Wolf Bruno
ricostituenti decostruenti
MaurizioFerraris, RICOSTRUIRE
LA DECOSTRUZIONE. Cinque saggi a partire da Jacques Derrida, Bompiani, 2010
| Diego Fusaro, ESSERE SENZA TEMPO,
Bompiani, 2010
All'epoca di Differenze
(Multhipla, 1981) Maurizio Ferraris lo si indicava come un giovane e
promettente filosofo torinese. Giovane filosofo lo è rimasto a lungo, ben oltre
ciò che la realtà anagrafica potesse consentire, ma promettente lo è rimasto
meno dello strettamente necessario, approdando presto alle sfere alte del
pensiero e agli annessi e connessi di una brillante carriera fra i dottori che
contano, accumulando una tale sfilza di incarichi prestigiosi la cui
elencazione nelle bandelle editoriali potrebbe risultare a conti fatti
deficitaria: professore ordinario di filosofia teoretica all'Università di
Torino, direttore del laboratorio di ontologia (LabOnt), Directeur d'études al
Collége International de Philosophie, Fellow della Italian Academy for Advanced
Studies e della Alexander von Humboldt Stiftung, visiting professor alla École
des hautes Études en Sciences Sociales di Parigi e in altre università europee
e americane. Ha inoltre pubblicato una quarantina di libri, molti dei quali
tradotti in varie lingue, e ha ottenuto i (manco a dirlo, “filosofici”) premi
Castiglioncello (2005) e Viaggio a Siracusa (2008). Ma non finisce qui: è
direttore della “Rivista di Estetica”,
condirettore di “Critique” e membro
del comitato storico di “Alfabeta2”.
A tutto questo ben di dio si deve aggiungere una
considerevole attività giornalistica, specialmente su “Repubblica” (di cui è editorialista) e su “il Sole 24ore”. Ciò che ha ottenuto da quest'ultima occupazione
più che la fama, tutto sommato limitata fuori dei vincoli strettamente
settoriali, è stata per un verso l'occasione per smussare le asprezze proprie
del filosofo professionale (cosa che nemmeno sui giornali riesce a tutti) e per
l’altro l'opportunità di dar corso a un senso dell'umorismo che, se non gli è
mai mancato, stentava ad esprimersi compiutamente.
Fra i benefici che la maturità ha portato a Ferraris
penso, non senza malizia, che si possa annoverare anche l'affettuosa presa di
distanza da Jacques Derrida - uno dei maestri che fin da Differenze aveva potuto contare su di lui in Italia - e insieme da
postmoderno e decostruzionismo. Oltretutto non c'è in Derrida, constata
Ferraris, una teoria della "decostruzione" onde per cui tutta la sua
filosofia si riduce - come fra i
cosiddetti "filosofi del sospetto", i Marx e i Nietzsche - alla
seppur acuminata demistificazione critica, per quanto espressa coi modi
"idiomatici" che attirarono sulla sua prosa una fama di oscurità.
Ciò che percorre questa raccolta di saggi è
l’attenzione posta sul concetto di verità (e su quelli di etica e giustizia) a
partire dalla frase nietzchiana così cara ai decostruttori e a quei “pensatori
deboli” cui proprio Ferraris diede un contributo non secondario: “Non ci sono
fatti ma interpretazioni”. Se così fosse, si chiede oggi Ferraris, che
considerazione dovremmo dare alle notizie dei telegiornali, per non dire di
quello che comunemente ci succede nella vita di tutti i giorni? Certo una frase
del genere è facile da smontare (“decostruire” è quindi normale) ma è
altrettanto facile coglierne un suo nucleo veritativo, cosa che il filosofo
oggigiorno sembra dubbioso concederle. Ferraris si muove come San Tommaso:
risalendo a tutte le cause ci si imbatterà in quella “non causata” e quella
sarà Dio. Andando avanti a decostruire una volta che ci si fermerà quello che
avremo di fronte sarà la verità. Il problema è serio, ovviamente, e merito di
Ferraris è di trattarlo con la stessa leggiadria “postmoderna” che dice ormai
stargli stretta. Sempre con spirito vezzoso – forte di una beneducata ed
amabile cerimoniosità – Ferraris esprime l’altrimenti fastidioso rapporto di
autoreferenzialità della casta filosofica. Pensare tuttavia che Marx abbia
riacquistato senso a partire dagli Spettri
di Derrida è magari esagerato.
A proposito di Marx, su di lui torna Diego Fusaro,
dopo la buona prova di Bentornato Marx! (Bompiani,
2009) e, per essere precisi, di altre che risalgono nientemeno a quando aveva
all’incirca 17 anni. Il tema di questo nuovo libro è ad ogni modo
“l’accelerazione della storia e della vita”. Per una buona metà, Essere senza tempo - titolo indovinato,
non c’è dubbio - è un gran libro di erudizione, con ampie escursioni sul tema
fra filosofi, letterati e romanzieri. Per l’altra, quella che fra gli altri
coinvolge Marx e i suoi epigoni, c’è da osservare che la riduzione alla
“dromologia” (come la definiva Paul Virilio) comporta perlomeno delle
semplificazioni, se non delle censure. Così l’esempio leninista è colto
attraverso il suo stesso canone di, per l'appunto, accelerazione del processo
rivoluzionario, tacendo un’altra lettura che suggerisce più della
“rivoluzione”, il colpo di stato e la guerra civile.
Questo non vuol essere, sia chiaro, un giudizio che
va a permeare tutta la lettura, che rimane a quella quota di erudizione della
quale si è detto. C’è da rimarcare casomai che questi libri escono tutti nella
collana dei saggi tascabili di Bompiani e l’effetto oggi come oggi,
nell’impropizio panorama editoriale, suscita perfino sorpresa. “Fogli di Via”, Marzo 2011