Fra i meno
autobiografici dei poeti americani, Robert Frost (1874-1963) è nondimeno uno
dei più famosi, giustamente messo fra i padri della moderna poesia incontrò
critici entusiasti (da Pound a Amy Lowell, da Auden a Muir) e qualche perplesso (fra i quali spiccano Malcom Cowley e certi giudizi ferocemente avversativi: “quanto di
più simile possediamo a un poeta laureato e nazionale”). In Italia ha avuto
edizioni curate da Franco De Poli, Giovanni Giudici e Massimo Bacigalupo.
Pubblichiamo qui la fresca traduzione di Alice Benassi
di Two tramps in mud time.
Robert Frost
Due
vagabondi nella stagione del fango. Traduzione di Alice Benassi
TWO TRAMPS IN MUD TIME Out of the mud two strangers came Good blocks of oak it was I split, The sun was warm but the wind was chill. A bluebird comes tenderly up to alight The water for which we may have to look The time when most I loved my task Out of the wood two hulking tramps They judged me by their appropriate tool. They had no way of knowing a fool. Nothing on either side was said. But yield who will to their separation, |
DUE VAGABONDI NELLA STAGIONE DEL FANGO Dal fango emersero due sconosciuti, Sorprendendomi mentre spaccavo legna in cortile; Mi fece sbagliare mira uno dei nuovi venuti: «Colpisci forte!»
gridò, allegro e gentile. Perché fosse rimasto indietro, lo sapevo precisamente, Lasciando che l’altro andasse avanti da solo. Sapevo bene cosa avesse in mente: Voleva esser pagato per fare il mio lavoro. Bei blocchi di quercia, ecco cosa spaccavo, Di circonferenza pari a quella del ceppo posto sotto; Con precisione il fendente ad ogni pezzo vibravo Tagliandolo senza schegge come un masso rotto. I colpi che l’autocontrollo di tutta una vita Trattiene per assestarli per il bene collettivo, Quel giorno, dando sfogo alla mia anima intorpidita, Li scaricavo sul legno irrilevante, d’importanza privo. Il sole era caldo, ma il vento era ghiacciato. Sapete com’è ad aprile, quando al primo raggio Di sole che splende, se il vento s’è calmato, Ci si sente un mese avanti, come fossimo già a maggio. Ma non si fa in tempo a dire niente, Che subito una nuvola del sol copre la luce, Da un picco gelato il vento soffia improvvisamente E indietro di due mesi, come a marzo, ci conduce. Un uccello azzurro con grazia si venne a posare E per sistemarsi le piume si volse verso il vento, Intonando il proprio canto, attento a non incitare A sbocciare germoglio che ancor non fosse pronto. Cadde un fiocco di neve, ma l’uccello intuiva Che l’inverno stava solo giocherellando. Come il piumaggio, anche la voce era brillante e giuliva, Ma a nulla di fiorire voleva dar il comando. L’acqua che in estate dovremo cercare, probabilmente, Con l’aiuto di una magica bacchetta, In ogni solco di ruota forma ora un torrente, In ogni impronta di zoccolo una pozza perfetta. Gioite per l’acqua, ma non dimenticate il fatto Che il gelo sotto la terra sta in agguato E dopo il tramonto uscirà di soppiatto Per mostrare all’acqua i suoi denti di cristallo spietato. Al tempo in cui più amavo il mio lavoro Quel giorno sentii di amarlo di più ancora, A causa della richiesta che fecero costoro. Penserete che non avessi mai sentito prima d’allora Il peso di un’accetta in alto sollevata, Il contatto della terra coi piedi ben piantati, La vita dei muscoli che oscillano in maniera delicata, Nel calore primaverile leggeri e sudati. Uscirono dal bosco i due vagabondi grandi e grossi (Dove quella notte avessero dormito, lo sa il Signore; Quelle precedenti nel campeggio dei tagliaboschi). Tutta la legna per diritto pensavano di possedere. Chi nei boschi viveva e lavorava, Mi giudicava attraverso il proprio strumento; Sul modo in cui uno l’accetta impugnava, Per riconoscere uno sciocco faceva affidamento. Da entrambe le parti, nessuno disse niente. Essi sapevano che bastava aspettare E avrei capito ciò che avevano in mente: Non avevo il diritto, pensavano, di trarre piacere Da ciò che altri facevano per mantenersi. Il mio diritto era l’amore, il loro la necessità E quando i due coesistono, così diversi, Il loro è più forte e prevale, si sa. Ma accetti pure, chi vuole, la loro separazione; Il mio scopo nella vita è sposare Il mio dovere alla mia vocazione, Così come gli occhi son tutt’uno nel guardare. Solo se amore e bisogno si fondono in un’intima intesa, E il lavoro diventa gioco per mortali scommesse, Soltanto allora si compie veramente un’impresa, In nome del Cielo e di future promesse. |