Dr. Louis Valentin
Lebbrosi a Chiavari*
Dopo aver costeggiato il
mare su una strada larga e agevole, fiancheggiata da giardini addossati, sulla
destra, alle colline, si arriva a Chiavari. Questa cittadina, sulla riva,
situata in posizione amena e ricca di strade, e parzialmente disposta ad
anfiteatro, dispone, in basso, di una grande piazza quadrata dove si tengono
importanti fiere. La popolazione ammonta a 8.000 anime, di cui una parte vive
nell'agiatezza. Vi si producono molti pizzi.
L'ospedale, situato in
posizione elevata, è ben distribuito e amministrato in maniera competente. Il
signor Delpini è il medico e il signor Lagomaggiore, il chirurgo, sono stati loro i miei
accompagnatori. Li ho interrogati intorno alla lebbra, di cui conoscevo la
presenza a Chiavari; ecco l'estratto della nota che mi hanno consegnato per
iscritto, e che hanno firmato. La lebbra tubercoloide esiste in un solo
quartiere, detto delle saline, da una cinquantina d'anni. Cinque o sei
famiglie, occupate nel commercio dell'olio, ne sono colpite. Molte altre
famiglie, nello stesso quartiere, svolgono l'identica attività senza essere
affette dalla malattia, a meno che non si imparentino con individui delle
famiglie infettate. Molti lebbrosi hanno perso le falangi delle dita di mani e
piedi, e persino le ossa nasali; alcuni hanno perso gli occhi. Tutti avevano
alito fetido, soprattutto allorchè la malattia era
avanzata. La voce diventava rauca, poi andava interamente persa; il palato si
cariava e la pelle si copriva d'ulcere. Il numero di lebbrosi, a Chiavari,
ammonta, al presente, a 25, di cui quattro viventi: uno di questi, Giuseppe
Gagliardo, detto Camilletto, adesso abita a
Viareggio, in Toscana. Gagliardo, soprannominato Caban, che è stato curato
all'ospedale di Marsiglia e per il quale mi era stato richiesto un consulto
prima che m'imbarcassi per Napoli, nel 1820, è ritornato in famiglia. Cinque o
sei mesi dopo, è deceduto in seguito a febbre persistente, diarrea, afonia e
corpo con ulcere diffuse. Non si è rilevata la contagiosità di questa lebbra,
ma essa è ereditaria. Ho fatto la stessa constatazione a Vitrolles,
a sei leghe da Marsiglia, dove ho scoperto la lebbra squamosa e la tubercolosi.
Quattro viaggi compiuti in quel comune mi hanno dato l'occasione di raccogliere
materiali sulla lebbra, a cui ho aggiunto delle osservazioni sull'elefantiasi.
Il dr. Delpini di rado nota casi di gozzo in vicinanza del mare,
più sovente nelle valli profonde e strette in cui scorre il fiume Entella. Scrofola e tisi polmonare, mi ha detto, sono
comuni, soprattutto nelle abitazioni poco arieggiate del centro cittadino, dove
le famiglie passano gran parte del tempo nelle loro botteghe, in cui non
penetra mai la luce del sole, o sotto umidi porticati. Questo medico affidabile
non segue nessuna dottrina in esclusiva. È segretario del comitato per il
vaccino di Chiavari, dove quel metodo è molto in uso, come in tutto lo stato di
Genova. [...]
Nervi è un borgo
allungato, situato in posizione elevata sul mare, e vi si trovano costruzioni,
palazzi, fabbriche, terrazze e giardini ben curati. Il posto è, da questo lato,
uno dei più bei luoghi nelle vicinanze di Genova. Fino in città la strada è
gradevole e le colline sono coperte da deliziose case di campagna. L'altro
ingresso, a ponente, attraverso il sobborgo di Arena, è il più piacevole. [...]
Pammatone e gli Incurabili sono i due
ospedali civili. Grande e bellissimo il primo. Consta di un edificio nuovo
adattato all'antico. Peccato che la facciata, dove si nota una brutta porta in
legno, non corrisponda alla ricca costruzione degli interni. Le colonne dell'ampio
peristilio per cui si entra, le grandi scalinate che portano ai due piani, le
rampe, le balaustre sono di marmo bianco: pare di arrivare in un palazzo
signorile. […] Le sale sono vaste; quelle del primo piano ospitano, da un lato,
gli uomini febbricitanti e, dall'altro, i feriti. Quelle del secondo, dove
stanno le donne, formano un quadrato perfetto. Le sale dei malati sono
abbellite da statue, busti ed epigrafi che tramandano la memoria dei
benefattori dell'istituzione; quelli che le hanno lasciato 25.000 fr meritano una scritta; a chi gliene ha legato 50.000
spetta un busto e si è eretta una statua ai donatori di 100.000 fr. […] L'ospedale degli Incurabili non è, come si è
scritto, un superbo palazzo, e nemmeno paragonabile, anche
organizzativamente, al precedente; vi si accolgono gli indigenti, gli anziani e
i folli d'ambo i sessi. Questi ultimi sono separati dagli altri. A questo
ospedale si accede per un passaggio che conduce, salendo, dalla via Giulia, a
una grata di ferro. Questo passaggio misura circa 40 metri di lunghezza e oltre
5 di larghezza. I malati, giudicati incurabili, occupano, al primo piano, delle
sale ben arieggiate, con finestre ai due lati. Ho visto, nella
sale delle donne, sette file di letti: tutti di ferro e senza cortine. I
pazzi maniaci occupano il 2° piano. Ci sono due sale per gli uomini e altrettanto
per le donne. Tra i primi, ho notato, nella prima sala, una quarantina di
furiosi carichi di catene, sbraitanti e chiassosi. Solo uno, più temibile e
capace di rompere i braccialetti di cuoio, era trattenuto con saldi anelli di
ferro, direttamente sulla pelle nuda. Camicie e giubbetti di forza e cinturoni
fatti venire da Vienna, non sono utilizzati. Otto piccoli camerini separati
spettano a quelli che pagano 10 fr. al mese; perché
una parte degli alienati paga una retta variabile. In una sala delle donne
c'erano quattro file di letti e più di 60 alienate, di cui 40 furiose
incatenate al letto per i quattro arti o solo due, lanciavano urla spaventose.
In più, ci sono in quest'ala, sulla sinistra, 24 celle di tavolacci, senza
soffitto, e sovente con la porta aperta. Feci notare al dr. Mojon
e ad un giovane chirurgo dell'ospedale che ci accompagnava, nella mia seconda
visita, una donna i cui ferri s'erano staccati dentro il camerino e che, col
corpo che si sporgeva dall'alto delle tavole di separazione, cercava di colpire
con un estremo della catena la testa di una vicina, stesa di sotto nel suo
letto: forse senza di noi l'avrebbe accoppata. Si può immaginare, dalla
situazione e dal trattamento di quei disgraziati, come tutto concorra ad
accrescere o sostentare il loro furore, e che un alienato tranquillo
smetterebbe d'esserlo trovandosi in mezzi a quei turbolenti. Si trovano
all'incirca le stesse mancanze a Torino. Si fa fatica a concepire che in questo
secolo e in una nazione tanto istruita una gran parte della bella Italia segua
ancora un metodo tanto condannabile, riprovato dalla filosofia, e che l'umanità
inglese, francese e germanica ha abolito.
Il 15 luglio 1824 c'erano
agli Incurabili, a Genova, 718 malati, inclusi 223 alienati, 110 uomini
e 113 donne. […]
L' Albergo dei poveri
è un'istituzione rilevante, ammirata da ogni straniero. È bello, ben
distribuito, situato quasi fuori città ai piedi della collina dove si trovano
parecchie abitazioni disposte ad anfiteatro. La facciata e il viale che vi
conduce gli danno l'apparenza di un castello. Vi si
vedono, come nell'ospedale principale, le statue dei generosi donatori di forti
somme. Vi sono accolti orfani e indigenti giovani e in grado di lavorare. Ce
n'erano 1400. Gli uni sono occupati a produrre tessuti di lana, cotone, canapa,
tappeti, calze e nastri di seta, ecc. Gli altri colorano, cardano e filano le
materie grezze. Ci sono pure sarti e calzolai. Gli ospedali si riforniscono dei
prodotti di queste manifatture: il resto viene venduto o è lavorato per conto
dei commercianti genovesi. […]
Il Conservatorio delle
Fieschine è una casa di lavoro allo Zerbino,
fuori dalla porta dell'Acquasola, ad un
miglio dalla città. Questo bell'istituto, fondato nel 1760 da Domenico Fieschi, è un quadrato di 125 metri per lato. Può
accogliere oltre 300 persone. Vi si producono fiori artificiali di notevole
gusto ed eleganza, inviati in tutta Europa e oltremare. Malgrado le tante
risorse di Genova, si vedono ancora mendicanti, ma in numero minore che in Piemonte.[...]
La città è sanissima.
Posta sotto il 43° 24' 32” di latitudine Nord e riparata dalle montagne,
d'estate vi fa molto caldo. Di solito si osservano malattie infiammatorie,
catarri, reumatismi, febbri intermittenti e talvolta il crup, come da me
stesso riferito nell'opera su tale malattia. Il gozzo è molto raro. Il solfato
di chinino è stato accolto sollecitamente. Il dr. Benedetto Mojon
amministra con successo, nel parossismo della gotta, la tintura alcolica del colchicum autumnale.
Comincia di mattina col dare al malato un purgante. Verso mezzodì, gli fa
assumere una tazza d'infuso teiforme come fiori di
tiglio o altro; dopo un quarto d'ora, una seconda tazza in cui sono versate 40
o 50 gocce di tintura e, una mezzora dopo, una terza tazza senza tintura. Di
solito basta una dose per fermare l'accesso; ma qualche volta occorre
risomministrare la tintura il secondo e il terzo giorno. Ha osservato che una
goccia d'olio di croton tiglium, mischiata a
un'oncia d'olio d'oliva o mandorle dolci, è un utile purgante e può benissimo
sostituire l'olio di Palma christi.
*Voyage en Italie fait en l'année 1820 :
2e éd., corr. et augm. de nouvelles observations faites dans un second voyage en 1824 (2e éd.) Paris
1826