Stefano Salis
Addio a Elmore Leonard,
maestro oltre le regole.
Elmore Leonard
(1925-2013)
Era un maestro: non c’è alcun dubbio. E se anche, in
Italia, non godeva di quella fama che, invece, in America gli guadagnava
migliaia di lettori e ammiratori illustri (tra cui Quentin Tarantino), Elmor
Leonard, morto ieri nella sua abitazione di Detroit, all’età di 87 anni, è
stato uno dei pochi scrittori di genere capaci di superare le convenzioni e,
anzi, di screditare qualunque critico volesse rinchiuderlo dentro schemi
prefissi. Intendiamoci. Non che non sapesse o non rispettasse le regole dei
generi (noir o gialli, come volete). Solo che, rispettandole, era capace di
superarle. Per questo era un maestro.
“Dutch”, come lo
chiamavano fin da giovane, era stato colpito a fine
luglio da un ictus che non lasciava molto spazio alla speranza. La sua parabola
di scrittore è stata simile a quella di molti altri, soprattutto autori
americani, che hanno incrociato, nella loro fertile attività, il cinema. Elmore
Leonard, infatti, è stato ispiratore di molti successi di Hollywood, tanto da
diventare anche sceneggiatore e produttore. Imbattibile nei dialoghi, sono suoi
i soggetti che diedero poi vita a film come Get
Shorty, Quel
treno per Yuma, e appuntoJackie Brown, girato da Tarantino.
Di educazione
cattolica (singolari tematiche religiose saranno da lui
affrontate in alcuni romanzi come Imbroglio e Il tocco), si era laureato in
filosofia. Era irresistibilmente attratto dall’America più povera e
dimenticata, dai derelitti, dai farabutti, dai killer. «Mi interessa chi non ha
un lavoro e per sbarcare il lunario fa qualcosa d’altro nella vita» aveva
dichiarato una volta.
«Elmore Leonard è
un attentissimo osservatore della società che lo circonda e del suo
paesaggio mediatico» ha scritto Wu Ming 1, traduttore e ammiratore dello
scrittore nella prefazione a quelli che molti pensano sia il capolavoro di
Leonard, Tishomingo
Blues. «A quasi ottant’anni d’età continua a inserire nei suoi romanzi –
continuava Wu Ming nel 2003 - (praticamente in tempo reale) i cambiamenti dovuti
all’arrivo delle nuove mafie, gli scandali politici, il gossip più aggiornato,
la più recente ondata di revival culturale, i vecchi e nuovi luoghi comuni dei
reazionari a stelle e strisce, la demenza dell’imperialismo, le pagine nere
della guerra contro Cuba, dell’invasione di Santo Domingo e Grenada, dell’appoggio
ai contras nicaraguensi... Tutto ciò rende ogni suo libro inconfondibilmente
contemporaneo, eppure mai datato, anche leggendolo a quindici o vent’anni dalla
prima edizione».
Leonard ha avuto
tre mogli, cinque figli, nove nipoti. Negli ultimi anni,
occhialini e barbetta appariva come un vero gentiluomo del Sud (era nato a New
Orleans). Laura Grimaldi, signora del giallo italiano, collaboratrice del
Domenicale del Sole 24 Ore, che lo conobbe bene, ne lodava «l’accento morbido,
i modi cortesi, la languida pigrizia - solo apparente - che sembra evocare una
poltrona a dondolo sotto un portico ombreggiato da una quercia. In realtà,
quando non è in viaggio possiede una metodicità nordica: sveglia alle sette;
due ore di appunti o di verifica delle ricerche effettuate dai neolaureati che
regolarmente manda in avanscoperta, con dettagliate istruzioni, nei luoghi in
cui ambienterà le sue storie e che poi visiterà personalmente; sei ore di
scrittura (dapprima a mano e poi a macchina, mai su computer)».
Era tornato spesso
sul concetto di scrittura, pubblicando anche delle
famose regole (le vedete a parte) che diventarono un succoso libretto dopo la
prima pubblicazione sul New York Times. Una volta per tutte aveva espresso il
suo concetto fondamentale: «intendo intrattenere, non insegnare, non
predicare».
Lo aveva perseguito
tenacemente in oltre 40 romanzi e racconti. Se ne dovessimo scegliere uno, forse indicheremmo proprio Tishomingo.
Non a caso un blues, non a caso un libro di perdenti e derelitti, riscattati
dalla letteratura.
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Le 10 regole di E. L. 1. Mai iniziare un libro parlando del tempo. Se è solo per creare atmosfera, e non una reazione del
personaggio alle condizioni climatiche, non andrai molto lontano. Il lettore
è pronto a saltare le pagine per cercare le persone. Alcune eccezioni. Se ti
capita di essere Barry Lopez, che conosce più modi di un eschimese per
descrivere il ghiaccio e la neve nel suo Sogni Artici, puoi fare tutti i
bollettini meteo che vuoi. 2. Evita i prologhi: possono irritare, soprattutto quelli che seguono un’introduzione
che viene dopo una prefazione. Queste sono cose che di solito si trovano
nella saggistica. In un romanzo, un prologo è un antefatto, e puoi metterlo
dove ti pare. C’è un prologo in Quel fantastico giovedì di
Steinbeck, ma va bene perché lì c’è un personaggio che centra esattamente ciò
di cui parlo in queste regole. Dice: “Mi piacciono i dialoghi in un libro, e
non mi piace che nessuno mi dica com’è il tizio che parla. Voglio
immaginarmelo dal modo in cui parla”. 3. Nei dialoghi non usare altri verbi
tranne “disse”. La battuta appartiene al personaggio;
il verbo è lo scrittore che ficca il naso. Almeno, “disse” non è invadente
quanto “borbottò”, “ansimò”, “ammonì”, “mentì”. Una volta notai che Mary
McCarthy aveva chiuso una battuta con “asserì” e dovetti smettere di leggere
e prendere un dizionario. 4. Non usare un avverbio per
modificare il “disse”. Usarlo in questo modo (o in
qualsiasi altro modo) è un peccato mortale. Così lo scrittore si espone
troppo, usando una parola che distrae e che può interrompere il ritmo dello
scambio. In uno dei miei libri si raccontava di un personaggio che era solito
scrivere storie d’amore d’ambientazione storica “piene di stupri e avverbi”. 5. Tieni i punti esclamativi sotto
controllo. Ti è permesso di usarne non più di due
o tre ogni 100.000 parole. Se poi sei incline a giocare con i punti
esclamativi come Tom Wolfe, puoi aggiungerne a manciate. 6. Non usare mai “improvvisamente” o “s’è
scatenato l’inferno”. Questa regola non richiede una spiegazione. Ho notato che gli
scrittori che usano “improvvisamente” tendono ad avere meno controllo nell’uso
dei punti esclamativi. 7. Usa dialetti e slang con
moderazione. Una volta che cominci a compitare
foneticamente le parole nei dialoghi e a riempire le pagine di apostrofi, non
sarai più in grado di fermarti. Nota come Annie Proulx cattura il sapore
delle sonorità del Wyoming nella sua raccolta di racconti Distanza ravvicinata. 8. Evita descrizioni dettagliate dei
personaggi, come faceva Steinbeck. In Colline come elefanti
bianchi di Ernest Hemingway
come sono “l’Americano e la ragazza che era con lui”? “Si era tolta il
cappello e lo aveva messo sul tavolo”. Nel racconto, questo è l’unico
riferimento a una descrizione fisica. 9. Non dare troppi dettagli
descrivendo posti e cose, a meno che tu non sia Margaret Atwood e sia in grado di dipingere
con le parole. Non vuoi descrizioni che portino l’azione – il flusso della
storia – a un punto morto. 10. Cerca di omettere le parti che i
lettori tendono a saltare. Pensa a cosa salteresti leggendo un
racconto: fitti paragrafi che trovi abbiano troppe parole. |
“il Sole 24
Ore” , 20
agosto 2013