Maurizio Cabona
Dunkirk
In politica,
dunque in guerra, determinante è il nemico, come insegna Carl Schmitt. Ma nell’ambizioso
film Dunkirk
di Christopher Nolan (uscirà in Italia giovedì 31) il
nemico di una battaglia essenzialmente aereo-navale è rappresentato solo da tre
caccia Messerschmitt e da un unico bombardiere Heinkel, i cui piloti non hanno volto. I tedeschi s’intravvedono
solo alla fine, con volti volutamente sfocati.
Rappresentare
così - quasi in contumacia dei vincitori - la sconfitta subita dalla Francia e
dalla Gran Bretagna in terra prima, in cielo e in mare poi, a opera della
Germania nel maggio-giugno 1940 significa che Nolan vuole
concentrare l’attenzione dello spettatore sui vinti e rendere meno arduo il
successo del film in Germania e Austria, dove cento milioni di potenziali spettatori hanno motivo di
ricordare quella battaglia nella prospettiva della Brexit,
cioè di una Gran Bretagna sempre ostile al continente. Si ricordi che Nolan ha, come Winston Churchill, madre americana e padre
inglese ed è nato nel 1970, quando la Gran Bretagna era ancora fuori dal
Mercato Comune Europeo per volontà della Francia, che preferiva mantenere
l’egemonia continentale avendo la Germania come (junior) partner. Senza che glielo si chieda, nella cartella stampa di Dunkirk, Nolan indica Alien di Ridley Scott tra i film ai quali si è ispirato: e
lì il nemico si vede poco e solo verso la fine, nella considerazione che la
minaccia invisibile o comunque indefinita è la peggiore, e può essere combattuto
senza pietà. Infine c’è un’altra spiegazione, connessa con le difficoltà di
raccontare un episodio remoto come uno del 1940: che il pubblico sotto i 50 anni
prenderebbe l’elmo tedesco di allora per l’elmo americano di oggi. Ovvero: il
cattivo per antonomasia dei film di guerra sembrerebbe il buono. Non paia un’inezia:
negli Stati Uniti Dunkirk
ha fatto incassi inattesi per un film dove non si vede un militare americano.
A quasi
ottant’anni dai fatti evocati, l’intento di Nolan non
è solo onorare caduti e reduci, ma anche dire ai giovani britannici che, in
tempi di Brexit, il nemico resta la Germania, che ha diversamente,
ma nuovamente, soggiogato la Francia, il Belgio e l’Olanda, proprio come nel
maggio-giugno 1940. E che è solo la Gran Bretagna, col Commonwealth, a
difendere la “libertà”, in attesa che gli Stati Uniti si decidano a riconoscere
nella Germania il nemico di sempre. E il paragone tra battaglia di Dunkirk e referendum per la Brexit,
due onorevoli fughe dall’Europa continentale, è coerente.
Dunkirk, in quanto disfatta
vittoriosa, è infatti un evento che la Gran Bretagna evoca quando le cose le
vanno male, per suggerire che le andranno meglio. Il precedente film con lo
stesso titolo, diretto da Leslie Norman e uscito in Italia nel 1958 col titolo Dunkerque, fu girato subito dopo la
sconfitta di Suez (novembre 1956), anche quella volta patita accanto ai
francesi, con la fine della loro influenza sull’Egitto. Londra ne dedusse una
conseguenza: “Mai più in guerra senza gli Stati Uniti”. Parigi invece ne
dedusse: “Mai più in guerra accanto agli Stati Uniti”.
La battaglia di Dunkirk ha trovato anche una versione francese in Week-end
a Zuydcoote di Henri Verneuil
(1964), quando più profonda era la frattura nell’Alleanza atlantica tra Francia
e Stati Uniti e più netta l’opposizione della Francia all’ingresso della Gran
Bretagna nel Mercato Comune Europeo. Una versione che ricordava come i
britannici imbarcarono quasi tutti i loro militari, ma lasciarono a terra quasi
tutti i militari francesi, condannandoli alla prigionia in Germania. Non solo: un
mese dopo essersi trovati inchiodati coi francesi a Dunkirk,
a Mers el Kebir i britannici spareranno senza alcuna remora agli ex
alleati francesi; idem tre mesi dopo a Dakar; idem un anno dopo in Siria; e per
quattro anni bombarderanno dal cielo le città francesi.
I film che
raccontano fatti di ieri o dell’altro ieri si rivolgono ai popoli di oggi. Così
un mese fa l’uscita in Francia del film di Nolan vi ha
provocato comprensibili polemiche: l’unico militare francese che vi è
rappresentato è, infatti, un disertore che veste l’uniforme inglese per
mettersi in salvo oltre-Manica, per giunta senza riuscirci. Del resto la
Francia è ora, per certi versi, come era nel giugno 1940 e deve adeguarsi alla
Germania.
Nolan è un
regista-autore, non un tecnico che confeziona film, quindi da lui ci si
aspettava un’opera importante. Ha scelto non l’estrema complessità dei suoi
ultimi film hollywoodiani, ma la sobrietà dei film britannici degli anni ’40 e ’50,
i meno falsi che ci siano nel cinema, che è comunque uno strumento di
propaganda. Ha diviso la vicenda su tre piani temporali: quella sulla spiaggia,
che dura una settimana; quella sul mare, che dure un giorno; quella in cielo
che dura un’ora. Quanto l’autonomia di un aereo da caccia di allora. E ha
scelto, con l’eccezione di Kenneth Branagh, attori bravi ma non divi, quindi
gli interpreti non sopraffanno i personaggi, con l’eccezione di Cillian Murphy (il militare terrorizzato che uccide uno dei
soccorritori). Lo spettatore che non conosca la storia capirà poco, ma imparerà
l’atteggiamento comune britannico verso la sconfitta in guerra, perché il film
di Nolan si chiude con gli onori del Devonshire –
sull’altro lato della Manica rispetto a Dunkirk – per i vinti e con la resistenza a oltranza scandita
nel celebre discorso di Winston Churchill nel giugno 1940. Nel 1948, dopo un’Italia-Inghilterra giocata a Torino e finita 0-4, egli noterà:
“Gli italiani perdono le partite calcio come fossero guerre; e perdono le
guerre come fossero partite di calcio”.
“La Verità”, 23 agosto 2017