Carlo Romano

Ercolani a schermo nero

 

Marco Ercolani: L'OPERA NON PERFETTA. Note tra arte e follia 1999-2009, Nicomp, Firenze 2010 | Marco Ercolani - Lucetta Frisa: SENTO LE VOCI. Discorsi di "matti", La Vita Felice, Milano 2009 | Marco Ercolani: A SCHERMO NERO, QuiEdit, Bolzano 2010

C'è la malattia creativa e la malattia creativa è la follia. Ma la follia è una malattia? In un contesto dato - etico, culturale, sociale, sessuale - c'è chi non riesce a far niente di meglio che di esprimersi attraverso gli eccessi, nelle diverse direzioni, della follia. Quello che fa il matto ha una sua somiglianza con l'arte, e forse arte è, se si sapesse bene cosa l'arte sia. Più spesso sono gli artisti che "danno di matto", cercando forse quel meravigliato rispetto che circondava i matti degli antichi regimi (gli artisti, si sa, sono egocentrici, ma i matti, si sa forse meno, lo sono anche di più).

Marco Ercolani si occupa professionalmente di matti e tutto fa credere che sia matto pure lui, tanto è vero che fa lo scrittore. Recentemente ha raccolto una serie di saggi che è andato scrivendo negli ultimi dieci anni su questo tema, non estraneo, della follia. Con un po' di Deleuze, una citazione di Foucault, la mezione di Marius Schneider, si crogiuola fra Cervantes e Wolfli con la coscienziosità del bravo saggista. Di più, e di meglio, francamente non saprei dire. Fin qui la prima parte di questa raccolta. La seconda - sono matto anch'io - mi è viceversa letteralmente esplosa fra le mani, mi è deflagrata negli occhi, mi ha colorato la mente.

Questa seconda parte, se ho capito bene, è diversamente dall'altra del tutto inedita, ma non è questo che ha prodotto gli effetti di cui dicevo - così fosse sarei più un maniaco che un matto. In questa seconda parte ci sono degli schizzi biografici relativi ad alcuni grandi artisti grandi matti che hanno la capacità (gli schizzi, non i matti e men che mai gli artisti) di lasciare tutto talmente inconcluso che la conclusione stenta a concludersi, lasciando quell'attimo di perplessa sospensione che è indispensabile se poi si vuole arrivare a quella smorfia di sorriso quando il sorriso lo si vuole nero. A questa parte ha collaborato Lucetta Frisa, ed è mia impressione che il suo contributo sia consistito prima di tutto nel tenere a freno la logolatria di Ercolani attraverso la ragionevole follia dell'"esprit de geometrie" e con qualche punta (la butto lì, ma non c'è da farci affidamento) di irragionevolezza femminile (che si tratti invece di "sense of Humor"?).

I due del resto hanno collaborato a Sento le voci e al più vecchio Anime strane (Greco & Greco, 2006) che in fatto di "estetica" della follia la dicono più lunga di tanti ponderosi saggi. Si tratta di libri nei quali la casistica psichiatrica assume i contorni della ordinaria patologia del vivere, con le varie incarnazioni in personalità non pregiudizialmente eccessive, anche se quelle così caratterizzate hanno su di me un loro peculiare potere seduttivo (mi si deve capire: in quest'ambito di letteratura ho sempre adorato, più di celeberimi trattati, il manuale di sessuologia del Pellegrini, stampato e ristampato a lungo dalla Cedam di Padova). Questi due libri, e gli "schizzi" biografici menzionati sopra, ancorché realisticamente fondati (i libri derivano da "casi" osservati direttamente) o derivati da fatti accertati, si intrecciano a meraviglia con quel paradossale sistema di racconto che ha reso scrittore affermato, ammesso che lo sia fuori dalla cerchia esigente dei suoi ammiratori, Marco Ercolani, vale a dire - un po' sulla scorta di Pater e Schwob - la falsa biografia, la vita immaginaria, l'immaginazione apocrifa applicata al noto.

Con A schermo nero Ercolani ha dislocato questa sua vocazione sulla storia del cinema, con risulati dai quali il suo buon esegeta Luigi Sasso ha modo di accedere attraverso il falso ("solo ciò che si traduce in finzione acquista la dignità del vero") a una identità letteraria che non si distingue dall'intima personalità di Ercolani. Devo fare tuttavia un appunto, e non al suo puntuale commentatore, ma allo scrittore stesso. Si tratta di un errore (ma posso attenuare l'impatto parlando di "svista"). Ercolani cita Peeping Tom come se fosse un film in bianco e nero, quando viceversa era a colori (Eastman colori). Qui l'apocrifismo c'entra come i cavoli a merenda (e Peeping diventa fra l'altro Sleeping, anche se poi nell'indice il titolo lo si legge esatto). Non è questa tuttavia la posta in gioco. Se per un attimo ho fatto prevalere il maniaco, e il maniaco arrabbiato, devo tornar sobrio (matto?) e riconoscere in questi pseudo progetti, pseudo annotazioni, pseudo ricordi, pesudo interviste, pseudo un mucchio di altre cose della gente del cinema, non semplicemente l'atto d'amore schietto e profondo per il loro per niente pseudo lavoro, ma una forza narrativa che si estrinseca in forme sorprendentemente varie e altrettanto sorprendentemente disinvolte, tanto da pensare che Ercolani sia l'apocrifo di se stesso. “Fogli di Via” novembre 2010