le voci che corrono

Tristan Egolf*

> Tristan Egolf, Il Signore della fattoria, Frassinelli, Milano, 2001

"A raccontarla, sembra una favola. Un americano squattrinato che vivacchia suonando la chitarra al Pont des Arts di Parigi incontra una fanciulla. "Sto scrivendo e riscrivendo un romanzo" le dice. "Ed è stato già rifiutato da 50 editori". La ragazza, figlia dello scrittore Patrick Modiano, chiede di vedere il manoscritto. Mentre il giovanotto viene invitato a cena in famiglia, le pagine vanno in lettura all’editore Gallimard. Pubblicato a tempo di record, recensito benissimo, il romanzo è diventato un caso letterario, prima in Francia, poi negli Stati Uniti e in Inghilterra (ottimo investimento per la lungimirante casa editrice, che si era accaparrata i diritti mondiali). Ora esce in Italia, con il titolo: "Il signore della fattoria".

"La maggior parte dei rifiuti erano lettere circolari" ammette il miracolato Tristan Egolf (che oggi ha trent’anni), musicista punk e distratto studente all’università di Filadelfia, abbandonata dopo le prime tre lezioni del corso di scrittura. Meno male, viene da dire, perché è difficile figurarsi un lettore (per quanto professionista e quindi ormai sprovvisto di entusiasmo)insensibile al fascino di un romanzo come questo, che comincia con una frase lunga 25 righe. E che va avanti per 458 pagine senza una sola battuta di dialogo. E in cui la voce narrante annuncia di continuo che il peggio deve ancora arrivare. Ma già nel prologo sappiamo che il protagonista, John Kaltenbrunner, viene al mondo nel la ritirata di un treno in corsa, cade malamente sulle traversine, ha la placenta divorata dagli avvoltoi. Adottato da un topo di fiume (come vengono chiamati i reietti che vivono sui monti Appalachi, si accoppiano incestuosamente, non conoscono né ospedali né tasse, rubano il granturco e forse uccidono gli incauti viandanti) riesce a sopravvivere. E cresce accumulando una bella dose di rabbia da sfogare.

Così vuole la leggenda, su John Kaltenbrunner. La verità, solo un po’ meno lugubre (nel romanzo, è affidata a una voce narrante che fa da coro), riferisce di un padre morto prima della sua nascita, per un incidente in miniera. Assieme a un enorme scannatoio di pollame, è questa l’unica risorsa di Baker, cittadina del Midwest abitata dai discendenti dei coloni tedeschi e scandinavi: bianchi straccioni e poco svegli che, già in patria, menavano le mani volentieri. Il risultato è qualcosa che sta a metà tra la "Fargo" dei fratelli Coen e il suonatore di banjo di "Un tranquillo week end di paura".

"il Foglio", 27 marzo 2001

***

"Hai detto che è stata la comicità di Charlie Chaplin ad aver influenzato la tua scrittura.

Sicuro. Tendo a dire che Chaplin mi ha influenzato più degli autori verso i quali si suppone che mi sia indebitato. Continuo a leggere di autori contemporanei che non conosco come di quelli che hanno avuto un possente influsso sulla mia storia. La gente automaticamente crede che si sia condizionati da altri autori, non dalle pellicole o dalla musica o dagli altri mezzi di comunicazione".

Gadfly production, 2000

*Rifugiatosi a Londra e ad Amsterdam agli inizi degli anni ‘90, ha suonato per qualche tempo in una punk-band chiamata Kitschchao. Sfuggendo all’ingrato lavoro di cameriere in un pub di Philadelphia si stabilì poi a Parigi,. Attualmente vive a Manhattan.

<