Charles de Jacques

fantasisti avant dada

A ridosso della grande mostra che il Centre Pompidou ha consacrato a Dada, e a margine di un catalogo che si presenta come “l’insieme a tutt’oggi più completo di opere, documenti, carteggi e inediti”, l’editoria francese ha proposto diversi volumi sull’argomento e fra essi spicca la nuova edizione aggiornata di quel grande e insuperato classico che è Dada à Paris di Michel Sanouillet,  in origine pubblicato da Pauvert nel 1965 e adesso riproposto dalle edizioni del CNRS (contemporaneamente figurava fra i reperti d’un antiquario, per la rispettabile cifra di 1000 Euro, la tesi sull’argomento sostenuta alla Sorbona dallo stesso Sanouillet). Sono da ricordare inoltre i volumi, usciti alla fine dell’estate 2005, di Giovanni Lista (Dada: Libertin & libertarie) e Marc Dachy (Dada: la revolte del l'art, in versione “poche”), autore questo di parecchie opere sul tema (Dada au Japon del 2002, per esempio). Detto questo c’è ben poco da aggiungere, tanto l’argomento gode di decenni di attenzione diffusa. Poca o nulla è viceversa l’attenzione che viene tutt’oggi concessa a un piccolo gruppo – giusto compresso fra Dada parigino, Apollinaire, futurismo, orfismo ecc. – che agli inizi del XIX secolo s’è distinto in Francia nel trasporre i soffi del tormento (quelli stessi che in Italia si associano ai poeti “crepuscolari”) in gradevoli immagini poetiche e che, in generale, pizzica in maniera superbamente ritmica le corde del sentimento. Si tratta  del gruppo (o, se si vuole, dell’”Ecole”) Fantaisiste, di cui già mi è capitato di accennare su queste pagine segnalando la biografia di uno di tali poeti, Tristan Derème, approntata tempo fa da Daniel Aranjo. È allo stesso Aranjo, dell’Università di Toulon, che si dovette l’organizzazione di un seminario che partendo da un poeta del Var, Léon Vérane, e da un più giovane discepolo, Philippe Chabaneix,  attraverso i vari contributi (Bartitaud, Bilous, Burgos, Décaudin, Forestier, Jouanny, Leroy, Lorenzini, Lovichi, Marmottans, Moreau, Resplandin, Secondi, Stétié, Walzer e, va da sé, lo stesso Aranjo) tracciava un disegno sufficientemente ampio per avviare la conoscenza dei diversi poeti “fantasisti”. Proprio per questo mi preme raccomandarlo, quantunque il convegno risalga al 2001 e la pubblicazione degli atti a due anni dopo (Léon Vérane, Philippe Chabaneix et l’Ecole Fantaisiste, Edisud – Università de Toulon et du Var, 2003), ma dopo una delle tante utilissime antologie di Seghers pubblicata più di vent’anni fa e quel po’ di interesse che si è riverberato sul gruppo riandando su Francis Carco, ogni lavoro di scavo in questa direzione è impagabile. In una sorta di “Manifesto” pubblicato nel 1913 da La Facettedi Tolone, Tristan Derème asseriva essere “la fantasia” una “dolce indipendenza” che velerebbe “un sorriso ambiguo” dietro “un’aria malinconica”. Se per i gruppi d’avanguardia più aggressivi, non solo francesi, il poeta di riferimento è Rimbaud (con Ducasse), per i “fantasisti” è Verlaine. Siamo nella più autentica “bohème” spirituale (e non di rado alcolica) che fa del ritmo un significato, riportando la poesia alla canzone, consegnandola ai banconi delle mescite, all’osservazione ora partecipe ora ironica, all’arguzia.