Dio alla
prova
Dio è un bell’argomento, su
questo non c’è dubbio. Di questi tempi è anche di moda, è il dubbio a
non esserlo più. Capi di stato, alte cariche istituzionali, televisioni, opinionisti
di varia provenienza e cultura, tutti ribadiscono che
senza la fede dei cristiani manco sapremmo cos’è l’individuo, ci sfuggirebbe il
senso profondo della libertà e con esso quello della morale. Laddove oggi si inneggia alla virtù c’erano solo idoli disumani, ogni
pensiero del singolo era affogato negli orrori tribali, il meglio della
gioventù si dissipava nella paura e i vecchi al posto della saggezza
tramandavano il raccapriccio. A quanto pare i secoli impiegati nel cercare di spiegare l’inspiegabile hanno affinato il
pensiero e scatenato il progresso. Doverlo pagare col tormento che dalla più
tenera età ci hanno inflitto le domandine impresse sul
libretto del catechismo è, in fin dei conti, poca cosa, se poi abbiamo
guadagnato delle coperte da rimboccare e i deodoranti per il water.
Nel capire cosa sia “l’essere perfettissimo
creatore del cielo e della terra” altri si sono spesi ben più di noi.
Attestarne l’esistenza non fu cosa facile, anche perché essendo dovunque e in ogni luogo Dio poteva essere tutto e niente. Prima
si doveva aver fede, avvertiva Anselmo d’Aosta, e solo dopo si poteva accedere alla verità con l’intelligenza. Dopo secoli di sola
fede, fu lui, Anselmo, a tentare per primo di darne una spiegazione logica. Se nella nostra mente Dio è ciò che nulla ha di più grande,
egli non può giocarci il brutto tiro della sua infondatezza: se è perfetto perché
dovrebbe subire l’imperfezione di non esistere? Argomento che mai accetteremmo
se formulato da chi professa di credere nell’esistenza degli UFO o in qualsiasi
altra cosa l’uomo possa immaginare. Nell’XI
secolo, chissà, bastava la fantasia per rifondere come reali cose che erano
vere soltanto nell’immaginazione. In ogni caso due secoli dopo Tommaso d’Aquino prese in mano il problema e chiarì che per il solo
fatto di concepirlo mentalmente “non segue che Dio esista, se non come dato
intellettivo”. Forte della diffusione delle opere aristoteliche, Tommaso propose
nuove dimostrazioni che non fossero soltanto aprioristiche
come quelle di Anselmo ma che, viceversa, tenessero conto dell’osservazione e dell’esperienza
(il moto, le cause, gli effetti, il possibile, il necessario). La questione è
continuata nei secoli e non si può dire che oggi sia
risolta.
Una ricostruzione ampia e pacata di questi
sforzi per provare l’esistenza di Dio ce la offrono le quasi cinquecento
pagine, mirabilmente chiare ed accessibili, di una “storia critica degli argomenti
ontologici” che Roberto Giovanni Timossi ha da poco
pubblicato con Marietti: Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel. In passato Timossi
aveva dedicato al soggetto altri due volumi, Dio è possibile (Muzzio, 1995) e Dio
e la scienza moderna (Mondadori, 1999) nei
quali, come nel nuovo, assieme a una stesura che senza privarsi del carattere
nulla concede all’esibizionismo, aveva posto garbatamente a confronto i raffinati
ragionamenti della teologia con la rinuncia degli agnostici a porsi problemi
che superino la ragione, col disincanto di chi aveva cercato Dio senza trovarlo
e con le brucianti conclusioni degli atei.
La semplice constatazione della presenza del male ha tenuto lontane
tante menti da un Creatore che lo permette. Fra le “prove” dell’esistenza di
Dio ci sono quelle che la postulano (Kant insegna) come
necessaria fonte di una morale che non sarebbe garantita dal mondo naturale,
altrimenti abbandonato alla legge crudele di una libertà senza legge (quale quella propugnata dal marchese de Sade). È nella sostanza questa la posizione adottata
ultimamente da tanti personaggi pubblici che hanno destato un certo stupore,
considerando la loro passata indifferenza nei confronti della fede religiosa.
Ammettiamo pure che la libertà senza legge sia crudele, ma
questa fede necessaria in che altro modo si può chiamare, forse malafede?
“Il secolo XIX”, 2005