Wolf Bruno
filmcritica
Cappabianca–Esposito–Roberti–Turco
(a cura di): SENSO COME RISCHIO. 60 anni
di Filmcritica, Le Mani, Recco 2010
Da un libro commemorativo, per giunta antologico, ci
si aspetterebbero corpose introduzioni, cronologie, magari tabelle e
indicazioni di varia natura, immagini. Invece - senza contare che i materiali
antologici proposti sono per la maggior parte recenti o risalgono al più tardi
agli anni Settanta, lasciando fuori dunque quelli più antichi - in questo libro
che vuole commemorare i 60anni di una stimata rivista di cinema non c’è niente
di tutto questo. Anzi, la stessa accessibile impaginazione che l’editore
riserva alla sua produzione, sembra qui compromessa. In un certo senso il libro
riproduce quel beato disordine che nei suoi sessant’anni di storia hanno
contraddistinto “Filmcritica”, la
rivista fondata e diretta da Edoardo Bruno che più di ogni altra ha ospitato
gli umori non sempre coincidenti delle grandi teorie, della cinefilia, della
politica, svolgendo in Italia un ruolo che si può avvicinare a quello dei
francesi “Cahiers du cinema” (in
comune hanno fra l’altro la devozione a Rossellini) ma con in più un eclettismo
che l’ha tenuta fuori da una stretta logica di gruppo e da una poetica
comunitaria e identificativa.
Quando la rivista nasce, nel 1950, l’impronta è
tuttavia marcata. A renderla tale è soprattutto il coinvolgimento di Umberto
Barbaro, il che significava un chiaro riferimento alla cultura del comunismo
italiano e internazionale in salsa zdanoviana.
Barbaro, nell’anteguerra, era stato un letterato
vicino all’avanguardia, ancorché vissuta (“l’immaginismo”) con una punta di
dissidenza nei confronti del Futurismo. Nel 1933 aveva diretto un documentario
sulla costruzione della nave Oceania a Monfalcone. Nel 1934 aveva partecipato
alla sceneggiatura di un film adorabile come Seconda B, diretto da Alessandrini con Tofano e la Denis quali
interpreti. Insegnò al Centro
Sperimentale di Cinematografia, ne fu direttore e, con Luigi Chiarini, fondò "Bianco
e Nero", una rivista all'epoca eccezionale per l'impostazione
analitica, lo zelo teorico e la profondità critica. A Barbaro, fra l'altro, va
riconosciuto di essere stato uno dei primi, negli anni Trenta, a dare una
valutazione positiva delle possibilità cinematografiche di Totò. Nel dopoguerra
partecipò, con la regia di De Sanctis, alla sceneggiatura di Caccia Tragica
e, collaborando con Roberto Longhi, diresse due documentari dedicati a
Carpaccio e Caravaggio.
Resta il fatto che, traduttore di Bela Balàsz e
Pudovkin, dei quali non si vuole ovviamente sminuire l'importanza, fu omogeneo
all'estetica sovietica e, come minimo, poco generoso col cinema americano. Che
questo fosse un andazzo monopolizzante, e che lo rimanesse a lungo, è tuttavia
opinione comune quanto ingiusta. Sullo stesso quotidiano comunista, dove anche
Barbaro scriveva, critici come Casiraghi e Ranieri, non avevano larghezza di
vedute inferiore a quella dei Bianchi, Kezich, Cosulich, Morandini la cui buona
reputazione è rimasta inalterata.
Insieme a Barbaro, sulle pagine di "Filmcritica",
come già accennato di sfuggita, si fece sentire inoltre il magistero di Roberto
Rossellini, del quale Edoardo Bruno e la sua rivista condividevano/dibattevano
il progetto di un cinema storico-didattico che il regista realizzò in parte con
la televisione (nell'antologia è presente un testo per il film biografico su
Marx che poi Rossellini non riuscì a realizzare).
E, dopo Barbaro e Rossellini, il terzo nume tutelare
di "Filmcritica" si chiamò Galvano Della Volpe, del quale la
rivista pubblicò Il Verosimile Filmico. Questa componente
filosofico-comunista, estranea alla vulgata gramsciana diffusa da Togliatti, si
apriva al cinema e all'estetica nei termini di un'oggettività materialista che
non consentiva vincoli idealistici con l'oggetto dell'analisi. Si può dire che
è da questo punto in poi che la rivista assume quel carattere di laboratorio
critico aperto ed eclettico che costituisce il suo lato migliore. E si può
anche aggiungere che con questa premessa - senza dimenticare tuttavia il
contributo di Pasolini - fu facile per Edoardo Bruno accogliere quell'insieme
di "teorie francesi" che i più giovani avrebbero portato in seguito.
In qualche modo ne costituiva un'anticipazione.
Tornando in modo più appropriato ai contenuti del
libro - dopo aver detto subito quello
che non è, o che gli manca*, si deve dire che è quasi
esclusivamente una collezione di interviste, ma ci sono dei brevi saggi di
Deleuze, di Nancy, di Matte Blanco, di Kramer e altri a testimoniare un certo
confuso impegno. Migliore approccio al senso preciso dell'attività critica
della rivista la dà un testo di Giuseppe Turroni, uno dei più vecchi e fedeli
collaboratori e quello che forse più di ogni altro vi ha impresso un gusto
privo di pregiudizi. Le interviste sono tutte di grande interesse (da Blake
Edward a Clint Eastwood, da Jacques Demy a Orson Welles). Quella laconicissima
a Hitchcock è anche spiritosamente spiazzante. La divisione tematica (qui
torniamo a quanto detto all'inizio) non va oltre il pretesto ed è poco
utilizabile. Solo la prima parte rosselliniana si può dire coerente. La
postfazione di Alessandro Cappabianca, che dovrebbe metter ordine al tutto, fa
in realtà da supporto al niente. Che dire: un libro brutto e
peggio concepito che raccoglie non pochi elementi che fanno ammettere:
"tanto di cappello!"
* A
"complemento" si veda L'Avventura Estetica. Filmcritica 1950-1995 di
Fabio Segatori (Il Saggiatore, Milano 1996)
“Fogli
di via”, Novembre 2010