le voci che corrono

Norman Finkelstein*

> Norman G. Finkelstein, The Holocaust Industry: Reflections on the Exploitation of Jewish Suffering, Verso, NY 2000

Già il titolo è provocatorio, ma lo è ancora di più sentire parlare l'autore del libro "L'Industria dell'Olocausto:Riflessioni sullo sfruttamento della sofferenza ebrea". Il Dr Norman Finkelstein è un accademico americano che con impetuoso sdegno si scaglia contro l'uso sfrontato di un argomento scottante che rischia di creare un nuovo antisemitismo. Straparlare del martirio del popolo ebraico come se fosse l'unico ad aver sofferto in modo indicibile in tutta la storia umana, istigare risarcimenti e riparazioni che talvolta sembrano estorsioni, seminare dappertutto memoriali e musei dedicati al fascino macabro dell'Olocausto, può essere controproducente nel senso di attirare nuovi risentimenti e incomprensioni. Anche la recente apertura di un'esposizione permanente del suddetto all'Imperial War Museum di Londra è stata definita dal pugnace scrittore "una specie di circo".

"Il peggio che poteva capitare all'Olocausto è stata la sua scoperta da parte degli ebrei americani" tuona Finkelstein, che parla con cognizione di causa perché è lui stesso un ebreo americano, i cui genitori sono ambedue sopravvissuti dai campi di concentramento tedeschi. Il padre col suo doloroso riserbo, la madre con i suoi ossessionati ricordi, non hanno tuttavia mai asserito che l'Olocausto fosse unico, ma che li aveva accumunati alla sofferenza di altri popoli oppressi. In compenso ci sono molti altri che asseriscono di aver patito un'esperienza che non hanno fatto.

"A New-York, un ebreo su tre che incontri per la strada afferma di essere uno scampato dai campi di sterminio" Si indigna Finkelstein "E dal 1993 l'Industria dell'Olocausto ha sostenuto che ogni mese sono morti 10000 sopravvissuti, portando a credere che nel 1945 ce ne fossero 8 milioni, quando nell'Europa occupata dai tedeschi prima della guerra c'erano 7 milioni di ebrei".

Il rampante sfruttamento di un evento atroce è quello che fa infuriare lo scrittore secondo il quale prima della guerra dei 6 giorni nel 1967 Israele e l' Olocausto non facevano notizia. Poi il primo è diventato il paladino degli USA nel Medio Oriente e il secondo la bandiera morale di tale alleanza strategica, gli ebrei d'America hanno scoperto il vantaggio di entrambi e grazie alla loro influenza (il potere economico di questa elite è quasi il doppio di quello dei "gentili") le campagne pro Israele e pro Olocausto si sono intensificate oltre misura. Finkelstein fa anche i conti in tasca ai grandi promotori di queste campagne quali Simon Wiesenthal e Elie Wiesel che girano in Limousine con autista percependo sui 50 milioni a conferenza, in cui si insiste sulla unicità delle pene del popolo ebraico, tormentato, torturato, seviziato come nessun altro mai. E qui sta il nocciolo del problema, condiviso anche dal commentatore inglese del libro, Bryan Appleyard, perché preclude qualsiasi approccio razionale ad una aperta discussione e analisi storica. Nessuno nega i fatti nè tantomeno vuole sminuirli, ma il pericolo delle argomentazioni a senso unico è che il Male venga cristallizzato in Hitler e l'Olocausto ebreo, mentre qualche cosa si potrebbe dire anche sulle vittime del comunismo, se non si vuole andare a ripescare anche i cristiani martirizzati nell'antica Roma o nel moderno oriente o i 10 milioni di Africani morti in Congo non per fame ma per il mercato belga.

"Il Male ha anche la faccia di Stalin, Mao e Pol Pot" rimarca Finkelstein e se siamo convinti che porti solo baffetti e stivali militari siamo fuori strada oltre che in pericolo di non riconoscerlo in altre occasioni. Ma chi osa confrontarsi contro la statura morale di chi ci ricorda quotidianamente che la sofferenza dell'Olocausto è stata la peggiore in assoluto?" Lui che ha dato alle stampe tali dubbi ( nelle librerie inglesi dal 20 luglio) è ovviamente un reietto della comunità ebraica, guardato come un nemico di Israele, anche se vorrebbe solo che la causa ebrea fosse considerata più razionalmente, che non si arrivasse all'assurdo di non rappresentare il Mercante di Venezia per paura di offendere la memoria ebrea e che la sofferenza di tanti come i suoi genitori non fosse sfruttata per interessi economici e politici. Per quanto, a guardare la mostra dell'Imperial War Museum c'è poco da razionalizzare ed è bene che si sappia di cosa è capace l'uomo quando ci si mette d'impegno.

Margherita Moscogiuri, "il Giorno", 14 luglio 2000

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"Il pericolo dell'argomento dell'unicità è che rende cechi di fronte alla possibilità di altre forme della malvagità. La gente vede i musei e i monumenti olocaustici, vede la faccia di Hitler e pensa che quella sia l'unica rappresentazione del diavolo".

"Ogni persona affamata, torturata ed assassinata, ha qualcosa il in comune con le vittime di Auschwitz. L'idea che un evento storico è differente da tutti gli altri è chiaramente irrazionale. È pergiunta pericolosa perché impone il silenzio alla discussione e all'analisi dell'Olocausto. Perdiamo la nostra capacità di imparare qualche cosa".

"La sfida oggi", scrive Finkelstein, "è quella di riprendere i crimini nazisti come argomento razionale di inchiesta".

"Sunday Time", 11 giugno 2000

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"Così come secondo certi studiosi "scomodi" (Norman Finkelstein, Yehuda Elkana, Peter Novick...) sembra sconcertante o sinistro che "the Holocaust industry" o "the Shoah business" rischino di suscitare "una tragica e paradossale vittoria di Hitler", nei consumi indotti dal marketing di successo. Altro che le polemichette personali e autoreferenziali sui revisionismi opportunistici e redditizi. Forse la "storia degli storici moderni" potrebbe interrogarsi sui conformismi e i non-conformismi e gli opportunismi delle rimozioni e negli sfruttamenti delle tragedie nel passato prossimo? "I carnefici mantenuti in vita dalle vittime?".

Alberto Arbasino, "la Repubblica", 12 novembre 2000

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"Noi siamo ebrei americani profondamente preoccupati che la memoria e la tragedia dell'Olocausto sia invocata per giustificare un'ingiusta campagna di bombardamenti contro la popolazione civile jugoslava. Molti di noi hanno amici che hanno perso membri della loro famiglia per l'Olocausto, o hanno perso loro stessi alcuni familiari. Siamo profondamente consapevoli della nostra storia e della necessità che la comunità internazionale intervenga in situazioni dove c'è una minaccia di genocidio per prevenirlo. Chiaramente questo non è ciò che sta accadendo oggi in Jugoslavia".

Da un appello ai "verdi" tedeschi alla vigilia del dibattito parlamentare sull'intervento in Jugoslavia, 13 maggio 1999. L'appello era firmato, fra gli altri, da Noam Chomski e Norman Finkelstein.

 

*Norman Finkelstein è nato a Brooklyn, N.Y., nel 1953. Si è laureato a Princeton con una tesi sulla teoria sionista. Ha pubblicato: Image and Reality of the Israel-Palestine Conflict (Verso, 1995), The Rise and Fall of Palestine (University of Minnesota, 1996), with Ruth Bettina Birn, A Nation on Trial: The Goldhagen Thesis and Historical Truth (Henry Holt,1998) e The Holocaust Industry: Reflections on the Exploitation of Jewish Suffering (Verso, 2000). Collabora a "the London Review of Books", "Index on Censorship", "Journal of Palestine Studies", "New Left Review", "Middle East Report", "Christian Science Monitor" e "Al Ahram Weekly". Insegna attualmente politologia all' Hunter College della City University di New York

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