le voci che corrono

 

 

 

bentornato Marx

 

Diego Fusaro, Minima Mercatalia, Bompiani 2012

La modernità è anche la storia del nesso di tensione, adattamento e contrasto tra la filosofia e l’assolutizzazione del mercato in cui si condensa lo spirito del capitalismo. Sulle orme di Hegel e di Marx, il libro delinea una fenomenologia dello spirito del capitalismo condotta sui due piani della storia della modernità e delle principali figure del pensiero che l’hanno animata. Massima alienazione dell’uomo rispetto alle proprie potenzialità ontologiche, l’odierno monoteismo del mercato è la prima società in cui regna sovrano il principio metafisico dell’illimitatezza, il “cattivo infinito” della norma dell’accumulazione smisurata del profitto a scapito della vita umana e del pianeta. In questo scenario, la filosofia resta il luogo del rischio assoluto: infatti, essa è il luogo della possibile resistenza al nichilismo della forma merce e, insieme, della sua eventuale legittimazione in stile postmoderno. L’editore

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Diego Fusaro, Essere senza Tempo, Bompiani 2010

Stefano Giovinazzo: La filosofia di Diego Fusaro. Conversazione con l’autore

Da poche settimane è in libreria il suo nuovo lavoro, “Essere senza tempo”, edito sempre da Bompiani.Cambia l”oggetto della sua analisi: il tempo. Nel sottotitolo si legge “accelerazione della storia e della vita”. Detto ciò, come nasce questo volume?
“Essere senza tempo” nasce come provocatoria rideclinazione del titolo di quella che resta, probabilmente, l’opera filosofica più importante del 900: “Essere e tempo” di Martin Heidegger. Il libro muove da un problema apparentemente banale e al tempo stesso ubiquitario, che ci riguarda tutti: perché siamo sempre senza tempo per fare ciò che dovremmo o vorremmo fare? Perché siamo costretti a convivere con la fretta in ogni istante della nostra vita? Il sottotitolo chiarisce appunto i motivi di questo “essere-senza-tempo” a cui siamo condannati: la storia e la vita hanno subito una accelerazione, i tempi del mondo e quelli dell’esistenza si sono dissociati. Il mondo va troppo in fretta e ci impone la sua temporalità vertiginosa, obbligandoci a sincronizzare le lancette della nostra vita. Nelle mie analisi, mostro come questa costellazione concettuale di accelerazione della storia e fretta della vita nasca nel XVIII secolo e sia il frutto, per un verso, della passione illuministica per un futuro “rischiarato” in nome del quale occorreva sacrificare il presente superandolo a ritmi accelerati (in una vera e propria “dialettica del’impazienza”) e, per un altro verso, dei due eventi interconnessi della Rivoluzione industriale e di quella francese, che segnarono appunto la velocizzazione della sequenza storica, producendo sempre più eventi in un lasso di tempo sempre più contratto. Tutto questo, secondo modalità che ho ricostruito nel libro, andò a incidere sull’esistenza dei soggetti, costringendoli appunto a vivere nella fretta. La nostra situazione oggi è uguale e, al tempo stesso, diversa: uguale, perché come i nostri antenati illuministi continuiamo a vivere nella fretta e a “essere-senza-tempo”; diversa, perché questa fretta non ha più come orizzonte di riferimento la dimensione di un futuro diverso e migliore, in nome del quale allungare il passo. Dal 1989, con il crollo del Muro di Berlino, il futuro come orizzonte progettuale si è estinto: non viviamo più in nome del futuro, ma in nome del presente stesso, che tende a farsi intrusivo, totale, onnipresente, eterno. La freccia del tempo storico pare essersi bloccata lungo il suo tragitto: la storia stessa, con il suo incessante fluire, sembra essersi improvvisamente congelata. Questa eternizzazione del presente si accompagna a una raggelante desertificazione dell’avvenire (dal futuro non ci attendiamo nulla di nuovo, se non il presente stesso e, nella peggiore delle ipotesi, terrorismo e calamità). E non di meno continuiamo ad affrettarci. È questa l’assurdità del nostro tempo, il suo massimo paradosso. Non c’è più una mèta futura e, non di meno, continuiamo a correre. Verso dove? A che serve questa fretta carica di presente? Il segreto del nostro postmoderno “nichilismo della fretta” sta in un sistema di produzione - quello capitalistico - che deve garantire efficientismo, produttività, profitti sempre più rapidi e al tempo stesso non ha più bisogno del futuro, e deve anzi scongiurarlo come possibilità del diverso, dell’essere-diversamente-da-come-si-è. Rimozione del futuro e fretta esistenziale e produttiva possono così enigmaticamente convivere nel quadro di un’epoca che ha smesso di credere a Dio ma non al Mercato. Come si vede, Essere senza tempo è uno sviluppo, sub specie temporis, delle tematiche di Bentornato Marx!, e in particolare delle perverse logiche del “tardo capitalismo”. … http://www.ilrecensore.com/wp2/2010/12/la-filosofia-di-diego-fusaro-conversazione-con-lautore/ (2 dicembre 2010)

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Diego Fusaro, Bentornato Marx, Bompiani, 2009

Gianni Vattimo: Benscavato vecchio Karl!
Ricordate la battuta di qualche anno, o decennio, fa: «Dio è morto, Marx è morto, e anch’io non mi sento troppo bene»? Ebbene forse possiamo cancellarla definitivamente. Dio se la cava ancora egregiamente, nonostante i dubbi alimentati dalle condotte scandalose dei suoi ufficiali rappresentanti in terra; e Marx è ormai largamente risuscitato per merito del palese fallimento del suo nemico storico, il capitalismo occidentale, salvato solo dalle misure «socialiste» dei governi liberali dell’Occidente. Ad annunciare con freschezza (e audacia) giovanile il ritorno di Marx è uno studioso torinese emigrato temporaneamente al San Raffaele di Milano, dottorando sotto la saggia guida di Giovanni Reale, un accademico non uso a coltivare giovani ingegni sovversivi. Bentornato Marx !, con il punto esclamativo, è il titolo dell’affascinante libro di Diego Fusaro uscito presso Bompiani (pp. 374, e 11,50). Il libro ha il difetto di portare una dedica al sottoscritto, che ha avuto la ventura di essere tra i professori torinesi presso i quali ha studiato l’autore. Ma ne posso parlare senza pudore perché, a parte l’affettuosa dedica, di mio nel libro non c’è niente, credo nemmeno una citazione; il che può ben valere come garanzia: sia della serietà del lavoro, sia dell’assenza di qualunque conflitto di interesse in questa recensione. Anzitutto, ci voleva la passione e il coraggio di uno studioso giovane per affrontare l’impresa di una ripresentazione complessiva del pensiero di Marx; non tanto perché ancora agli occhi di molti Marx sembra essere un argomento tabù. Ma soprattutto perché bisognava fare i conti con una bibliografia sterminata di studi critici, di interpretazioni anche politicamente contrastanti, senza metterli semplicemente da parte come se fosse possibile tornare al «vero Marx» saltando la storia della fortuna e sfortuna dei suoi testi; e senza, d’altra parte, farsi travolgere dalle discussioni tra gli interpreti, producendo un ennesimo studio in cui Marx risulta oscurato da uno dei tanti ritratti che pretendono di rappresentarlo. Fusaro è riuscito egregiamente a evitare i due rischi, e ha raccontato con chiarezza e vivacità vita e dottrina di Marx prendendo anche francamente posizione su tante questioni interpretative presenti nella vasta letteratura che cita e discute nelle note. Uno dei temi ricorrenti nel libro è quello del rapporto tra Marx e il marxismo. Ma, dice Fusaro, l’opera di Marx è stata sempre un cantiere aperto - anche il Capitale è un libro incompiuto; e pretendere di cercare una verità originaria di Marx è sempre stata solo la tentazione dei dogmatismi che hanno creduto di richiamarvisi anche in connessione con politiche di dominio. Dogmatismo è anche parlare di un socialismo «scientifico»… “La Stampa-TTL”, 23 gennaio 2010