le voci che corrono
bentornato Marx
Diego Fusaro,
Minima Mercatalia,
Bompiani 2012
La
modernità è anche la storia del nesso di tensione, adattamento e contrasto tra
la filosofia e l’assolutizzazione del mercato in cui si condensa lo spirito del
capitalismo. Sulle orme di Hegel e di Marx, il libro delinea una fenomenologia dello spirito del
capitalismo condotta sui due piani della storia della modernità e delle
principali figure del pensiero che l’hanno animata. Massima alienazione
dell’uomo rispetto alle proprie potenzialità ontologiche, l’odierno monoteismo
del mercato è la prima società in cui regna sovrano il principio metafisico
dell’illimitatezza, il “cattivo infinito” della norma dell’accumulazione
smisurata del profitto a scapito della vita umana e del pianeta. In questo
scenario, la filosofia resta il luogo del rischio assoluto: infatti, essa è il
luogo della possibile resistenza al nichilismo della forma merce e, insieme,
della sua eventuale legittimazione in stile postmoderno. L’editore
… Da poche settimane è in libreria
il suo nuovo lavoro, “Essere senza tempo”, edito sempre da Bompiani.
Cambia
l”oggetto della sua analisi: il tempo. Nel sottotitolo si legge “accelerazione
della storia e della vita”. Detto ciò, come nasce questo volume?
“Essere senza tempo” nasce come provocatoria rideclinazione
del titolo di quella che resta, probabilmente, l’opera filosofica più
importante del 900: “Essere e tempo” di Martin Heidegger.
Il libro muove da un problema apparentemente banale e al tempo stesso
ubiquitario, che ci riguarda tutti: perché siamo sempre senza tempo per fare
ciò che dovremmo o vorremmo fare? Perché siamo costretti a convivere con la
fretta in ogni istante della nostra vita? Il sottotitolo chiarisce appunto i
motivi di questo “essere-senza-tempo” a cui siamo
condannati: la storia e la vita hanno subito una accelerazione, i tempi del
mondo e quelli dell’esistenza si sono dissociati. Il mondo va troppo in fretta
e ci impone la sua temporalità vertiginosa, obbligandoci a sincronizzare le
lancette della nostra vita. Nelle mie analisi, mostro come questa costellazione
concettuale di accelerazione della storia e fretta della vita nasca nel XVIII
secolo e sia il frutto, per un verso, della passione illuministica per un
futuro “rischiarato” in nome del quale occorreva sacrificare il presente
superandolo a ritmi accelerati (in una vera e propria “dialettica
del’impazienza”) e, per un altro verso, dei due eventi interconnessi della
Rivoluzione industriale e di quella francese, che segnarono appunto la
velocizzazione della sequenza storica, producendo sempre più eventi in un lasso
di tempo sempre più contratto. Tutto questo, secondo modalità che ho
ricostruito nel libro, andò a incidere sull’esistenza dei soggetti,
costringendoli appunto a vivere nella fretta. La nostra situazione oggi è
uguale e, al tempo stesso, diversa: uguale, perché come i nostri antenati
illuministi continuiamo a vivere nella fretta e a “essere-senza-tempo”;
diversa, perché questa fretta non ha più come orizzonte di riferimento la
dimensione di un futuro diverso e migliore, in nome del quale allungare il
passo. Dal 1989, con il crollo del Muro di Berlino, il futuro come orizzonte
progettuale si è estinto: non viviamo più in nome del futuro, ma in nome del
presente stesso, che tende a farsi intrusivo, totale, onnipresente, eterno. La
freccia del tempo storico pare essersi bloccata lungo il suo tragitto: la
storia stessa, con il suo incessante fluire, sembra essersi improvvisamente congelata.
Questa eternizzazione del presente si accompagna a
una raggelante desertificazione dell’avvenire (dal futuro non ci attendiamo
nulla di nuovo, se non il presente stesso e, nella peggiore delle ipotesi,
terrorismo e calamità). E non di meno continuiamo ad affrettarci. È questa
l’assurdità del nostro tempo, il suo massimo paradosso. Non c’è più una mèta
futura e, non di meno, continuiamo a correre. Verso dove? A che serve questa
fretta carica di presente? Il segreto del nostro postmoderno “nichilismo della
fretta” sta in un sistema di produzione - quello capitalistico - che deve
garantire efficientismo, produttività, profitti sempre più rapidi e al tempo
stesso non ha più bisogno del futuro, e deve anzi scongiurarlo come possibilità
del diverso, dell’essere-diversamente-da-come-si-è.
Rimozione del futuro e fretta esistenziale e produttiva possono così
enigmaticamente convivere nel quadro di un’epoca che ha smesso di credere a Dio
ma non al Mercato. Come si vede, Essere senza tempo è uno sviluppo, sub specie temporis, delle tematiche di Bentornato Marx!,
e in particolare delle perverse logiche del “tardo capitalismo”. … http://www.ilrecensore.com/wp2/2010/12/la-filosofia-di-diego-fusaro-conversazione-con-lautore/
(2 dicembre 2010)
§
Diego Fusaro,
Bentornato Marx,
Bompiani, 2009
Gianni Vattimo: Benscavato vecchio Karl!
Ricordate la battuta di qualche anno, o decennio, fa: «Dio è morto, Marx è morto, e anch’io non mi sento troppo bene»? Ebbene
forse possiamo cancellarla definitivamente. Dio se la cava ancora egregiamente,
nonostante i dubbi alimentati dalle condotte scandalose dei suoi ufficiali
rappresentanti in terra; e Marx è ormai largamente
risuscitato per merito del palese fallimento del suo nemico storico, il
capitalismo occidentale, salvato solo dalle misure «socialiste» dei governi
liberali dell’Occidente. Ad annunciare con freschezza (e audacia) giovanile il
ritorno di Marx è uno studioso torinese emigrato
temporaneamente al San Raffaele di Milano, dottorando sotto la saggia guida di
Giovanni Reale, un accademico non uso a coltivare giovani ingegni sovversivi.
Bentornato Marx !, con il punto esclamativo, è il
titolo dell’affascinante libro di Diego Fusaro uscito
presso Bompiani (pp. 374, e 11,50). Il libro ha il difetto di portare una
dedica al sottoscritto, che ha avuto la ventura di essere tra i professori
torinesi presso i quali ha studiato l’autore. Ma ne posso parlare senza pudore
perché, a parte l’affettuosa dedica, di mio nel libro non c’è niente, credo
nemmeno una citazione; il che può ben valere come garanzia: sia della serietà
del lavoro, sia dell’assenza di qualunque conflitto di interesse in questa
recensione. Anzitutto, ci voleva la passione e il coraggio di uno studioso
giovane per affrontare l’impresa di una ripresentazione complessiva del
pensiero di Marx; non tanto perché ancora agli occhi
di molti Marx sembra essere un argomento tabù. Ma
soprattutto perché bisognava fare i conti con una bibliografia sterminata di
studi critici, di interpretazioni anche politicamente contrastanti, senza
metterli semplicemente da parte come se fosse possibile tornare al «vero Marx» saltando la storia della fortuna e sfortuna dei suoi
testi; e senza, d’altra parte, farsi travolgere dalle discussioni tra gli
interpreti, producendo un ennesimo studio in cui Marx
risulta oscurato da uno dei tanti ritratti che pretendono di rappresentarlo. Fusaro è riuscito egregiamente a evitare i due rischi, e ha
raccontato con chiarezza e vivacità vita e dottrina di Marx
prendendo anche francamente posizione su tante questioni interpretative
presenti nella vasta letteratura che cita e discute nelle note. Uno dei temi
ricorrenti nel libro è quello del rapporto tra Marx e
il marxismo. Ma, dice Fusaro, l’opera di Marx è stata sempre un cantiere aperto - anche il Capitale
è un libro incompiuto; e pretendere di cercare una verità originaria di Marx è sempre stata solo la tentazione dei dogmatismi che
hanno creduto di richiamarvisi anche in connessione
con politiche di dominio. Dogmatismo è anche parlare di un socialismo
«scientifico»… “La Stampa-TTL”, 23 gennaio 2010