“Faravelli
non era uno studioso, era un uomo di partito che aveva una visione completa
della storia, teoria e politica che concorrevano a definire una specifica
visione del socialismo. I suoi referenti e modelli sono evidenti: Turati,
Treves, Martov, Abramovic, Blum, Tasca ecc.”. Così si esprimevano Pier Carlo Masini
e Stefano Merli presentando il volume della Fondazione Feltrinelli che
raccoglieva il carteggio di Giuseppe Faravelli (1696-1974) dei primi anni del
dopoguerra (Il
socialismo al bivio. L’archivio di Giuseppe Faravelli 1945-1950). Dopo aver svolto attività clandestina in
Italia sotto il fascismo, anche come rappresentante dei socialisti nel comitato
di Giustizia e Liberà, nell’emigrazione Faravelli fece parte della direzione
del PSI e si legò in particolare a Angelo Tasca. Nel dopoguerra, in rotta con
la crescente bolscevizzazione del partito, come rilevano Masini e Merli, fu
lui, più ancora di Saragat, “l’autore, se non l’attore principale, della
scissione di Palazzo Barberini”. Più
tardi, nel 1959, quando la nuova formazione per il quale si era battuto “incominciava
a piegare verso il ministerialismo e un atlantismo senza riserve”, rientò nel
PSI. La lettera che segue, del 22 novembre 1946, non ha bisogno di commenti. Fu
comunque scritta sulla carta intestata di “Critica Sociale”, la risorta vecchia rivista di Turati che
Faravelli animò con Ugo Guido Mondolfo, fratello maggiore di Rodolfo, in
qualità di condirettore.
Giuseppe Faravelli
lettera a Andrea
Caffi del 22 novembre 1946
Nell’imprendere
a scriverti questa lettera ti garantisco che arrossisco di vergogna. Non
valgono le scuse. Non vale cioè dirti che la tua lunga lettera – che suscitò
nell’animo mio un profondo turbamento – richiedeva un’ampia risposta alla quale
ho meditato mille volte senza trovare mai il tempo di scriverla, preso come
sono nel turbine di questa miserabile vita politica italiana in genere, e
socialista in ispecie.
Nel
frattempo gli eventi sono andati maturando e confermando a luce meridiana la
verità delle tue riflessioni. Oggi io sono perfettamente d’accordo con te. O
più esattamente: il mio accordo in
imocorde fu immediato. Ora riconosco meglio la necessità di proclamare coraggiosamente
le verità da te enunciate, costi quel che costi, ed è precisamente ciò che mi
sono accinto a fare da qualche tempo fra il terrore dei miei stessi amici che
in privato mi dan ragione, ma in pubblico si preoccupano del “contatto con le
masse”.
Non
ritengo necessario descriverti la situazione italiana che probabilmente ha
moltissime analogie con quella francese. Mi limiterò a dirti che qui regna la
più inverosimile confusione e corruzione in alto e in basso e che il
totalitarismo è tutt’altro che defunto: c’è anzi da temere che stia per
riprendere il sopravvento facendo saltare per aria la baracca pseudo
democratica costruita dopo la così detta liberazione.
Il
Partito socialista sta avvicinandosi al punto saliente della sua crisi.
Purtroppo i nostri uomini sono intellettualmente o moralmente inferiori di
mille cubiti al compito. Non ho bisogno di dirti chi è Nenni, questo sguaiato
giocoliere asservito a Mosca. Silone è un invertebrato e politicamente vale
meno di zero. Saragat è un pavone che si contempla eternamente nello specchio
mentre fa la ruota. Di sano, o di meno marcio, non c’è che il gruppo di Critica
Sociale del quale io faccio parte. Il Partito è insidiato da una quinta colonna
bolscevica che lo sterilizza e paralizza. Le masse sono ritornate allo stato
dei “bestioni” di G. B. Vico. La forza organizzata del P.C. incute terrore.
Per
conto mio, come ti ho detto, mi sono proposto di sfidare tutto e tutti pur di
parlar chiaro; ma ho una maledetta paura che la resipiscenza dei più avvenga
….. alla vigilia della futura marcia su Roma.
Ti
giuro che d’ora in poi ti scriverò spesso, perché conservo di te un ricordo
pieno di ammirazione e di affetto sconfinato. Tu che hai la mano più sciolta
della mia dovresti scrivermi più spesso e scrivere anche per la nostra stampa
che spero ti arrivi.
Vorrei
anzi pregarti di sviluppare in una serie di articoli i tre punti della tua
lettera (“bisogna abbattere al più presto l’idolo della nazione”; pericolo
dell’ “equivoco in cui ci si mantiene nei rapporti col Partito comunista”;
pericolo della “marea di cristianesimo sociale che sommerge l’Europa”), ma non
oso dopo l’involontaria villania che ti ho usato.
Faraboli
mi ha scritto che sei malato. Spero che non si tratti di cosa grave e ti prego
di rassicurarmene. Quali sono i tuoi piani? Non intendi ritornare in Italia?
Per
quanto ti possa occorrere da me, io sono a tua disposizione con animo fraterno.
Un
abbraccio affettuoso
tuo G. Faravelli
P.S-
Nella tua lettera mi parli di una rivista “Politics”
pubblicata a New York da Dwight Macdonald e alla quale collaborate tu e
Chiaromonte. Come posso averla? Puoi mandarmela, o puoi fornirmene l’indirizzo?
Desidererei possederne la raccolta completa e abbonarmi. Ciao. G. F.