Jean Montalbano

Visioni e provocazioni tra Capri e Berlino

Hanns Heinz Ewers Il Ragno e altri brividi (Meridiano Zero/ Odoya, 2017) | Hanns Heinz Ewers Alraune. La storia di un essere vivente (Hypnos, 2017) | Hanns Heinz Ewers I cuori dei re e altri racconti (La Conchiglia, 2005)

Se lo strillo di copertina promette brividi da “mago del terrore” l'immagine sembra studiata per depotenziarne la forza horror: la starlette concupita dal ragno gigante rimanda subito al mondo b-movie di un Ed Wood o Jesus Franco, come a segnare lo slittamento dagli incunaboli espressionisti (di Lo studente di Praga, del 1913, Ewers fu più che sceneggiatore) allo sfruttamento seriale e cheap. Un secolo dopo, questa silloge di racconti (riproposta da Meridiano Zero/ Odoya a partire da quella del 1972 delle Edizioni del Bosco) del romanziere, poeta, saggista e memorialista, direttore di teatro-cabaret ed altro ancora Ewers corre il rischio di evidenziare i punti deboli dell'ampia produzione del poligrafo tedesco (1871-1943) prima ancora di divulgarne qualche supposto valore permanente, confinandolo dunque nel ruolo che forse non gli sarebbe spiaciuto, soprattutto se ben remunerato, di esaltatore dello sfruttamento intensivo di tanta letteratura popolare o serializzazione cinematografica e fumettistica. Tenerne a bada la materia effervescente mimerebbe un poco la messa a distanza che, accademicamente, pretende lettere di nobiltà solo leggendo La metamorfosi kafkiana e snobbando Il Ragno ewersiano. Se i temi toccati sono quelli del perfetto discepolo di E. A. Poe, a distanza di tanti decenni la carica dirompente assegnatagli dall'autore risulta disinnescata dallo stesso abuso inflazionato che di essi ha fatto il secolo ventesimo. A tratti Ewers stesso ne è consapevole scrivendo: “Vi è una tragicità alla cui azione paralizzante non possiamo sottrarci che con lo humour” (Hoffmann è l'altro suo grande ispiratore) sicchè il repertorio di mummie, riti voodoo, cadaveri trafugati e “cose” ripugnanti e viscide perde l'appeal a petto del più “realistico” racconto caprese Il ghigno il cui protagonista, il reietto Oscar Wilde, o meglio, il prigioniero C.3.3, confida a Ewers di non intuirsi che come sogno di una smorfia viscida e molle, e che addirittura l'umanità tutta sarebbe, con la sua intera storia, il sogno di un Essere beffardo. Pensiero di maya che, oltre che a Schopenhauer, rimandava all'interesse dello scrittore per le dottrine indiane (sul viaggio in India, uno dei tanti spesso sponsorizzati da una compagnia di navigazione, avrebbe scritto Indien und Ich...), pur se pareva preferire sciogliersi, una volta smessa l'eccezione estatico-creativa, in una più gratificante società scelta di individui al di sopra delle nazioni che vistano passaporti. Rausch (estasi, ebbrezza, entusiasmo ) è termine chiave per intendere l'estetica di Ewers. Se i narcotici in senso lato comunicavano con terre di tesori da padroneggiare mediante intelligenza e talento, l'ipnosi stessa gli era strumento utile per indurre stati di trance creativa e, se privi delle doti di Charcot o Freud, Ewers insinuava che l'estasi si può raggiungere anche con la suggestione e la flagellazione: nel racconto I Cuori dei Re il pittore Droling, ossessionato dalla dinastia dei Borboni e volendo riprodurre l'infamia delle loro regali fantasie, ammette “ho digiunato e mi sono flagellato per provare in me stesso quelle sacre estasi di sangue tanto infinitamente distanti dalla nostra mentaltà odirna”. A un certo punto, sembra dire Ewers, tutto vale purché si pervenga all'atto della scrittura, come gli insegnava Poe e come tentò di teorizzare nel provocatorio testo del 1905 a lui dedicato. Ce ne sarebbe abbastanza per farlo entrare della famiglia dei degenerati descritta da Nordau addebitando a propensioni megalomaniache sia la propaganda filo-germanica avviata in America insieme ad Aleister Crowley sulle pagine di Fatherland sia la sua risposta nazionalista, Reiter in deutscher Nacht (1932) al romanzo, da quelle parti ritenuto disfattista e pacifista, di Remarque (e questo mentre negli stessi ambienti era tenuto a distanza come filosemita).

Il personaggio, dunque, continua a nascondere un'opera non del tutto caduca anche se non sono più i tempi in cui questo “autore di storie di sesso dozzinali e degenerate” poteva intimorire e scandalizzare i salotti newyorkesi rooseweltiani. Così Martha Dodd, che lo conobbe vecchio ed ancora inquietante, ne stigmatizzava l'epidermico sensazionalismo e, in un gesto d'autodifesa per nulla ironico, gli rovesciava addosso come in un tatuaggio terminale i tic della scrittura ewersiana: “una delle persone più disgustose...le sue mani erano squamose, screpolate da rosse piaghe rinsecchite, rigide, repellenti...rettile ripugnante...magnetismo lussurioso e sensuale” e perdipiù velatamente filo-nazi. Accusa eccessiva verso chi ormai viveva esule da una Germania che non poteva accettarne intemperanze e morbosità, nonostante i tentativi di farsene inascoltato cantore, a partire da scritture che prendevano a soggetto i Freikorps o Horst Wessel. Il cinema continuava a saccheggiarne idee: la trilogia comprendente L'apprendista stregone, Alraune e Vampir celebrando il sabba del fantasticare è un'ottima esemplificazione del suo pensare narrazioni già pronte per trasposizioni e variazioni serializzate. Il momento centrale, Alraune (1911), scatenata ed eccessiva rivisitazione del mito della mandragora tra golem ed automa, e persino con tocchi finali di accennato vampirismo (come a saggiare tutta la tastiera dello straordinario) viene ora ritradotto (dopo l'edizione Cappelli del 1930) e accompagnato da un documentato ed utile intervento di W. Catalano sullo “schermo infestato” di Ewers.

“Fogli di Via”, gennaio 2018