Jean Montalbano

dei in fuga: C.M. Doughty

con una lettera di T.E. Lawrence

Andrew Taylor, God’s Fugitive: The Life of C.M.Doughty, Harper Collins, 1999

Vittoriano eccentrico ma non certo eminente (se tale aggettivo rinvia a qualche influsso decisivo sui contemporanei) Charles Montagu Doughty (1843-1926) è oggetto di periodiche riscoperte da parte dei cultori di eccezioni e curiosità e, segnatamente, di quella nutrita schiera di esploratori e viaggiatori che rimarrà uno dei più bei retaggi del fardello e dello splendore dell’Impero. Di famiglia benestante il giovane Charles si dedicò agli studi di archeologia senza mai riuscire ad accattivarsi le simpatie di un ambiente accademico che, pure già scosso dal sisma positivistico e darwiniano, lo trattò quasi sempre da geniale dilettante e involuto prosatore, elemosinandogli talvolta conferenze nei suoi austeri saloni. Quando, lasciata Cambridge, e dopo un soggiorno in Europa, intraprese un lungo viaggio nelle regioni mediterranee e medio-orientali, Doughty non pensava forse che il suo confronto con la cultura araba avrebbe "chiarito", isolandolo, il suo rapporto con i contemporanei (similmente a quel che sarebbe successo, tra gli altri, a Robert Byron, T.E.Lawrence, N. Douglas ). Anche per lui la ricerca antiquaria scalzò consolidate certezze su incrollabili destini imperiali agitando fantasmi di rovine su di un presente già mondializzato: se da un lato l’immersione nel quotidiano di quei popoli ( fino a tramutarsi nel pellegrinaggio da Damasco verso la Mecca in Khalil Effendi ) ne avrebbe fatto un precursore dell’etnologo "corretto", dall’altro le considerazioni svolte nell’opera derivatane, Travels in Arabia Deserta (1888), ne avrebbero per sempre marcato le distanze dai contemporanei, sottolineate da una lingua in cerca di padri nell’inglese virile, austero e ingegnoso del cinque-seicento, quasi ad anticipare la riscoperta "elisabettiana" del primo novecento. Parve al giovane T.E.Lawrence di aver trovato nelle opere di Doughty la guida, prima lungo i castelli crociati in Siria, poi, di stanza al Cairo, il segreto vademecum per l’esatta comprensione del popolo del deserto: così la ristampa da lui propiziata ed il rinnovato interesse verso le opere dell’ormai vecchio tory sembrò fugacemente schiodarlo dal tempo in cui quelle narrazioni respiravano per immetterlo nel circuito del consumo sofisticato. Ma l’oggetto di tali attenzioni già da anni ossessivamente immerso nel passato britannico, poeticamente reso nei numerosi ed eccessivi versi di The Dawn in Britain ( 1906), il suo ‘paradiso perduto’, morì nel 1926 e la successiva scomparsa dell’aviere Ross vanificò le speranze di estendere il culto. A ricordo dei minimi fasti di una vita poco accomodante, è questa ben documentata opera di Andrew Taylor.

 

Una lettera di T.E.Lawrence a Doughty del Natale 1918

Caro Mr. Doughty,

è stato molto buono a scrivermi: il che è avvenuto mentre mi decidevo a scriverle per dirle che sono stato in buona parte del suo paese (certo con più sicurezza a comodità, ma perlopiù alla stessa maniera) e che là ho incontrato molte delle persone, e dei loro figli, che lei conobbe. E’ stata un’esperienza meravigliosa ed ho molto da raccontare.

Ho paura che difficilmente ciò possa essere pubblicato, poiché molte cose offenderebbero qualcuno ancora vivo (me compreso), ma spero comunque di riuscire presto a scriverle.

Non appena potrò, vorrei venire a Eastbourne per vederla. Penso che sarà solo dopo la Conferenza di Pace. Intanto posso dirle che dall’altro giorno ho una copia di Arabia Deserta, l’edizione genuina!

Per Natale sono in ritardo, ma le invio i miei migliori auguri per l’anno nuovo. Suo

T.E.Lawrence

P.S. Non ho iniziali da apporre al mio nome se non B[achleror]A[arts], e metterle sarebbe controcorrente!