Marco Ercolani
racconto di uno sguardo
Nel
2014 Leonardo Rosa pubblica, per le la collana Le Carte nascoste delle Edizioni
Campanotto, Racconto di uno sguardo. Il
libro è un complesso quaderno di appunti, riflessioni, ricordi, pitture,
raccolti nell’arco di una vita intera: è un oggetto indefinibile e cangiante,
che si può leggere sincronicamente come autobiografia e diacronicamente come
zibaldone. Una pagina riporta dei fili d’erba bruciati collocati dentro
rigorosi quadrati; la pagina contigua queste parole: «Caro Pierre, la nostra pelle è spiegazzata / ma l’entusiasmo è ancora
respiro fresco. / Bisogna continuare a dipingere…/ Non abbiamo tempo di perdere
tempo. / Dove siete arrivati? chiedono. / Siamo sempre in viaggio nel nostro
mondo interiore / Orsi in libertà». E ancora, qualche pagina dopo: «Mi è venuta un’idea? / Stanotte? /
Stanotte. / Ma il tuo cervello non
rallenta mai? / Di notte ha dei lampi». E, alla fine del libro, in omaggio
a chi scrive questa breve nota, questa citazione: «Abbiamo scritto. Abbiamo modulato il nostro nulla. Adesso aspettiamo».
Anche
se non è facile, perché il tempo scorre veloce, occorre aspettare. E occupare
il tempo con libri inesauribili, come Racconto
di uno sguardo; libri da percorrere come diari, taccuini, memorie personali,
frammenti poetici, dall’infanzia alla giovinezza all’età matura. Il titolo del
volume è un omaggio al poeta Bernard Noël che ha dedicato a diversi artisti
visivi, tra cui Leonardo Rosa, il suo Diario
di uno sguardo, dove apre un dialogo inesauribile fra poesia e pittura.
Dialogo che percorre anche questo libro di Leonardo, oggi ottantaseienne.
Riascoltiamo
ancora, dal libro, la sua voce, come se parlasse a se stesso: «Dice dalla tua prima opera sono passati
cinquant’anni. / Che artista pensi di essere? Come ti definisci? /
Semplicemente artista a come anomalo /
a disagio in un ambiente di trappole
rispondo».
Anomalo,
Leonardo lo è sempre stato. Nel 1948, nell’immediato dopoguerra, fonda la
rivista poetica, “Momenti”; negli anni cinquanta conosce Emilio Scanavino e
inizia la sua ricerca informale; nel 1974 si ritira a Castelvecchio, un borgo
medioevale ligure, e inizia a lavorare con cenere e carbone; viaggia in Corsica
e in Grecia; espone in Germania, Olanda, Svizzera; nel 1992 incontra Raphaël
Monticelli, poeta e critico d’arte, con cui inizia una lunga intimità creativa;
inventa i bois flottés – legni di
deriva – che intitola Tjuringa, ispirandosi alle Vie dei canti di Bruce Chatwin; lavora con imballi alimentari,
pelli vegetali, filtri da thè, erba bruciata; inizia i suoi soggiorni nelle
Isole Cicladi e a Iraklia torna a scrivere componendo proprio Taccuino delle Cicladi, tradotto da Raphaël
Monticelli con il titolo Les chariots du
ciel. Nel 2009 scrive Blu al quadrato,
un libro che anticipa Racconto di uno
sguardo, e che è ancora un diario-zibaldone, una sorta di jam session del poeta-pittore su temi a
lui cari.
Riascoltiamolo
ancora: «La sera dopo il mercato cronaca in forma di lettera. // Cele cara /
mi trovo in una falsa antica osteria. / Bevo vino che non è. Sul mio tavolo c’è
un piatto ovale / con polpettone e torta di cipolle. / Al tavolo vicino tre
giovani coppie dissertano / su Mozart e Mahler / con brividi di acciughe
affogate in un catino di limone».
Qual’è
la capacità sottile e intrigante di Leonardo Rosa? Quella di giustapporre i
toni con felice, selvatica, innocente disinvoltura. Si parla di Miss Maremma,
Miss Estate, Baglioni, tabaccherie, biciclette, uva barbarossa, e di teorie
pittoriche, con un tono sempre svagato, da ragazzo che prende appunti,
disorganizzato e anarchico, addolorato e scherzoso, sentimentale e grottesco.
«Attraverso una periferia di
ciminiere e pedalo tra i campi. / Lontano appare un capannone schiacciato fra
le zolle. / È la filatura. / Avvicinandomi il portale di ferro ingigantisce / e
le inferriate dei finestroni diventano più massicce. / Mi sento libero».
Rosa
dispone in versi il materiale della sua scrittura, ma sono versi liberi da
qualsiasi intenzione poetica; sembrano ancora una volta annotazioni sparse,
dove l’andare a capo è la tonalità emotiva del momento.
Il
libro si suddivide in lunghi capitoli: Tempo
uno, Tempo due, Tempo Tre, e cinque Intermezzi, in cui Rosa continua a
raccontare le sue storie: «intanto l’autore novizio / raccontandole s’è
distaccato dalle sue memorie / e noi siamo diventati personaggi di un
racconto». Racconto di uno sguardo
non si vergogna di non avere un centro. Lo scrittore-artista intreccia la
scrittura come se dipingesse: «No, non
userò le tele ma povera carta / e in un giorno brucerà sarà cenere di cenere».
In queste sue “carte nascoste” Leonardo è pienamente libero: assembla schizzi
inconsci, fumetti, poesie visive, fotografie, versi, frammenti; divaga come se tracciasse
uno schizzo della sua vita d’artista.
In
una pagina annota: «Ricomincio. / Voglio
conoscere il materiale carbone e disegnare corpi / a grandezza naturale. / Non
cerco idee ma l’emozione di avere davanti un foglio / più alto di me e
misurarmi con l’ampiezza del gesto». Nella seguente riproduce un suo nudo
arcaico, giacomettiano, tracciato col carbone.
Contrasti
continui, che rendono il libro increspato, imprevedibile, doloroso, umano,
talvolta buffo, dove la riflessione sull’arte è contigua a una percezione
sarcastica della realtà e dei suoi imprevisti dettagli. Ecco un’altra
annotazione, di sorprendente autoironia: «Vorrei
avere la rabbia ironica di Bukowski. / Invece scrivo lagni lagni d’infante». O quando festeggia il
suo compleanno con un graffiante viaggio à
rebours: «2009 14 marzo
mi sveglio alle 3.28 compleanno.
/ Ero vecchio a sedici anni frusto a
ventiquattro. / Senescente a trentotto. Poi mi sono fermato. Magia di Cele. /
Adesso sono un ragazzo ottantenne. Chioma abbondante. / Pelle e tutto il resto
a norma senza coloranti e conservanti».
Leonardo
Rosa, indomabile ragazzo, non smette di mostrarci, libro dopo libro, disegno
dopo disegno, la sua non placata energia vitale, ma sempre la associa a una
cupa malinconia distruttiva, a un fotogramma in negativo: «non ho visto / non ho ascoltato / non ho detto / non ho fatto / non ho
capito», al quale noi lettori non riusciamo mai del tutto a credere,
convinti, leggendo questo libro, autoritratto di artista puer e senex insieme, che
brinderemo sempre a un possibile futuro: «Brindiamo
/ A che cosa? / Brindiamo all’anima a
quella che il borgo non ha più. / All’anima che se n’è andata con l’ultimo
vecchio. / E l’idea? / E’ in una domanda. Assurda alla nostra età. / Quale? /
Cosa ne dici di mollare tutto e cercare un luogo nuovo?». E chiuderò questa
mia divagazione con un frammento dalla Lettre
Verticale XXXVII dedicata da Bernard Noël a Leonardo: «alla fine del soffio visuale trema / ora un essere là senza viso / si percepisce
un pensiero un luogo / un gesto dove l’amicizia / riunisce tutto il presente».