Critica del sindacalismo di Ernesto Rossi fu pubblicato dalle edizioni "la Fiaccola" di Milano nel 1945. La casa editrice aveva in catalogo, fra l'altro, testi di Einaudi (Problemi economici della federazione europea), Trentin (Stato, nazione, federalismo), Wootton (Socialismo e federazione), Gasser (Libertà comunale salvezza d'Europa). Pubblicava inoltre alcuni saggi di G.D.H. Cole e i "nuovi quaderni di Giustizia e Libertà" diretti da Riccardo Lombardi. Di "Esto" Rossi teneva in catalogo La riforma agraria e L'abolizione della miseria. Segnaliamo infine che quest'anno è uscita una nuova edizione (Massari editore) del celebre e indimenticabile Pagine anticlericali.
Ernesto Rossi
critica del sindacalismo,
introduzioneNella dottrina sindacalista si può distinguere:
1) una metodologia politica consigliata agli operai per impadronirsi del potere con l'azione diretta delle loro leghe - boicottaggio, sabotaggio, sciopero, - invece che attraverso il meccanismo elettorale delle democrazie "borghesi "; 2) un programma di organizzazione economica basata sulla gestione delle industrie da parte delle leghe operaie, che dovrebbe sostituire l'attuale organizzazione capitalistica (1).
La metodologia non è legata in modo indissolubile al programma: potrebbe valere anche per instaurare un regime diverso da quello sindacalista - ad esempio un comunismo pianificato dal centro - ed il programma economico sindacalista potrebbe essere attuato anche indipendentemente dall'azione diretta delle leghe operaie -ad esempio con la dittatura di un partito rivoluzionario.
A noi qui interessa solo il sindacalismo come. programma economico. Il sindacalismo come metodo per la lotta politica è un campo in cui giornalisti e declamatori demagogici hanno potuto sfogarsi a loro piacere. Per scrivere su tale argomento non c'è bisogno di alcuna preparazione speciale, né di una particolare capacità di analisi. Si capisce quindi che su di esso ci siano intere biblioteche. Sul sindacalismo come problema economico invece la letteratura è scarsissima. I propagandisti preferiscono non soffermarsi sui problemi tecnici che discendono dall'ipotesi di una società di produttori che gestiscano autonomamente le diverse aziende e i diversi rami di industria. Si contentano di ripetere lo "slogan" - le miniere ai minatori, le ferrovie ai ferrovieri, le fabbriche alle maestranze delle fabbriche - affermando che le attuali organizzazioni sindacali formate dagli operai nei paesi industriali per la difesa dei loro interessi di categoria, costituiscono le "cellule della società di domani". Alle critiche rispondono che bisogna aver fede nella Rivoluzione. La Rivoluzione saprà superare tutte le difficoltà, comprese quelle che nascono dalle contraddizioni logiche insite nel sistema. "Oggi - essi dicono - non è possibile tracciare neppure le linee maestre del nuovo ordine. La Rivoluzione si costruirà la sua strada man mano che andrà avanti". Con questa comoda scappatoia se la cavano a buon mercato.
II
Ma bisogna riconoscere che, comunque vago sia il programma sindacalista e qualunque sia il suo valore logico, è ad esso che oggi vanno le maggiori simpatie delle classi operaie e di coloro che ritengono necessaria una riforma radicale della società, per eliminare i redditi non guadagnati col lavoro personale per migliorare le condizioni economiche e morali dei lavoratori manuali portando tutti i cittadini ad una maggiore uguaglianza nel tenore di vita, e per rimediare ai più gravi inconvenienti che nella società capitalistica nascono dalla ricerca del profitto privato, quando l'interesse individuale contrasta con quello collettivo.
La prospettiva di un regime comunistico integrale - cioè di un monopolio assoluto da parte dello stato di tutti gli strumenti di produzione - soddisfa ben pochi. La stessa esperienza sovietica è valsa a far intendere che il capitalismo di stato non rappresenta un'alternativa favorevole rispetto al capitalismo privato, neppure per le classi operaie. Con esso gli operai cambiano il padrone capitalista con il padrone burocrate che non è meno esigente, né ammette una loro partecipazione maggiore alla direzione delle industrie; i redditi degli operai non sono più decurtati della parte che, in caso di successo, andava all'imprenditore, ma sono ridotti della somma degli stipendi fissi della massa degli impiegati necessari al suo posto per riempire moduli statistici, fare relazioni, e preparare tutte le altre "scartoffie" che le lontane autorità dirigenti richiedono, onde essere informate su tutti i particolari della vita dell'azienda ed assicurarsi che gli ordini siano eseguiti; al "caos" della - produzione da parte di innumerevoli imprenditori indipendenti - ognuno inconsapevole dell'attività svolta contemporaneamente dagli altri - con i correlativi malanni di crisi, disoccupazione, sperperi di tutti i generi, sostituisce un ordine in rapporto ad un unico piano centrale, che tende ad armonizzare tra loro tutti gli sforzi, ma che riporta al lavoro forzato, senza possibilità di cambiare di luogo e di occupazione e - mancando il riferimento ad un mercato degli strumenti di produzione - manca di ogni criterio razionale per la più efficiente ripartizione delle risorse disponibili; elimina i redditi derivanti dalla proprietà degli strumenti di produzione, e quindi il potere della plutocrazia, ma elimina anche ogni centro autonomo di vita che possa criticare ed opporsi alle classi governanti, nelle cui mani accentra un potere, che inevitabilmente si trasforma in tirannide.
Consapevoli con maggiore o minore chiarezza di queste conseguenze del regime comunistico, si schierano contro di esso non solo gli anarchici di tutte le tendenze, ma anche molti socialisti delle varie scuole, compresi i marxsti. E gli uni e gli altri dalla loro opposizione al regime capitalistico - caratterizzato dalla protezione giuridica della proprietà privata degli strumenti della produzione - sono in genere condotti ad aderire all'ideale, comunque riveduto con varianti gildiste, cooperativistiche, corporativistiche, di una società organizzata sindacalisticamente.
"Le idee piccolo borghesi, di cui Marx credeva di aver trionfato - scrive il Mises (2) -sono molto diffuse anche nei ranghi dei socialisti marxisti. La grande massa non desidera il socialismo genuino. L'operaio desidera essere n mercato degli padrone degli strumenti di produzione che sono impiegati nella sua particolare impresa. Il movimento sociale intorno a noi dimostra ogni giorno che questo, e nient'altro, è ciò che l'operaio desidera. A differenza del socialismo, che è il risultato di studi a tavolino, l'idea sindacalistica nasce direttamente dalla mente dell'uomo comune, che è sempre ostile al réddito non guadagnato se va a qualchedun altro".
III
Non è difficile intendere perché il programma sindacalista riscuota tante simpatie. Esso promette di far cessare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, senza instaurare un regime burocratico accentrato, soffocatore di ogni iniziativa individuale, anzi creando le condizioni più favorevoli allo sviluppo della personalità di tutti gli uomini, qualunque sia la loro posizione sociale. Presentandosi come lo strumento mediatore della giustizia con la libertà, il sindacalismo soddisfa così le due aspirazioni più vivamente sentite e più largamente diffuse nella società dei nostri tempi.
Vediamo infatti quello che esso promette.
Come abbiamo detto, la sua idea centrale è che gli strumenti della produzione - terra, miniere, macchine, stabilimenti industriali, ecc. - dovrebbero appartenere alle diverse categorie di lavoratori che li impiegano nel processo produttivo. E' evidente che questi strumenti non dovrebbero appartenere pro rata ai singoli lavoratori che si trovano occupati in un certo momento nell'una o nell'altra industria: altrimenti la buona o la cattiva fortuna, lo spirito di risparmio e quello di dissipazione, le compre-vendite ed i prestiti, le eredità e le donazioni, col trascorrere del tempo, ricostituirebbero una classe borghese che vivrebbe ancora sui redditi della proprietà alle spalle del proletariato. La proprietà degli strumenti di produzione dovrebbe invece essere dei vari sindacati operai, ognuno dei quali si presenterebbe come una persona giuridica e comprenderebbe tutti i lavoratori occupati in un ramo di industria. Ogni sindacato si amministrerebbe per proprio conto, stabilendo il piano della produzione, nominando i dirigenti delle aziende, e ripartendo gli utili conseguiti, con un procedimento analogo a quello che oggi seguono i trusts nell'interesse dei soci capitalisti. Ogni sindacato comprerebbe dagli altri le materie prime ed ausiliarie di cui avesse bisogno, e venderebbe poi ai consumatori (individui e sindacati) i suoi prodotti, compiendo queste operazioni ai prezzi che si stabilirebbero sul mercato in conseguenza della domanda e dell'offerta.
In una società cosi organizzata tutte le forze produttive verrebbero automaticamente distribuite in modo da dare un rendimento massimo, corrispondente alla maggiore soddisfazione dei desideri dei consumatori, avendo i sindacati la stessa convenienza che hanno oggi gli imprenditori privati, a ridurre al minimo il costo unitario di produzione e a vendere i prodotti a chi offre il prezzo più alto. I consumatori con le loro domande dei beni di consumo dirigerebbero ancora tutta l'attività produttiva secondo i loro mutevoli gusti, in rapporto ai redditi che otterrebbero come lavoratori. Il sistema avrebbe quindi un'elasticità, una capacità dl adattamento alle mutevoli condizioni della tecnica, della popolazione e dei suoi gusti che manca al regime comunistico, costretto necessariamente nei rigidi ordinamenti burocratici, e negli uniformi regolamenti che la classe governante deve imporre dal centro per la esecuzione dei piani da essa ritenuti migliori. I capitalisti non potrebbero più appropriarsi di una parte della ricchezza che non concorrono a produrre con la loro fatica, valendosi del monopolio che oggi il regime borghese garantisce loro giuridicamente sugli strumenti della produzione. Al lavoro sarebbe data una dignità che non può avere finché viene compiuto come passiva esecuzione di ordini di un padrone o di un burocrate, senza alcun interessamento personale e senza alcuna conoscenza dei fini che con esso si intende raggiungere.
La gioia del lavoro non sarebbe più un sogno di utopisti ben intenzionati. I lavoratori si sentirebbero continuamente responsabili del processo produttivo al quale partecipano, e, vedendo responsabilità sanzionata dagli utili e dalle perdite del loro sindacato, sarebbero stimolati dal loro tornaconto ad amministrare nel modo più oculato possibile le loro aziende ed a lavorare con la migliore volontà. La scomparsa della plutocrazia corruttrice e delle masse di miserabili facilmente corrotti ed indifferenti al bene pubblico, l'aumentato senso di responsabilità e di dignità dei cittadini, in quanto produttori inquadrati nei diversi sindacati autonomi, renderebbe possibile una forma più perfetta di democrazia, migliorando quel controllo degli interessati sulla classe governante, che rimane pur sempre un diritto privo di contenuto reale col capitalismo privato del regime borghese e col capitalismo di stato del regime comunista.
Gli economisti in generale hanno considerato troppo incoerente questo programma sindacalista perchè mettesse il conto di sottoporlo ad una critica particolare. Mentre hanno preso in attento esame l'ordinamento comunistico quale tipo possibile di organizzazione economica, quando hanno avuto occasione di accennare al sindacalismo si sono quasi sempre limitati ad esprimere in poche parole il loro giudizio, affermandone l'assurdità come cosa da tutti ormai ammessa e risaputa (3).
Nel presente studio noi riprenderemo e svilupperemo tali accenni e, alla luce della moderna teoria del valore, cercheremo di impostare nel modo più chiaro i principali problemi correlativi all'ipotesi di un regie sindacalista, per stabilire quali sarebbero le conseguenze pratiche della sua attuazione, assumendo che rappresenti una terza soluzione possibile, oltre a quella liberale del capitalismo privato e da quella comunistica del capitalismo di stato.
La grande diffusione dell'ideologia sindacalista sembra giustifichi oggi un tale esame.
E' vero che la gran massa di coloro che prendono parte alla lotta, politica, per motivo non di ambizione personale, seguono solo impulsi sentimentali e sono disposti ad accettare come realtà qualsiasi ,miraggio faccia apparire nelle nuvole la Città celeste, cara al loro cuore. Ma ci sono anche individui che cercano di proporsi un insieme di obbiettivi non contradditori e di scegliere ragionevolmente i mezzi più idonei, dopo uno spassionato esame delle varie alternative possibili. E non è detto che nei momenti critici questi ultimi, anche se costituiscono una esigua. minoranza, abbiano sempre un peso minore dei molti nel determinare l'indirizzo generale della politica.
note:
(1) Nella mozione, votata al congresso di Amiens del 1906, che è ancora la carta fondamentale del sindacalismo rivoluzionario europeo, il sindacalismo "prepara la emancipazione integrale che non può realizzarsi che
con l'espropriazione capitalistica; preconizza come mezzo di azione lo sciopero generale, e considera che il sindacato - oggi aggruppamento di resistenza - sarà nell'avvenire il gruppo di produzione e di ripartizione base della riorganizzazione sociale" .
(2) A pag. 270-271 di Socialism (New York), traduzione inglese sulla seconda traduzione tedesca di Die Gemeinwirtschaft pubblicata nel 1932.
(3) 'L'unico saggio critico che conosciamo sul sindacalismo nella letteratura economica italiana è quello di U. Ricci in Dal protezionismo al sindacalismo (Bari, 1920).