzo: “E’ un’arte di superficie od estensiva, come opposta al vorticismo che è intensivo. Il vorticista non ha questa curiosa mania di distruggere le glorie passate. Non dubito che l’Italia avesse bisogno di Marinetti, ma egli non ha covato l’uovo da cui son nato”.
Nel 1932 il Supplemento indisse un concorso, il “Premio Rapallo”, riservato agli scrittori italiani, per una novella. Unico componente della giuria: Sua Eccellenza l’Accademico d’Italia F.T. Martinetti, che avrebbe deciso, con giudizio “inappellabile”, il vincitore. Che fu un certo Francesco Orlando, romano, con la novella, immancabilmente futurista anche nel titolo simultaneo: Donna-auto, che sconfisse concorrenti di (futuro) calibro come Francesco Jovine e Mario Tobino. L’Orlando poi scomparve dalle patrie lettere (non lo dico io, lo dice Verdino, che se ne intende, nella prefazione alla ristampa del Supplemento letterario – nel 1999, a cura del Comune di Rapallo), ma pubblicò anche più avanti su quel foglio alcune liriche, in cui ho ritrovato lo stile obsoleto di uno scrittore di allora altrettanto scomparso, Raniero Nicolaj, che ho conosciuto personalmente perché era un ex compagno di prigionia di mio padre nella prima guerra mondiale. Orlando lo giudicava uno dei migliori poeti italiani dell’epoca, come dichiara nel numero 11 del Supplemento , dove lo affianca a Marinetti, ma anche a Gozzano, Palazzeschi, Govoni e Ungaretti.
La novella di Orlando non è gran che, secondo me, ma rispecchia l’atteggiamento tipico dei futuristi nei confronti della donna, esplicitato sin dal Manifesto del 1909. Il protagonista, pittore, si innamora di Alba Maria, una abilissima chauffeuse (il chauffeur al femminile nel francese di moda all’epoca). Se ne innamora perché “si veste della sua macchina”, allo stesso modo in cui le altre donne si abbigliano di abiti, diremmo noi, sexy .
Un viso di donna vestito d’un’ondata
d’acciaio vetri liquidi scomposti si proiettò oltre di me con la rapidità di un
cavallone verdazzurro fosforescente d’esplosioni di faune elettriche di un
girandolare pirotecnico di comete…
… Essa veniva da me, subito dopo aver
arrestato la macchina, dopo essersi fermata, e nella mia stanza portava come un grande strascico il tumulto del
mondo distrutto e creato dalla sua velocità...
…Eccola eccola ancora vestita dei suoi
merletti di velocità tra fluide raggiere di pugnali di vetri…
Poi il rapporto si guasta, il pittore comincia a non vedere più Alba Maria come veloce donna-auto. Succede quando, borghesemente:
…Volle uscire con me, camminare lentamente
tra la folla...
Il pittore si disamora, tanto più che, ora, i medici le hanno scoperto una brutta malattia. La “macchina”, insomma, si è rotta:
…Alba Maria non potrà più correre!...
La sposerà ugualmente, siamo negli anni Trenta, un gentiluomo non può tirarsi indietro (e qui l’anticonvenzionalità futurista va a farsi benedire), ma, finisce il racconto:
… Io non potrò mai più prenderla!..
I
futuristi volevano cambiare il mondo, ma il loro atteggiamento nei confronti
delle donne era purtroppo disastrosamente tradizionale, come quello, del resto,
di altri movimenti rivoluzionari. Ricorderò che il compositore Giuntini, al
quale ho accennato prima, firmatario anche del Canzoniere futurista amoroso e guerriero, riassumeva il rapporto tra i sessi
nell’equazione: l’uomo sta alla guerra
come la donna sta all’amore.
L’anno dopo (1933), esce comunque un Supplemento speciale femminile del Mare, il numero 16, quasi tutto dedicato al futurismo. Femminile perché una donna, la moglie di Marinetti, Benedetta, ha scritto un “romanzo cosmico in forma teatrale”, ovviamente futurista, Viaggio di Gararà. E’ il marito stesso, abilissimo operatore culturale e promotore di sé e famiglia, a presentare opera e autrice ai lettori, in una lettera a Ezra Pound, pubblicata:
…Benedetta si manifesta femminile per
l’immediatezza della sua arte, la velocità delle intuizioni, la varietà delle
grazie sfumature eleganze, ma virile, senza brutalità, nella potenza di sintesi
che militarizza la più ondeggiante tentacolare e fluida delle sensibilità.
Costringendola ad una verbalizzazione
precisa tagliente geometrica senza frange né sbavature. Benedetta supera
genialmente il suo sesso.
E qui avrete già capito dove andiamo a parare. Benedetta scrive bene come un uomo….Nella stessa lettera, Marinetti contrappone l’elemento maschio costruttivo semplificato ed eroico (“che ha un nome glorioso, il Fascismo”), all’elemento femminile contemplativo, idolatra di libertà ed uguaglianza, parlamentarismo radico-socialista e pessimismo diplomatico pacifista (che corrisponde evidentemente alle decadenti democrazie pluto-giudaico-massoniche). Amen.
Non
ho letto Viaggio di Gararà, ma solo brevissimi passi, pubblicati come
“scampoli” sul Supplemento,
e me ne scuso. Non so quindi darvi un sunto e un giudizio del contenuto.
Cercherò di sintetizzare due pareri contrastanti, pubblicati entrambi dal
periodico rapallese.
Lina
Caico, nelle sue “Impressioni borghesi”,
dice: avevano detto che è
futurista. Invece è un bel
libro!...borghesemente mi compiaccio che in questo lavoro il legame con la
tradizione sia così saldo....Più che un romanzo cosmico, è una favola
metafisica….. Il libro di Benedetta è
fatto senza risparmio, la creazione vi è profusa: è denso d’azione, folto
d’idee… Il viaggio di Gararà è il nostro. La forma teatrale felicemente riduce
la storia alla espressione essenziale: i
posti, le persone, quel che fanno e quel che dicono, semplice e serrato, senza
ricami e svolazzi.
Di parere opposto è l’autorevole collaboratore Juan Ramón Masoliver, lettore di spagnolo all’Università di Genova: Il tono forzato, da veggente – enfatico quindi – dei dialoghi, benché partito verso la profondità, resta nel campanuto stile spagnolesco e non è neanche buono a nascondere la tesi che - quale nei romanzi francesi di sessant’anni fa – sembra essere la sola preoccupazione dell’Autrice. Astrazione ed enfasi cercano qui un ritmo che non torna e sotto il simbolico lasciano spuntare un sentimentalismo malinconico ad uso di lettrici di Le Petit Parisien.
Per Masoliver il romanzo cade a un certo punto addirittura “nel peggiore Marinettismo” e finisce “nella deliquescenza casalinga tipo Brocchi”.
Sono andato a vedere se nei numeri successivi del Supplemento qualcuno avesse replicato a questo drastico giudizio negativo, ma non ho trovato niente. Silenzio assoluto, non se ne parla più.