L’arresto di David Irving in Austria ha probabilmente messo in imbarazzo molti commentatori tanto che generalmente non si è andati molto più in là della notizia, evitando neanche troppo elegantemente le questioni che l’evento avrebbe dovuto suscitare. Una nota dissonante in un panorama più uniforme che prudente è stata quella di Massimo Fini sul “Gazzettino”, il quale per altro, negli stessi giorni, commentava in modo altrettanto dissonante le incendiarie vicende delle periferie francesi (“la rivolta delle banlieu parigine non si ammanta delle vecchie ideologie di sinistra o di destra. E' una rivolta e basta. ...”). 

Massimo Fini

uno storico in galera è unassurdità

Lo storico inglese David Irving è stato arrestato la settimana scorsa a Graz, in Austria, perché nel 1989 «aveva negato in pubblici discorsi l’Olocausto». E in base a una legge, che esiste in Austria, Germania e Francia, negare l’Olocausto è un reato. In Austria Irving rischia una condanna a vent’anni di reclusione. Amos Luzzatto, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche, giustifica il provvedimento. «Credo che sia sbagliato porre la questione in astratto, come se fossimo davanti a una semplice manifestazione di opinioni. Chi esalta il nazismo e nega la Shoah non si limita ad esprimere il suo pensiero, ma intende promuovere la diffusione di pregiudizi razzisti, vuole preparare il terreno per il risorgere di una dottrina che ha causato in Europa lutti e distruzioni senza pari. Credo che di fronte a un simile pericolo sia opportuno tutelarsi anche attraverso la legislazione penale».

Buoni motivi per tappare la bocca altrui se ne trovano sempre, arrivando financo a fare un cattolicissimo processo alle intenzioni come Amos Luzzato, perché negare lo sterminio degli ebrei (per la verità Irving non lo nega, lo ridimensiona drasticamente, ma questo, all’interno del discorso più generale che riguarda la libertà della manifestazione del pensiero e della ricerca storica, è un dettaglio) non significa, per ciò stesso, essere razzisti e antisemiti.  Ma la questione di fondo è che quelle di Irving sono opinioni, suffragate, per la verità, anche da argomenti e documenti, tutti naturalmente da verificare, e che quello per cui è stato arrestato e può essere condannato è un reato di opinione. Ora, in una democrazia i reati di opinione non dovrebbero esistere, altrimenti non è più una democrazia. I reati di opinione sono tipici dei totalitarismi, dei fascismi e furono particolarmente in auge proprio sotto il regime nazista che, per paura delle idee altrui, mandava i libri sgraditi al rogo (in alcune democrazie ci si limita a vietarne la pubblicazione, ma la sostanza è la stessa).  Una democrazia, se vuol essere tale, deve accettare la diffusione anche delle idee più aberranti e che le paiono più aberranti. Il discrimine assoluto è che non siano fatte valere con la violenza. È il prezzo che la democrazia paga a se stessa.

Io devo poter essere libero di negare ciò che mi pare, anche l’esistenza del Duomo di Milano. Le opinioni, le idee, gli argomenti si controbattono con altre opinioni, con altre idee, con altri argomenti, con i ragionamenti, i dati, le documentazioni, non con le manette. La libertà di pensiero, come quella di ricerca storica che ne è un aspetto, è indivisibile e non ammette eccezioni. Perché si comincia con gli Irving e si finisce, fatalmente, col mandare al rogo i Giordano Bruno o far abiurare Galileo.

“Il gazzettino”, 20 novembre 2005