Carlo Romano

Evangelisti paraletterari

Nell'aprile di quest'anno è morto Valerio Evangelisti. A giugno avrebbe compiuto settant’anni. Benché godesse di sicura fama, il trapasso è avvenuto piuttosto in sordina, senza il chiasso che di solito viene concesso ad altri scrittori con tanto di piagnistei per l’irreparabile perdita dell’insostituibile talento. Evangelisti era uno scrittore di “genere” (quel che vien detta “paraletteratura”) e pagava lo scotto che i “generi” devono alla letteratura “alta” per riscuotere attenzione. A questo aspetto dell’attività culturale Evangelisti dedicò, si può dire con fissazione, la sua attività saggistica, meno nota e cospicua della brillante carriera narrativa ricapitolata, sul terreno della fama, nel personaggio dell’inquisitore Nicola Eymerich che sovrasta altre sue creature letterarie come lo stregone messicano Pantera o Magus, ovvero Nostradamus - oltre ad aver dato differenti e varie prove di natura sociale, storica e politica. Al momento della morte stava lavorando con Alberto Sebastiani (che nella collana degli Oscar di Mondadori, in quella bella versione cartonata ed ornata da suggestive copertine, ha curato in tre volumi la raccolta completa degli Eymerich) a radunare i suoi saggi dedicati alla letteratura “di genere”, compito portato a termine in breve tempo dal solo Sebastiani in un volume pubblicato da Odoya (Valerio Evangelisti: LE STRADE DI ALPHAVILLE. Conflitto, immaginario e stili nella paraletteratura).

Nei saggi Evangelisti si dimostra riflessivo, equilibrato e raziocinante. Evita le citazioni roboanti, non si scompone in teorie pedanti, opta per il buon senso, schiva la complessità lessicale e procede per deduzioni pulite. Una scrittura spogliata delle metafore sensazionali cui le tematiche indurrebbero. Se pure qualcosa concede al “superuomo di massa”, lo fa con modestia e discernimento Una buona, limpida e facile lettura quindi. Ciò non significa la rinuncia alla problematicità ma lo stesso incedere di Evangelisti talvolta ne crea più di quanto risolva. Quando, per esempio, parla del salgariano Luigi Motta – che ebbe la fama assicurata cominciando col vincere un concorso di Donath, l’editore genovese di Emilio Salgari il quale appose una prefazione al suo libro di esordio – lo fa paragonando quello che sommariamente era considerato “uno scribacchino” (e un insignificante imitatore) con la posizione politica che ebbe di onesto antifascismo, quindi con un verdetto extra-letterario (ma lo stesso succede in testi più strutturati come quelli su Leblanc e Rex Stout). Alla letteratura compete esclusivamente la polemica ossessiva che percorre tutti i saggi di Evangelisti, vale a dire la colpevole disattenzione che ai piani elevati viene destinata alla narrativa “di genere”.  Anche questa definizione è d’altra parte lasciata nel vago.

Viene da pensare che un po’ di teoria in più non avrebbe guastato e si sarebbe fatta miglior chiarezza. Penso al contrario che non ci sia niente di nebuloso e che accettando i termini attraverso le ordinarie connotazioni – che in fondo garantiscono speditamente la comprensione – la lettura se ne avvantaggi e niente impedisce di riflettere fra accordi e disaccordi. Personalmente mi metterei tranquillo, tuttavia Evangelisti, così assillato dalle gerarchie letterarie con le quali polemizza, si piega alla logica delle graduatorie destinando alla fantascienza il primato sugli altri generi. Il suo ragionamento è di fatto politico, valutando nella fantascienza la capacità di avvicinare e problematizzare le grandi domande, quelle elevate, ontologiche, cosmogoniche. È questo un atteggiamento diffuso fra gli appassionati e da sempre caratteristico delle “fanzine”: Mi chiedo, ma davvero quando nel noir cogliamo le realtà del quotidiano, le bassezze, la miseria esistenziale siamo lontani dal capire i grandi problemi e ci limitiamo a pezzi disordinati di vita? E negli stessi romanzi del mistero (il “giallo” classico) non ritroviamo forse le tossine e le malignità di ristrette comunità che sono sulla piccola scala le stesse di tutto l’antropocene?

Per “fogli di via”