Omar Wisyam

Debord come vittima

Alcuni anni fa Jean-Pierre Voyer denunciò il concetto di spettacolo se non come parola vuota almeno come problematica, dato che Guy Debord, secondo lui, ne tratteggiava un corrispettivo pretenzioso quanto confusionario. Si deve dire che Voyer, il mancato fondatore della Terza Internazionale Situazionista, non proponeva un’obiezione priva di senso. Lo spettacolo debordiano possiede un ricco alone di senso più che un significato preciso. Se si vuole ad ogni costo trovare un significato univoco dello spettacolo, quanto meno nei film del teorico francese, per l’analogia offerta dalle immagini, esso si rispecchia nella pubblicità. Ma il concetto di spettacolo pretende di essere qualcosa di più di una conseguenza della diffusione universale della propaganda commerciale. Voyer contesta tenacemente, con una pervicacia degna di miglior causa, proprio la fumisteria di cui esso si ammanta.

A Voyer, non pago dei risultati ottenuti fino a quel momento, ad un certo punto, fu offerto un nuovo e intrigante pretesto che egli volle promuovere come il peccato originale e il segreto misfatto di Debord, e cioè l’avere concepito il suo confusionario spettacolo prendendo spunto dalla lettura, occultata a tutti, di “L’uomo è antiquato” (Die Antiquiertheit des Menschen) di Gunther Anders. Ripeto: il concetto di spettacolo non era più il risultato del suo ingegno ma un furto celato accuratamente ai danni dell’altro Gunther (Gunther Anders è uno pseudonimo) che nel libro parla effettivamente della televisione e dell’alienazione che procura. Anders (cioè Stern) pubblica l’opera nel 1956. La società dello spettacolo invece è del 1967. Debord non ha mai ammesso di aver letto Gunther Anders.

Il caso nacque così: un amico di Debord, Baudet, togliendo dall’oblio il libro di Anders, gli riferisce le sue favorevoli impressioni di lettura e proprio sulla famigerata primazia dello “spettacolo” andersiano, forse ingenuamente, e Debord, supponendo intenzioni colpevoli, leso nel suo prestigio, si sdegna immediatamente. Per Voyer, che non aspettava altro, era l’occasione ideale proprio per colpire il primato e l’autorità di Debord.

Quella polemica fece nascere un tardivo interesse per il testo di Anders e alimentò un breve dibattito sull’origine del concetto di spettacolo e sulle influenze palesi e segretate di Debord.

Ovviamente un dibattito sterile, come accade talvolta con quelli postumi. D’altronde le influenze debordiane sono palesi ed esplicitate, incorniciando dal 1967 i capitoli del suo libro.

Avevo dimenticato per fortuna quelle vecchie beghe, quando poco tempo fa ho trovato, in uno di quei luoghi detti di bookcrossing, uno sgualcito libretto di Sheckley, lo scrittore di fantascienza. Mi ricordavo di averlo letto cinquanta anni fa. Un’edizione ammuffita del 1996 per le lettrici di “Amica” è quella che ora ho per le mani.

Il racconto che offre il nome alla raccolta ha una storia curiosa. Il titolo originale del 1953 era “La settima vittima” (Seventh Victim). Il film di Petri del 1965 con Mastroianni e la Andress, tratto dall’opera, era intitolato “La decima vittima”.  Sheckley in quell’anno, in seguito all’uscita del film, ne fece una trasposizione romanzata con titolo “The Tenth Victim” a cui seguirono altri due romanzi a comporre la trilogia della vittima. In definitiva questo racconto in italiano ebbe tre titoli: La vittima n.7, La settima vittima e La decima vittima.

Ritornando al mio libretto, il racconto della vittima ha delle affinità con un altro, quello che apre la raccolta: “Il premio del pericolo” (The Prize of Peril) del 1958. Nelle sue varie edizioni ha collezionato anch’esso tre titoli in italiano: Sprezzo del pericolo, Il prezzo del pericolo e Il premio del pericolo.

Ne parlo perché ha richiamato alla mia mente la polemica di cui sopra. Il protagonista partecipa a vari programmi televisivi sempre più rischiosi mettendo in gioco la propria vita. Pare che il pubblico li apprezzi particolarmente; “il più grande spettacolo del brivido” è quello del titolo. Insomma un reality al quale il pubblico partecipa attivamente, comunicando con i cacciatori o con la preda. Il protagonista, Jim Raeder, è la preda. Credo che la storia sia piuttosto nota. Se la leggiamo come una metafora generale dello spettacolo è sicuramente pessimista, ma quello che importa è notare che Sheckley già nel 1958 avesse compreso che lo spettacolo (letale) non era soltanto contemplazione e passività, ma anche partecipazione attiva. Una certezza, quella che lo spettacolo voglia essere amato, che voglia sedurre mentre ti ammazza, pone Sheckley (e credo anche altri scrittori di sf) su un piano diverso da quello di Anders e di Debord ma con altrettanta acutezza. Per esempio i telespettatori attivi sono chiamati dal presentatore tv i “Buoni Samaritani d’America” e la location del fatale reality è New Salem, il luogo storico della stregoneria cioè, in un certo senso, dello spettacolo.

La tv generalista di oggi propone in gran parte programmi partecipati influenzati e condivisi dal pubblico; la consapevolezza di Sheckley è probabile che abbia influenzato il giovane Debord (Le prix du danger come fu tradotto in francese apparve nella rivista Fiction nell’agosto del 1958) come il tema della seduzione pone in anticipo Sheckley su Baudrillard di un ventennio.