Ferruccio Giromini
Picasso frou-frou e la Parigi
di Montmartre
L’Esprit
de Montmartre et l’Art Moderne, 1875-1910. Paris, Musée de Montmartre,
fino al 25 settembre 2015 (a cura di Phillip Dennis Cate)
LA MOSTRA, LA SEDE, LE OPERE
Già la sede museale della mostra L’esprit
de Montmartre et l’art moderne 1875-1910 è
notevole: due piccoli edifici del XVII secolo – appena inaugurati come spazi
espositivi – che a suo tempo ospitarono in successione Pierre-Auguste
Renoir, Émile Bernard e
il “trio infernale” Suzanne
Valadon, Maurice Utrillo e André Utter (di
cui sopravvive la suggestiva ricostruzione dell’appartamento e dell’atelier così
com’era nel 1925).
L’esposizione è eccezionale perché, tramite duecento opere e documenti d’epoca,
mette in evidenza l’imprescindibile importanza e influenza che il villaggio
sulla collina che domina Parigi ha esercitato sulla storia dell’arte tra Ottocento
e Novecento.
Il già ricco fondo museale – dipinti, sculture, manifesti, disegni, acquerelli,
litografie, incisioni, fotografie, oggetti e mobilio, porcellane di
Clignancourt e, particolarmente emozionanti, sebbene per motivi diversi, lo
stendardo ricamato della Libera Comune di Montmartre e il bancone di stagno di
un vecchio bistrot accessoriato di tutto punto – è stato integrato da prestiti
del Petit Palais di Parigi, del Petit Palais di Ginevra e pure del Museo del
Precinema Collezione Minici Zotti di Padova per lo straordinario Théatre du Chat Noir portatile,
con le sagome in zinco ritagliate di Henri Rivière,
importante capitolo nella storia internazionale del teatro delle ombre, di poco
anticipatore del cinematografo.
IL VINO E LA RIVOLUZIONE
Nell’ultimo quarto dell’Ottocento, in realtà, Montmartre fu davvero un
ineguagliato centro pulsante di vita e d’arte: un piccolo e magnifico (e anche
sordido) paradiso delle esperienze estreme e di tutte le voluttà. Con affitti
notevolmente più bassi che nel centro città, tra il 1840 e il 1860 la sua
popolazione si era moltiplicata da 7.000 a 50.000 abitanti. E trovandosi al di
fuori della barriera doganale di Parigi, il vino vi costava meno; tanto che già
nel 1780, in rue Martyrs aux Porcherons, su cinquantotto case venticinque erano
locali dove andare a bere. Poi arrivarono i famosi Moulin de la Galette, Lapin
Agile, Chat Noir, Moulin Rouge, Divan Japonais.
Inoltre, dopo essersi reso protagonista eroico e tragico dei giorni della
Comune nel 1871, il “monte dei martiri” ereditò e alimentò quello spirito
orgogliosamente rivoluzionario ed egualitario, facendolo proliferare fiorente
nei vari locali (cabaret, caffè concerto, sale da ballo, music-hall, circhi)
che ospitavano una folla crescente di artisti, scrittori, poeti, attori,
cantanti, musicisti.
I FREQUENTATORI DI MONTMARTRE
La mostra documenta con generoso entusiasmo l’inarrestabile crescita della
“butte” anche in alcuni suoi momenti meno noti. Per esempio la nascita nel 1878
del festoso gruppo di artisti e scrittori degli Hydropates, che nel 1881 si
trasferirono dal Quartiere Latino nelle sale del nuovo cabaret di Rodolphe
Salis, Le Chat Noir. Da lì germogliò nel 1882 la
compagine degli Incohérents, artisti sperimentali, radicali e allegramente
sfacciati, precursori del Dadaismo e del Surrealismo.
Tra le cene artistiche rabelaisiane Bon
Bock e
l’esercizio svagato ma determinato dell’umorismo fumista – il più politicamente scorretto:
scettico e nonsensico, non di rado “nero” e briosamente morboso, l’antenato di Hara-Kiri – circolarono e si formarono, tra gli
altri, Toulouse-Lautrec e
il suo “doppio” Ibels, Bonnard e Satie,Chéret e Steinlen, Kupka e Willette, Aristide
Bruant e Yvette Guilbert, Alphonse
Allaise Alfred Jarry, Émile Cohl e van Dongen…
Fu un’onda montante di libero pensiero, un nuovo polo antiaccademico e
antistituzionale che – facendo ampio uso delle nuove tecniche di riproduzione
fotomeccaniche (manifesti, illustrazioni per libri, giornali e spartiti
musicali) e spesso usando le armi dell’umorismo, del calembour, della satira,
della parodia, della caricatura, e lanciando continue sfide alla censura – si
pose in diretta opposizione con il centro borghese della capitale. Capitoli non
meno importanti ne furono dal 1893 il Cabaret des Quat’z’Arts, che produsse
volentieri teatro sperimentale (facendo felice Jarry, ospitò un Ubu Roi in marionette) e il bizzarro
giornale-happening Le Mur, e poi negli anni 1896-97 il giornale La Vache Enragée e
il derisorio corso mascherato artistico Vachalcade.
COME TI TRAVIO IL GIOVANE PICASSO
È un’orgia continua di provocazioni e d’invenzioni – una storia unica e
affascinante, piena di sorprese. Così nel 1900, quando il giovane Picasso arriva
a Parigi per visitare l’Esposizione Universale, il quartiere degli artisti e
delle prostitute e dei vagabondi offre più di quaranta locali e, caratterizzato
da una progressiva sedimentazione delle idee rivoluzionarie, è diventato il
principale centro letterario e artistico di Parigi, l’epicentro dello spirito
avanguardista, un bacino ineguagliabile di cultura, divertimento e bohème.
È proprio su Picasso che vogliamo soffermarci. In mostra è presente una delle
sue rarissime immagini realizzate in bianconero come collaborazioni alle
riviste umoristiche e satiriche Gil
Blas Illustré, Le Frou-Frou, L’Assiette au Beurre. Siamo nel 1901,
Pablo non ha ancora vent’anni, è in Francia da pochi mesi e la turbinosa bohème
di Montmartre lo ha stregato. In giugno ha avuto la sua prima esposizione
personale nella galleria di Ambroise Vollard in rue Lafitte, ma continua a
pubblicare qualche disegno su quei giornali, un po’ perché lo fanno tutti e un
po’ perché qualche franco in più non gli fa certo male. Sta assorbendo come una
spugna tutto quel che gli capita di scoprire in quei mesi congestionati di
nuove esperienze.
I dipinti della sua mostra inaugurale da Vollard testimoniano il suo studio e
la sua rapida metabolizzazione delle massime novità con cui è venuto in
contatto: i soggetti e le atmosfere di Renoir e Manet;
i cromatismi e le pennellate a contrasto di van Gogh; le
sinuosità della linea, il taglio ardito dell’inquadratura e la composizione
fortemente asimmetrica di Toulouse-Lautrec.
PABLO PICASSO, ANZI PABLO RUIZ
L’influenza specialmente di quest’ultimo è ravvisabile in una bellissima pagina
presente in mostra: I richiami per il maschio, che la didascalia
esplica in efficace sintesi: “Biancheria
intima, coscia, calze nere, anca e pupilla”. L’illustrazione viene
pubblicata su Le Frou-Frou del
31 agosto 1901. È un’immagine molto elegante, di grande libertà e sensualità,
che appunto rimanda direttamente al modello di Toulouse-Lautrec (che morirà
qualche giorno dopo, il 9 settembre di quello stesso fatidico anno). Ed è una
testimonianza rara del periodo creativo picassiano meno noto di tutti: quando
il giovane spagnolo metteva in pratica tutto ciò che giorno dopo giorno
imparava e metabolizzava, ancora frastornato dall’enormità di quanto stava
vivendo. Il soggetto è già la donna: il suo preferito di sempre, come si
sarebbe scoperto con gli anni: l’immagine femminile quale fonte inesausta di
desiderio e ispirazione, ovvero di vibrante eccitazione tanto psicofisica
quanto estetica. Tutto molto montmartriano.
Ad ogni buon conto, però, Pablo qui non si firma Picasso come nei suoi quadri
ma, più pudicamente, col cognome paterno: Ruiz. Evidentemente non si riconosce
già più in quel mood espressivo. In effetti è ormai sulla
soglia del Periodo Blu, più “suo”, e si sta già lasciando dietro le influenze
che peraltro hanno finito di formarlo. Il Periodo Rosa è ancora di là da
venire, e tuttavia la vie en rose di
Montmartre lo ha marchiato e lo pervaderà per sempre.
“Artribune-artribune.com”, 25 agosto
2015